Dale carnegie scopri il leader che è in te

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Dale Carnegie & Associates, Inc. STUART R. LEVINE, CEO, & MICHAEL A. CROM, VP SCOPRI, IL LEADER CHE E’ IN TE Traduzione di Andrea D'Anna Bompiani

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Dale Carnegie & Associates, Inc.

STUART R. LEVINE, CEO, & MICHAEL A. CROM, VP

SCOPRI, IL LEADER

CHE E’ IN TE

Traduzione di Andrea D'Anna

Bompiani

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Dello stesso autore, presso Bompiani:

Come Vincere lo Stress e cominciare a vivere Come godersi la vita e lavorare meglio

Come trattare gli altri e farseli amici Come parlare in pubblico e convincere gli altri

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Titolo originale The Leader in You

Copyright © 1993 by Dale Carnegie & Associates, Inc. Published by Simon & Schuster, New York

ISBN 88-452-2401-5

© 1994 R.C.S. Libri & Grandi Opere S.p.A.

Via Mecenate 91 - 20138 Milano I edizione Bompiani ottobre 1994

Stampato presso il Nuovo Istituto Italiano d'Arti Grafiche - Bergamo Printed in Italy

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SOMMARIO Introduzione: La rivoluzione delle relazioni umane 6 l. Scopri il leader che è in te 24 2. Cominciare a comunicare 44 3. Motivare gli altri 68 4. Esprimere un sincero interessamento per gli altri 91 5. Vedere le cose dal punto di vista dell'altra persona 112 6. Ascoltare per imparare 131 7. Formare gruppi per il domani 154 8. Rispettare la dignità degli altri 179 9. Riconoscimento, lode, premi 203 10. Errori, lamentele, critiche: che fare? 227 11. Stabilire obiettivi 248 12. Focalizzazione e autodisciplina 271 13. Raggiungere l'equilibrio 292 14. Creare un atteggiamento mentale positivo 309 15. Imparare a non preoccuparsi 329 16. Il potere dell'entusiasmo 355 Conclusione: Diventare un leader 374 Ringraziamenti 379

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Ai nostri figli: Jesse Levine, Elizabeth Levine e Nicole Crom, per farci perdonare di averli dovuti trascurare troppo per troppo tempo. E alle nostre mogli: Nancy Crom, per ringraziarla del suo infaticabile appoggio morale, e Harriet Levine, cbe con la sua energia e il suo genio organizzativo ba contribuito alla creazione di questo libro.

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INTRODUZIONE LA RIVOLUZIONE DELLE RELAZIONI UMANE

Mantieni sempre la tua mente aperta al cambiamento.

Accoglilo con favore. Sollecitalo. E solo considerando e riconsiderando le tue opinioni cbe puoi progredire.

DALE CARNEGIE Alle soglie del ventunesimo secolo, il mondo sta

attraversando un periodo di formidabili mutamenti, di enormi sconvolgimenti e d’immense possibilità. Soltanto in pochi anni, abbiamo assistito al sorgere della società postindustriale, all'avvento dell'era informatica, alla corsa alla computerizzazione, alla nascita delle biotecnologie e, non ultima in questo fervore di cambiamenti, alla rivoluzione nel campo delle relazioni umane.

Con la fine della guerra fredda, il mondo degli affari è diventato drammaticamente più febbrile. La competizione si è fatta più profonda e accanita. E la tecnologia incalza. Produttori e distributori non possono più permettersi a cuor leggero d'ignorare i desideri e le esigenze dei loro clienti. I

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manager non possono più limitarsi a dare ordini e aspettarsi che vengano eseguiti pedissequamente. Non è più possibile dare per scontate le relazioni personali. Le aziende non possono più non essere ossessionate dalla necessità di un continuo miglioramento della qualità dei loro prodotti e servizi. Si è avuto uno scandaloso spreco di creatività umana, e questo non può continuare.

Per poter sopravvivere negli anni a venire, le organizzazioni di successo - commerciali, governative, assistenziali dovranno conoscere un profondo mutamento culturale. I loro membri dovranno essere più rapidi nel pensare, più intelligenti nel lavoro, più fantasiosi e audaci nei loro sogni, e interagire fra loro in modi quanto mai innovativi.

Cosa più importante di tutte, questo cambiamento culturale avrà bisogno di un tipo totalmente nuovo di dirigente, un leader radicalmente diverso dai capi per cui la maggior parte di noi ha lavorato e che forse alcuni di noi sono diventati. Ne è passato di tempo da quando un'impresa poteva essere comandata a colpi di frusta come una bestia da circo.

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I capi di domani dovranno avere una visione reale e stabilire un senso dei valori per l'organizzazione che vogliono dirigere. Questi capi dovranno comunicare e motivare le loro decisioni molto più efficacemente di quanto abbiano fatto in passato. Dovranno sfruttare al massimo le loro facoltà in condizioni di cambiamento quasi costante. E dovranno portare alla luce ogni oncia di talento e creatività racchiusa nella loro organizzazione: a partire dagli impianti di produzione fino agli uffici dei funzionari.

Le radici di questa rivoluzione possono essere fatte

risalire ai decenni che seguirono la seconda guerra mondiale. Negli anni postbellici le compagnie americane sembravano prosperare quasi indipendentemente da quello che producevano. Le economie dell'Europa e dell'Asia avevano subito le conseguenze devastanti della guerra, e i paesi in via di sviluppo non costituivano ancora un rilevante fattore economico. Le grandi imprese con base negli Stati Uniti, sostenute da una grande forza lavoro e da un solido apparato governativo, fissavano gli standard per il resto del mondo. Non che queste aziende fossero gestite nel più esemplare dei modi. In realtà non avvertirono mai quest'esigenza. Con le

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loro ripide piramidi gerarchiche, le loro rigide assegnazioni di compiti e la loro presunzione di eccellenza, filarono col vento in poppa negli anni centrali del nostro secolo: grasse, felici e produttive al massimo.

E che bozzolo invidiabile fornirono ai loro dipendenti! Un impiego presso una ditta discreta rappresentava per molte persone un lavoro sicuro per l'intera vita: non molto diverso da un impiego statale ma con uno stipendio migliore e con benefici aggiuntivi più allettanti.

Licenziamenti? Chi aveva mai sentito parlare di licenziamenti per stipendiati che lavoravano in completo o tailleur? Forse per gli operai delle fabbriche, ma decisamente non per l'aristocrazia manageriale. La gente parlava spesso della “scala del successo” ed era così che si progrediva in una carriera, un gradino alla volta, né più lentamente né più in fretta di chi si trovava al di sopra o al di sotto. Guardandoci indietro vediamo che quelli sono stati i tempi dell'arricchimento facile; alla fine, hanno dovuto per forza finire.

Mentre l'America si godeva i frutti del periodo postbellico, i giapponesi pensavano al futuro. La loro economia era distrutta, gran parte della loro infrastruttura di

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base era a pezzi, e questo era solo l'inizio di quello che i giapponesi avrebbero dovuto superare. Inoltre, avevano in tutto il mondo la fama di produrre merci a basso costo ma di qualità scadente e di fornire ai clienti un'assistenza di scarso valore.

Ma dopo tutte le avversità che avevano patito, i giapponesi erano pronti a imparare dai loro errori. Così, si guardarono intorno e assunsero i migliori consiglieri che riuscirono a trovare, fra cui W. Edwards Deming, un esperto di statistica che durante la guerra aveva lavorato nell'ufficio dell'esercito degli Stati Uniti, preposto al controllo della qualità. Il messaggio che Deming trasmise ai giapponesi fu questo: non cercate di copiare le intricate strutture delle grandi aziende americane. Costruite, invece - fu il consiglio di Deming e di altri -, un nuovo tipo di azienda giapponese, un'azienda votata al coinvolgimento dei dipendenti, al miglioramento della qualità e al soddisfacimento del cliente e lavorate per unire tutti i membri del personale all'insegna di questi obiettivi.

Non successe dalla sera alla mattina, ma l'economia giapponese rinacque. Il Giappone diventò un paese guida nell'innovazione tecnologica, e la qualità delle merci e dei

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servizi migliorò sempre di più. Con l'imporsi di questo spirito nuovo, le ditte nipponiche non si limitarono a mettersi al passo con le loro concorrenti di altri paesi. In molti importanti settori industriali, i giapponesi conquistarono un netto primato. Il loro approccio cominciò a diffondersi nel globo intero: in Germania, nei paesi scandinavi, nell'Estremo Oriente, nell’area del Pacifico. Purtroppo, gli Stati Uniti sono stati una delle ultime nazioni a raccogliere la sfida. Come si è visto, il ritardo è stato pagato a caro prezzo.

Lentamente, dapprima impercettibilmente, la nave americana nella sua crociera sull'onda dell'opulenza facile venne a trovarsi a corto di carburante. Per tutti gli anni sessanta e settanta, il fragore delle macchine dell'economia postbellica fu abbastanza forte da soffocare gli sporadici scoppiettamenti dei motori, ma poi diventò sempre più difficile ignorare i segnali di avaria.

Il petrolio diventò caro. L'inflazione e i tassi d'interesse balzarono alle stelle. E la concorrenza non era più rappresentata soltanto da un Giappone rinvigorito o dalla Germania. Dozzine di altri paesi, puntolini nel panorama economico, irruppero improvvisamente nell'agone

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tecnologico con capacità competitive affinate di fresco. Non tardò molto che cominciarono a sottrarre importanti quote di mercato alla General Motors, alla Zenith, all'IBM, alla Kodak e ad altri colossi industriali semiaddormentati.

Intorno alla metà degli anni ottanta divenne difficile contenere il malessere crescente. Il mercato degli immobili registrò un crollo. L’indebitamento delle aziende e il disavanzo nazionale lievitarono a dismisura. Il mercato azionario prese a comportarsi in modo strano. La recessione che iniziò a serpeggiare agli inizi degli anni novanta mostrò defìnitivamente fino a che punto il mondo fosse cambiato.

Alle persone coinvolte, questo cambiamento parve arrivare a una velocità frastornante. Se le società non avevano avviato una fusione o un'acquisizione, cercavano di ristrutturarsi o si trovavano immerse nelle gelide acque di una causa per fallimento. Si procedeva a licenziamenti, definitivi o temporanei. Il cambiamento fu brutale. Fu rapido. E non colpiva più soltanto i "colletti blu". Professionisti e funzionari dell'intera fascia dei colletti bianchi si trovarono a dover affrontare un futuro che diventava sempre più difficile, ed erano tutt'altro che sicuri sul da farsi.

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Com'è prevedibile, un mutamento di così vasta portata e così repentino ha influito enormemente sui sentimenti dei lavoratori verso se stessi e verso le loro carriere. Da un'estremità del mondo economico all'altra, questo cambiamento ha prodotto ondate di scontento e di paura senza precedenti.

C'è chi ha riposto la propria fede nella tecnologia,

immaginando che il mondo possa inventarsi con facilità una via d'uscita dall'odierno stato di cose. E non si può disconoscere il contributo che la tecnologia può apportare.

"Io posso entrare nel mio ufficio di New York e servirmi degli stessi identici dati che qualcuno sta usando in Giappone, e nello stesso istante," sottolinea Thomas A. Saunders, socio accomandatario della Saunders Karp & Company, una banca d'affari privata. "Siamo collegati allo stesso sistema dati, ventiquattr'ore al giorno. Da un capo all'altro del mondo operatori sono collegati fra loro in una rete di comunicazioni che è di gran lunga più sofisticata di quanto chiunque abbia mai potuto immaginare in passato. I mercati dei capitali e delle valute sfuggono al controllo del

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governo. E io non ho bisogno che un giornale mi dica qualcosa di uno qualunque di questi mercati."

"Quello che si vede sono i benefici dell'evoluzione in atto, che accresce il potenziale facendo in modo che si possa ottenere di più in un periodo di tempo minore," dichiara il.grande medico ricercatore Jonas Salk. “Abbiamo un maggior numero di collaboratori che operano a grandi distanze, e quindi a questo punto è possibile ottenere migliori risultati di prima, in un lasso di tempo minore rispetto a un centinaio di anni fa. Maggiori sono le risorse che si hanno, maggiori sono i mezzi di cui si può disporre per progredire."

"Ricorda quando comparvero per la prima volta i computer?" chiede Malcom S. Forbes, caporedattore della rivista di affari che porta il suo nome. "Erano temuti come strumenti del Grande Fratello. La televisione era temuta come strumento di propaganda. Ma, grazie all'alta tecnologia, hanno avuto l'effetto contrario. Il personal computer è diventato più piccolo e molto meno ingombrante di una stazione di grossi computer. La sua potenza è cresciuta in misura astronomica e questo ha concesso una certa libertà di movimento al suo operatore.

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“Il microprocessore sta estendendo la portata del cervello umano così come le macchine hanno esteso la portata dei muscoli umani nel secolo scorso. Oggigiorno il software sta diventando quello che un tempo erano le lastre d'acciaio, le fibre ottiche e gli schermi digitali quello che sono state le ferrovie e le autostrade per il trasporto, e di tutto ciò l'informazione è la materia prima.

"Oggi," continua Forbes, “uno può inviare i suoi messaggi ed eseguire il suo lavoro al computer con un apparecchio sulle ginocchia che pesa meno di un chilo e può farlo dovunque trovi una presa di corrente o un satellite." Il risultato? Più persone hanno accesso a una maggiore informazione. "La gente può vedere quello che succede nel resto del mondo,” conclude Forbes, "è un'influenza che agisce in senso decisamente democratico."

Il crollo del Muro di Berfino, la disintegrazione del blocco sovietico, le sollevazioni in Cina, le lotte per la democrazia in America Latina e nei Caraibi, l'industrializzazione in atto nel mondo in via di sviluppo: tutte queste trasformazioni sono il segnale di una nuova libertà di espansione dell'industria e di un nuovo riconoscimento del fatto che il mondo è una comunità.

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Ciascuno di questi cambiamenti è stato incoraggiato da un più ampio accesso alla tecnologia applicata alla comunicazione.

Immagini impressionanti di questo radicale cambiamento vengono oggi irradiate a getto continuo in ogni angolo del globo. Gli studenti cinesi agitano striscioni in inglese a beneficio delle telecamere. Saddam Hussein - non diversamente, per questo, dallo stato maggiore americano - segue l'andamento della Guerra del Golfo sintonizzato sulla CNN.

Ma la tecnologia da sola non è mai sufficiente in tempi difficili. Il semplice fatto che i mezzi di comunicazione siano facilmente disponibili non significa che gli individui abbiano imparato a comunicare. Anzi, oggi fin troppo spesso non l'hanno ancora imparato. E una delle ironie della nostra epoca: la grande possibilità di comunicare, la grande incapacità di farlo. A che serve tutta questa informazione se le persone non sanno come usarla?

Non molto tempo addietro la facoltà di economia e commercio dell'Università di Harvard condusse un'indagine fra i suoi studenti, gli ex studenti e le matricole. Dato il sempre crescente bisogno di comunicazione dei nostri

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giorni, il risultato non dovrebbe destare sorpresa. “Quello che abbiamo riscontrato," dichiara il professore di economia e commercio di Harvard, John A. Quelch, "ci rende ampiamente soddisfatti per la competenza tecnica dei laureandi e neolaureati."

Questi giovani di brillante intelligenza sono in grado di macinare numeri con la massima disinvoltura, analizzare listini di borsa e pianiflcare strategie aziendali, ma per quanto riguarda l'insegnamento delle capacità di relazioni sociali Harvard si vede costretta a intensificare i propri sforzi. "Sembra questa l'area che bisogna migliorare," indica Quelch, “l’area della comunicazione orale e scritta, del lavoro di gruppo e delle altre attività sociali."

Eppure sono proprio queste le capacità decisive nel determinare il successo di questi giovani dirigenti.

Certo, la sofisticazione tecnologica sarà ancora importante nel mondo verso cui siamo proiettati a velocità vertiginosa, ma questo è esattamente il prezzo per l'ammissione alla nuova arena degli affari. Alla fine i vincitori e i perdenti non saranno divisi dai loro bit e dalle loro RAM. I vincitoei saranno le organizzazioni con dirigenti intelligenti e creativi capaci di comunicare e

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spiegarsi efficacemente, all'interno dell'organizzazione e fuori.

“Chi ci sa fare nelle relazioni umane è in grado di trasformare dei manager in capi," afferma John Rampey, direttore dello sviluppo della gestione aziendale presso la Milliken & Company, una delle principali aziende tessili. Le persone possono imparare a passare "dal dirigere al guidare, dal competere al collaborare, dall'operare in un sistema di velata segretezza a un sistema di condivisione d'informazioni conforme alle esigenze del momento, da un modello di passività a un modello di assunzione di responsabilità, da una visione della gente come una spesa a una visione della gente come un capitale.” Possono imparare a "cambiare le loro esistenze facendole passare dal risentimento alla soddisfazione, dall'apatia al coinvolgimento, dal fallimento al successo."

Nessuno ha mai detto che queste capacità si manifestano naturalmente, e spesso questo non avviene. “Non è tanto facile sapere in che modo sia possibile provvedere a eccellenti relazioni umane,” ammette Burt Manning, presidente di un'agenzia pubblicitaria internazionale, la J. Walter Thompson Company. “Ci sono

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alcuni che lo fanno istintivamente. Ma la maggior parte delle persone devono essere educate. Devono essere addestrate. Ci vuole tanto training - e tanta flessibilità - quanta ce ne vuole per essere un ingegnere in una casa automobilistica e disegnare un pistone migliore.

"Le imprese in grado di creare un gruppo di persone che agiscono in modo tale da far progredire la ditta sono destinate a battere la concorrenza," assicura Manning. "Queste sono le società che comprendono come il servizio e le relazioni umane costituiscano un formidabile fattore di successo.”

Dale Carnegie non visse abbastanza a lungo per vedere i tempi dell'opulenza facile cedere ai tempi del mutamento esplosivo. E non assistette mai all'avvento di questa nuova rivoluzione nel campo delle relazioni umane. Ma molto tempo prima che chiunque avesse mai udito i termini visione d'impresa, trasmissione del potere ai dipendenti o processo di miglioramento della qualità, Carnegie fu il pioniere di alcuni fondamentali concetti in materia di relazioni umane sui quali s'imperniano queste importanti idee.

Quando Carnegie arrivò a New York, nel 1912, era un giovane del nordovest del Missouri in cerca di una direzione

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da dare alla sua vita. Alla fine trovò lavoro presso l’YMCA, nella Centoventicinquesima Strada, dove insegnò a classi di adulti a parlare in pubblico.

"In un primo tempo,” scrisse Carnegie molti anni dopo, "condussi corsi soltanto per insegnare a parlare in pubblico: per insegnare ad adulti, sulla scorta dell'esperienza diretta, a pensare con la propria testa e a esprimere le proprie idee con maggior chiarezza, con maggior efficacia e con maggior ponderatezza, sia in incontri d'affari che davanti a gruppi di persone.

"Ma gradualmente, col passare delle stagioni, mi sono reso conto che questi adulti, così come avevano un disperato bisogno di essere istruiti per poter parlare in modo convincente, avevano un bisogno ancora maggiore di essere addestrati nella sottile arte di andare d'accordo con gli altri nelle questioni di ogni giorno e nei contatti sociali."

Così, Carnegie ampliò il suo corso e vi incluse l'insegnamento di alcuni aspetti fondamentali delle relazioni umane. Non disponeva di un libro di testo, di un programma ufficiale, di un manuale pubblicato del corso. Aveva però redatto un elenco sempre più ricco di tecniche pratiche per riuscire nel mondo, e ogni giorno le metteva alla prova.

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"Guardate le cose dal punto di vista dell'altra persona," raccomandava ai suoi allievi. “Fate una valutazione onesta e sincera. Siate seriamente interessati agli altri." Mostrò ai suoi discepoli come intessere questi principi fondamentali delle relazioni umane nella trama delle loro vite.

All’inizio si limitò a scribacchiare le sue norme su schede di otto centimetri per tredici. Ben presto queste schede furono sostituite da fogli volanti, e poi da una serie di taccuini, ciascuno più largo di quello precedente. Dopo quindici anni d'instancabile sperimentazione, raccolse tutti i suoi principi sulle relazioni umane in un libro, How to Win Friends and Influence People (Come trattare gli altri e farseli amici), che apparve nel 1936. Era il semplice manuale di Carnegie sul modo di trattare con successo con gli altri.

Il libro decollò. Trenta milioni di copie: How to Win Friends era uno dei libri più venduti nella storia dell'editoria. E’ stato tradotto in parecchie dozzine di lingue, e si vende ancora oggi.

Carnegie fondò una società, la Dale Carnegie & Associates, per diffondere il suo messaggio sulle relazioni umane, e trovò un attento pubblico in tutto il mondo.

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Partecipò regolarmente a trasmissioni sia alla radio sia in televisione. Insegnò ad altri a tenere il suo corso, e scrisse altri due libri sulle relazioni umane, The Quick and Easy Way to Effective Speaking (Come parlare in pubblico e convincere gli altri) e How to Stop Worrying and Start Living (Come vincere lo stress e cominciare a vivere), entrambi best-seller. Neppure la sua morte, nel 1955, pose fine al diffondersi delle sue idee.

Oggi, il corso di Dale Carnegie è offerto in più di mille città e cittadine in tutti gli Stati Uniti e in sessanta altri paesi. Ogni settimana si registrano tremila nuove iscrizioni. L'organizzazione Carnegie si è talmente accresciuta che annovera fra i suoi clienti più di quattrocento delle cinquecento aziende classificate fra le principali del paese dalla rivista Fortune e per ciascuna di queste ha messo a punto speciali programmi di addestramento.

Col succedersi delle generazioni, il messaggio di Carnegie ha rivelato una fantastica capacità di trasformarsi per andare incontro alle esigenze di un mondo che cambia. Comunicare efficacemente con gli altri, motivarli alla realizzazione, scoprire il leader che è dentro ciascuno: è stato questo il fulcro delle intuizioni di Dale Carnegie. In un

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mondo in tale stato di rivolgimento, egli è di nuovo attuale. Nelle pagine successive, i principi delle relazioni umane di Carnegie sono applicati al complesso di sfide senza precedenti che gli uomini si trovano oggi a dover affrontare.

Questi principi sono fondamentali e di facile comprensione. Non necessitano di una particolare formazione culturale o di speciali capacità tecniche. Quello che richiedono è la pratica e un autentico desiderio d'imparare.

Siete preparati a sfidare certe sorpassate visioni del mondo? Siete pronti a gestire le vostre relazioni con una naturalezza e un successo maggiori? Vi piacerebbe accrescere il valore di quanto avete di più prezioso, le persone che fanno parte della vostra vita personale e professionale? Volete scoprire e liberare il leader che è in voi?

Se si, procedete alla lettura. Quanto segue potrebbe cambiare la vostra vita.

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1 SCOPRI IL LEADER CHE E’ IN TE

Charles Schwab lavorava nell'industria dell'acciaio,

con uno stipendio di un milione di dollari all'anno, e mi spiegò che questa somma enorme gli veniva pagata in larga misura per la sua capacità di trattare con la gente. Pensate un po'. Un milione di dollari perché ci sapeva fare con la gente! Una volta, verso mezzogiorno, Schwab stava camminando per uno degli stabilimenti dove lavorava quando s'imbatté in un gruppo di uomini che fumavano proprio sotto un cartello che diceva: “Vietato fumare”.

Secondo voi cosa fece Charles Schwab? Additò il cartello e disse: “Siete capaci di leggere?”

Assolutamente no, non era da lui, da quel maestro di relazioni sociali che era.

Egli si mise a chiacchierare amabilmente con gli operai senza accennare minimamente al fatto che stavano fumando sotto un cartello che lo vietava.

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Alla fine gli porse dei sigari e, strizzando un occhio, aggiunse: “Vi sarei grato, ragazzi, se questi li fumaste fuori di qua.”

Non aggiunse altro. Essi capirono che lui si era accorto che avevano contravvenuto a una norma, e lo ammirarono perché non li aveva rimproverati. Era stato così corretto con loro che a loro volta vollero esserlo altrettanto con lui.

DALE CARNEGIE Fred Wilpon è il presidente dei Mets, una famosa

squadra di baseball di New York. Un pomeriggio stava guidando una scolaresca in visita allo Shea Stadium. Condusse i bambini dietro le basi, negli spogliatoi della squadra e, attraverso un passaggio privato, nella sala di ritrovo. Come ultima tappa del suo giro, Wilpon voleva condurre gli scolari nel cosiddetto “recinto dei tori" dello stadio, dove i lanciatori si scaldano i muscoli.

Ma proprio davanti al cancello del recinto dei tori il gruppo fu fermato da un addetto alla sicurezza in uniforme.

“Il recinto dei tori non è aperto al pubblico," disse la guardia a Wilpon, evidentemente ignara di chi fosse. "Spiacente, ma non potete entrare."

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Indubbiamente, Fred Wilpon avrebbe potuto ottenere quello che voleva, lì e subito. Avrebbe potuto dare una lavata di capo alla povera guardia che non aveva saputo riconoscere un uomo importante come lui. Con un gesto drammatico, avrebbe potuto portare la mano ai taschino e materializzare il suo cartellino di riconoscimento di alto dirigente, lasciando gli scolari con gli occhi sgranati davanti alla dimostrazione del suo potere in quello stadio.

Invece non fece niente di tutto ciò. Accompagnò la scolaresca all'estremità dell'impianto sportivo e la fece entrare nel recinto dei tori da un altro cancello.

Perché si prese la briga di comportarsi così? Wilpon non volle mettere in imbarazzo la guardia. L'uomo, dopo tutto, faceva il suo lavoro, e lo faceva bene. Più tardi, quel pomeriggio, Wilpon gli spedì anzi un biglietto scritto a mano con cui lo ringraziava per tanto zelo.

Se invece avesse scelto di alzare la voce o di fare una scenata, la guardia avrebbe potuto risentirsi, con un'indubbia conseguenza negativa sul suo rendimento. L'approccio gentile di Wilpon fu infinitamente più sensato. L'agente apprezzò molto il complimento. E potete scommettere che in un incontro successivo avrebbe riconosciuto Wilpon.

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Fred Wilpon è un leader non soltanto per la carica che gli è stata affidata o per lo stipendio che riceve. Quello che fa di lui un capo di uomini e donne è il modo in cui ha imparato a interagire.

In passato chi operava nel mondo degli affari non si preoccupava gran che del vero significato del ruolo di leader. Il boss era il boss, ed era lui che comandava. Punto e basta. Fine della discussione.

Le aziende ben gestite - nessuno ha mai parlato di "aziende ben guidate" - erano quelle che funzionavano secondo uno stile quasi militaresco. Gli ordini venivano emanati dall'alto e trasmessi verso il basso per via gerarchica.

Avete presente il signor Dithers, quello della striscia a fumetti Blondie? Lui sbraitava: “Su le chiappe!" e il giovane Dagwood accorreva nell'ufficio del principale come un cagnolino atterrito. Nella vita reale fu questa la disciplina vigente per anni nella maggior parte delle ditte. Quelle che non erano governate come plotoni di soldati erano praticamente prive di una vera guida. Si limitavano a tirare avanti come avevano sempre fatto, al sicuro in qualche piccola nicchia del mercato per anni non toccata dalla

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concorrenza. Il messaggio che proveniva dall'alto era sempre questo: "Se non è andata in pezzi, perché ripararla?"

I funzionari in posti di responsabilità sedevano nei loro uffici e gestivano quello che potevano. Era questo che ci si aspettava da loro: "gestire". Magari facevano virare la rotta dell'organizzazione di pochi gradi a sinistra o di pochi gradi a destra. Di solito si sforzavano di affrontare qualsiasi problema evidente si presentasse, dopo di che si ritenevano soddisfatti della giornata.

A quel tempo, quando il mondo era un posto più semplice, una gestione di questo tipo poteva andare. Di rado ispirata a grandi visioni, ma passabile, era in accordo col prevedibile procedere della vita.

Ma questo tipo di gestione statica semplicemente non

basta più. Il mondo è diventato troppo imprevedibile, troppo mutevole, travolto da un'accelerazione troppo rapida per un approccio così privo d'inventiva. Quello di cui si avverte l'esigenza è qualcosa di molto più profondo rispetto alla gestione degli affari di vecchio stile. Quello che serve è una guida, una leadership, che aiuti le persone a realizzare le loro potenzialità, che indichi una visione per il futuro, che

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incoraggi, che incarni le funzioni dell'allenatore e del mentore, e che stabilisca e mantenga relazioni fruttuose.

"In passato, quando gli affari si trattavano in situazioni di stabilità, le capacità gestionali erano suffìdenti," osserva il professore di economia e commercio di Harvard John Quelch. "Ma quando le condizioni diventano instabili, quando si naviga in acque inesplorate, quando la vostra missione richiede una flessibilità in precedenza inimmaginabile, è allora che le doti di comando diventano d'importanza critica."

"La transizione sta già avvenendo, e non sono sicuro che trovi preparate tutte le organizzazioni," ammonisce Bill Makahilahila, vicepresidente dell'ufficio risorse umane della SGS Thompson Micro Electronics, una delle principali fabbriche di semiconduttori. “E’ possibile che fra non molto la posizione di 'manager' cessi di esistere e che il concetto di 'leadership' venga ridefìnito. E’ questo il travaglio che oggi le aziende stanno attraversando. Esse si rendono conto, nel cominciare a ridimensionare le loro attività e a tendere a una maggior produttività, che le capacità di semplificazione stanno diventando d'importanza primaria. Buona comunicazione, abilità nei rapporti interpersonali, capacità

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di addestrare, modellare e formare gruppi di lavoro: tutto questo richiede un maggior numero e una miglior qualità di leader.

“Questo non lo si può più fare per via diretta. Deve avvenire per influenza. Deve basarsi sulle reali 'capacità delle persone'."

Molti hanno ancora una comprensione limitata del significato del concetto di leadership. Voi dite "leader” e loro pensano generale, presidente, primo ministro o presidente del consiglio di amministrazione. Ovviamente, ci si aspetta che individui con queste qariche di responsabilità comandino, un’aspettativa a cui vanno incontro con vari livelli di successo. Ma la cosa fondamentale è che la leadership non comincia e non finisce al vertice dell'organizzazione. E’ altrettanto importante, forse più importante, nei posti dove la maggior parte di noi vive e lavora.

Organizzare un piccolo gruppo di lavoro, infondere energia al personale di un ufficio, mantenere la felicità in famiglia: sono queste le linee del fronte dove si esercita il comando. Il comando non è mai facile. Ma per fortuna è

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vero anche questo: ciascuno di noi ogni giorno ha la possibilità di essere un leader.

L'animatore del gruppo, il manager di livello medio, il capocontabile, l'operatore del servizio di assistenza ai clienti, l'addetto all'ufficio postale interno: praticamente chiunque abbia prima o poi l'occasione di entrare in contatto con altri ha buoni motivi per imparare a servire da guida.

In misura straordinaria, le sue attitudini al comando determineranno quanto avrà successo e quanto sarà felice nella vita. E questo non vale soltanto per il mondo del lavoro. Famiglie, gruppi di volontariato, squadre sportive, associazioni civiche, circoli culturali e quant'altro: ciascuna di queste organizzazioni ha una grande necessità di una leadership dinamica.

Steven Jobs e Steven Wozniak erano due giovanotti della California in blue-jeans, rispettivamente di ventuno e ventisei anni. Non ricchi, del tutto privi di formazione professionale, speravano di potersi inserire in un'industria che aveva appena cominciato a esistere.

Era il 1976, prima che la gente avesse mai pensato di acquistare computer per uso domestico. A quei tempi l’intero business dei personal computer si rivolgeva a pochi

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hobbisti geniali, i cosiddetti “cow-boy della console". Così, quando Jobs e Wozniak riuscirono a raggranellare insieme milletrecento dollari vendendo un furgone e due calcolatori e fondarono la Apple Computer nel garage di Jobs nessuno avrebbe scommesso sul loro formidabile successo.

Ma i due giovani imprenditori avevano una precisa visione, una chiara idea di quello che, ne erano certi, avrebbero potuto raggiungere. “I computer non sono più soltanto per maniaci dell'informatica," annunciarono. "Stanno per diventare la bicicletta della mente. I computer a basso costo sono per tutti.”

Dal primo giorno i fondatori della Apple mantennero la loro visione intatta e la trasmisero dovunque. Assunsero collaboratori che capivano la loro idea e permisero loro di condividerne gli utili. Vissero la visione, la respirarono, ne parlarono. Anche quando la società entrò in crisi, quando i dettaglianti cessarono le ordinazioni, i fabbricanti si rifiutarono di continuare la produzione, le banche tolsero il credito, i profetici dirigenti della Apple non si tirarono mai indietro.

Alla fine il mondo cambiò idea. Sei anni dopo la fondazione della Apple, la ditta vendeva

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seicentocinquantamila personal computer all'anno. Wozniak e Jobs sono stati diamici leader nel settore dei computer, e hanno precorso di anni quella che poi sarebbe stata la tendenza.

Ma non sono soltanto le nuove organizzazioni ad aver bisogno di una leadership ispirata a una visione. All'inizio degli anni ottanta, la Corning Incorporated venne a trovarsi soggetta a una pressione tremenda. Il marchio significava ancora qualcosa nel campo degli utensili da cucina, ma era gravemente minacciato. La tecnologia dell'azienda era obsoleta. Le sue azioni erano in ribasso. Migliaia di clienti abbandonavano la Corning in favore di ditte straniere. E la rigida dirigenza della ditta non sembrava disporre di una soluzione.

Fu allora che il presidente, James R. Houghton, concluse che la Corning aveva bisogno di una visione totalmente nuova, e ne propose una. Ricorda Houghton: "Avevamo un consulente che lavorava con me e col mio nuovo gruppo come nostro psicologo interno. Era un grande animatore, un uomo meraviglioso che non si stancava di battere sul tasto della qualità come qualcosa che doveva entrarci nella testa.

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“Eravamo in una di quelle terribili riunioni di gruppo, tutti molto depressi. Io mi alzai e annunciai che stavamo per spendere circa dieci milioni di dollari che non avevamo. Avremmo creato il nostro istituto per il miglioramento della qualità. E l'avremmo fatto funzionare.

"Sono stati molti i fattori che mi hanno portato a quel posto di massima responsabilità, ma dico subito che sentivo a livello viscerale di aver ragione. Non aveva la benché minima idea delle implicazioni, né di quanto la cosa sarebbe stata importante.”

Houghton sapeva che la Corning doveva migliorare la qualità dei suoi prodotti e affrettare i tempi di consegna. Il presidente scelse di accettare il rischio. Chiese consiglio ai migliori esperti del mondo: i suoi dipendenti. Non soltanto ai manager e agli ingegneri della ditta. Houghton mobilitò anche gli operai della catena di montaggio. Mise insieme un gruppo di rappresentanti e gli affidò il compito di ristrutturare l'intero processo di produzione: se era questo che ci voleva per riportare a galla l'azienda.

La soluzione, decise il gruppo dopo sei mesi di lavoro, era quella di ridisegnare certi stabilimenti per ridurre i difetti nella catena di montaggio e accelerare la fornitura di pezzi

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di ricambio. Il gruppo riorganizzò anche il modo in cui la Corning teneva i suoi inventari così da velocizzare la rotazione dei prodotti. I risultati furono stupefacenti. Quando Houghton introdusse questi cambiamenti, le irregolarità in un nuovo processo di rivestimento di fibre ottiche ammontavano a ottocento parti per milione. Quattro anni dopo la percentuale si era ridotta a zero. In altri due anni il tempo di consegna scese da settimane a giorni, e nel giro di quattro anni il ritorno della Corning in azioni ordinarie quasi raddoppiò. La visione di Houghton aveva letteralmente ribaltato le sorti dell'azienda.

I teorici di politica aziendale Warren Bennis e Burt Nanus hanno studiato centinaia di organizzazioni di successo, grandi e piccole, concentrandosi sul modo in cui sono condotte. "Un leader," scrivono, “deve in primo luogo aver sviluppato un'immagine mentale di uno stato possibile e desiderabile dell'organizzazione. Quest'immagine, che noi chiamiamo 'visione', può essere vaga come un sogno o precisa come un obiettivo o una dichiarazione di missione.” Il punto critico, spiegano Bennis e Nanus, "è che una visione esprime e sviluppa una concezione di un futuro realistico. credibile, allettante per l'organizzazione, una condizione che

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sia migliore sotto molti e importanti aspetti di quella attualmente esistente.”

I leader si chiedono: qual è lo sbocco di questo lavoro di gruppo? Qual è la funzione di questo reparto? Chi stiamo cercando di servire? Come possiamo migliorare la qualità del nostro lavoro? Le risposte specifiche saranno diverse come le persone a cui i leader si rivolgono e diverse come gli stessi leader. L'importante è che gli interrogativi vengano sollevati.

Non esiste un unico sistema giusto per dirigere, e i capi di talento possono rivelarsi con molti tipi differenti di personafità. Possono essere passionali o pacati, spiritosi o severi, declamatori o riservati. Provengono da tutte le età, da ogni ceppo razziale, dall'uno e dall'altro sesso e da ogni tipo di gruppo che esista.

L'idea non è semplicemente d'identifìcare il leader di maggior successo reperibile e poi di prenderlo pedissequamente come modello. Questa strategia è condannata fin dall'inizio. E difficile che adottandola riusciate mai a elevarvi al di sopra di una pietosa imitazione della persona che vi sforzate di essere. Le tecniche di

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comando che funzionano meglio sono quelle che coltivate all’interno di voi.

Il compositore Fred Ebb, vincitore di un Tony Award, ha portato al successo a Hollywood commedie musicali come Cabaret, Il bacio della Donna Ragno, Cbicago e Zorba. Spesso giovani autori di canzoni si rivolgono a lui per attingere alla sua esperienza professionale. “Io gli dico sempre di seguire il consiglio che Irving Berlin diede a George Gershwin.”

A quanto si racconta, quando Beffin e Gershwin si conobbero di persona il primo era già famoso e il secondo era un giovane compositore alle prime armi che lavorava per le case editrici musicali di Tin Pan Alley per trentacinque dollari alla settimana. Colpito dall'evidente talento di Gershwin, Berfin offrì al giovane un lavoro come segretario musicale per quasi il triplo di quello che Gershwin guadagnava scrivendo canzoni.

"Ma non accettare il lavoro" fu il consiglio di Berlin. "Se l'accetti, puoi svilupparti in un Berlin di seconda categoria. Ma se insisti nell'essere te stesso, un giorno diventerai un Gershwin di prima categoria.”

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Gershwin si mantenne fedele a Gershwin, naturalmente, e la musica popolare americana raggiunse nuove vette. "Non cercate d'imitare qualcun altro," Ebb raccomanda ai suoi allievi. "Non cessate mai di essere voi stessi."

Spesso ciò vi richiede di scoprire chi veramente siete e di meditare profondamente e fattivamente su tale conclusione. Questo è così importante che vale la pena di rifletterci sopra con calma. Ponetevi l'interrogativo in termini chiari: quali doti personali possiedo che possano essere trasformate nelle qualità necessarie al comando?

Per Robert L. Crandall, una di queste doti è un'acuta capacità di prevedere i cambiamenti. Crandall, presidente dell'AMR Corporation, pilotò l'American Airlines attraverso una temperie estremamente turbolenta nel settore dei trasporti aerei.

La ginnasta olimpionica Mary Lou Retton ricevette uno slancio formidabile dal suo naturale entusiasmo. Balzò fuori da una cittadina del West Virginia e si calò nei cuori degli sportivi di tutto il mondo.

Nel caso di Hugh Downs, radiocronista veterano della rete ABC, una di queste doti di leadership fu la sua genuina umiltà. Egli riuscì a crearsi una carriera prestigiosa nel

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mondo altamente competitivo del giomalismo radiofonico pur restando un vero signore.

Quali che siano per voi queste qualità - un'ostinata tenacia, un brillante intelletto, una ricca immaginazione, un atteggiamento positivo, un forte senso dei valori - lasciatele fiorire in attitudini al comando. E ricordate che le azioni sono molto più potenti delle parole.

Arthur Ashe fu un padre e un tennista di fama mondiale: un autentico leader in questi e altri campi. Anche lui credeva nell'arte di guidare gli altri mediante l'esempio.

“Mia moglie e io ne parliamo con la nostra figlia di sei anni," riferì in un'intervista poco prima della morte. “I bambini vengono molto più colpiti da quanto ti vedono fare che da quanto gli dici,” osservò. "Indubbiamente bambini di questa età ti mantengono onesto. Se non hai fatto che predicare una data cosa e tutt'a un tratto non la fai, loro te lo rinfacciano.

“Per esempio, le dico che non è educato mangiare coi gomiti sul tavolo. Poi, quando ho finito di pranzare, poso i gomiti sul tavolo. Allora lei dice: 'Papà, hai messo i gomiti sul tavolo.' Bisogna essere abbastanza uomo, o abbastanza donna, per dire: 'Hai ragione', e abbassare i gomiti. In realtà,

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questa è un'esperienza di apprendimento più forte dell'ascolto della lezioncina di galateo. Significa che in precedenza essa ha prestato ascolto. Lei capisce qual è l'atteggiamento da evitare. E lo riconosce quando lo vede. Ma ci vogliono azioni, anziché parole, per arrivare a questo."

Un leader stabilisce canoni di comportamento e poi vi si attiene. Douglas A. Warner III, per esempio, ha sempre insistito su ciò che chiama “piena trasparenza”.

“Quando vieni nel mio ufficio a farmi una proposta," consiglia Warner, presidente della J.P. Morgan & Conipany, "supponi che tutto quello che mi hai appena detto comparirà il giorno dopo sulla prima pagina del Wall Street Journal. Ti senti fiero di aver condotto quella transazione o affrontato quella situazione nel modo che hai appena raccontato, presumendo una piena trasparenza? Se la risposta è negativa, allora dobbiamo fermarci qua e scoprire qual è il problema." Questo è un segno di attitudine al comando.

Una capacità di comando di questo tipo, con un preciso obiettivo e con una solida base nella fiducia in se stessi, è quanto trasforma una visione in realtà. Prendiamo l'esempio di Madre Teresa. Era una giovane suora cattolica che

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insegnava in una scuola media in un quartiere abitato dalla borghesia medioalta di Calcutta. Ma continuava a guardare fuori dalla finestra e a vedere i lebbrosi nella strada. “Scorgevo la paura nei loro occhi," ricorda, la paura che non sarebbero stati mai amati, la paura che non avrebbero mai ricevuto adeguate cure mediche.”

Non poté scacciare il pensiero di quella paura dalla sua mente. Capì che doveva lasciare la sicurezza del convento, uscire per le strade e aprire case di pace per i lebbrosi dell'India.

Negli anni successivi, Madre Teresa e le sue suore missionarie della Carità hanno accudito centoquarantanovemila persone affette da lebbra, dispensando cure mediche e amore incondizionato.

Un giorno di dicembre, dopo aver tenuto un discorso alle Nazioni Unite, Madre Teresa andò a fare visita a un carcere di massima sicurezza che si trovava nello stato di New York, dove parlò con quattro reclusi colpiti da AIDS. Comprese immediatamente che essi erano i lebbrosi dei nostri tempi.

Tornò a New York il lunedì prima di Natale e si recò subito in municipio per conferire col sindaco, Edward Koch.

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Gli chiese di telefonare al governatore, Mario Cuomo. “Governatore," annunciò quando Koch le ebbe passato il ricevitore, "sono appena stata a Sing Sing, e là ci sono quattro detenuti con l’AIDS. Vorrei aprire un centro per ammalati di AIDS. Non può rilasciare questi quattro detenuti e affidarmeli? Ci terrei che fossero i primi quattro assistiti nel centro per malati di AIDS."

“Va bene, Madre," rispose Cuomo. "abbiamo quarantatré casi di AIDS nel sistema carcerario dello stato. Li rilascerò tutti e li trasferirò nel suo centro."

"Bene," replicò Madre Teresa. "Vorrei cominciare con quei quattro. Adesso mi permetta di parlarle dell'edifìcio che ho in mente. Lei è disposto a finanziarlo?"

"D'accordo," acconsentì Cuomo, travol to dalla fermezza di quella donna.

Poi Madre Teresa si rivolse al sindaco Koch e gli disse: "Oggi è lunedì. Mi piacerebbe aprire questo centro mercoledì. Abbiamo bisogno del rilascio di certi permessi. Mi fa il favore di provvedere lei?”

Koch gettò uno sguardo a quella donna minuta in piedi nel suo ufficio e assentì gravemente col capo. "A patto che non mi costringa a pulire i pavimenti," aggiunse.

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IL PRIMO PASSO VERSO IL SUCCESSO

CONSISTE NEL RICONOSCERE LE PROPRIE CAPACITA DI COMANDO.

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2 COMINCIARE A COMUNICARE

Theodore Roosevelt era adorato dai suoi figli, e con

buoni motivi. Un giorno ricevette la visita di un vecchio amico. L'uomo era angosciato. Suo figlio se n'era andato di casa e adesso stava da sua zia. Il ragazzo doveva essere impazzito. Non c'era più con la testa. Nessuno riusciva più a capirlo.

“Scioccbezze,” fece Roosevelt. “Non credo che ci sia qualcosa che non vada in lui. Credo invece che se un ragazzo pieno di energia non riceve un trattamento degno di lui in famiglia, andrà da qualche altra parte per averlo.”

Parecchi giorni dopo Roosevelt vide il giovane e gli chiese: “Com'è questa storia che ho sentito che te ne sei andato di casa?”

“Be'. Colonnello,” rispose il ragazzo, “ogni volta che vado da mio padre lui esplode. Non mi dà mai la possibilità di raccontare la mia storia. Io ho sempre torto. Devo sempre essere rimproverato.”

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“Lo sai, figliolo,” osservò Roosevelt, “forse adesso non mi crederai, ma tuo padre è il tuo miglior amico. Per lui conti di più del resto del mondo.”

“Può darsi, Colonnello,” ammise il ragazzo, “ma vorrei che trovasse qualche altro modo per dimostrarlo.”

Allora Roosevelt mandò a chiamare il padre e cominciò a rivelargli alcune scottanti verità. L'uomo s'infiammò, proprio come aveva detto suo figlio. “Vedi,” commentò Roosevelt, “se tu parli al tuo ragazzo così come ti sei appena espresso con me, non mi stupisce che se ne sia andato di casa. Mi stupisce soltanto che non l'abbia fatto prima. Adesso va' e cerca di capirlo. Vagli incontro a metà strada

DALE CARNEGIE Niente potrebbe essere più facile che non riuscire a

comunicare. Trattare dall'alto in basso, contraddire, rimproverare, umiliare, relazionarsi con l'altro come se si volesse trasmettergli il messaggio: "Io sono il boss e tu semplicemente lavori qua.” Fino in tempi recenti queste erano forme ampiamente accettate d'interazione umana all'interno delle più grandi e famose imprese commerciali

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del mondo. "Il diritto di abbaiare" era considerato una prerogativa naturale delle cariche dirigenziali, insieme con una propria finestra nell'ufficio, e una pausa per la colazione di due ore. Purtroppo, famiglie, scuole e altre organizzazioni seguirono l'esempio.

Per anni l'alzare la voce è stato considerato sinonimo d'inflessibilità. La caparbietà è stata considerata sinonimo di conoscenza superiore. L'acquiescenza è stata considerata sinonimo di onestà. Tutti noi, dirigenti e dipendenti, genitori e figli, insegnanti e studenti, dovremmo ringraziare il cielo che quei tempi siano finiti per sempre.

Jerry Greenwald, già vicepresidente della Chrysler Corporation, paragona il vecchio modo di comunicare a quello in uso fra gli adolescenti. "Se due ragazzini sono vicini di casa e hanno una controversia, uno di loro attraversa il prato ed essi discutono per cercare di risolvere la situazione. Se fossero due persone in due uffici di una stessa ditta, uno dei ragazzi lo direbbe al suo fratello maggiore, che lo direbbe a sua madre, che lo direbbe a suo padre, che andrebbe alla porta accanto e lo direbbe al padre dell'altro ragazzo, che lo direbbe alla madre dell'altro ragazzo, e alla fine questo riceverebbe il messaggio e si

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chiederebbe: 'Cosa stava cercando di dirmi il tipo della porta accanto?'

“Qui alla Chrysler stiamo cercando di mettere fine a tutto questo," spiegò Greenwald quando lavorava ancora per questa casa automobilistica. "Se sei un operatore in uno stabilimento e hai bisogno di dire, a qualcuno che sta a trenta metri all'altra estremità della fabbrica di cambiare qualcosa in modo da permetterti di fare meglio il tuo, lavoro, va' da lui e diglielo. Non dire al tuo caposquadra di dirlo al tuo sovrintendente di dirlo al suo sovrintendente così che sei mesi dopo l'altro dipendente starà ancora cercando di capire che cambiamento volevi fargli apportare.”

Un crescente numero di persone, nel mondo degli affari e altrove, comincia a comprendere quanto sia realmente importante una buona comunicazione. La capacità di comunicare bene è quello che accende il fuoco dell'entusiasmo nella gente. E’ quello che trasforma le grandi idee in azione. E’ quello che rende possibile ogni realizzazione.

Comunicare bene non è terribilmente complicato: non in teoria, comunque. Comunicare, dopo tutto, è qualcosa che ciascuno di noi compie ogni giorno nella nostra vita

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personale. Tutti noi abbiamo comunicato fin dalla prima infanzia. Perlomeno pensiamo di averlo fatto. Ma la vera comunicazione, la comunicazione efficace, è un fatto relativamente raro nel mondo degli adulti.

Non esiste una ricetta segreta per imparare a comunicare bene, ma esistono alcuni concetti fondamentali che possono essere padroneggiati con relativa facilità. Ecco i primi passi da compiere per giungere a un'efficace comunicazione. Muovete questi passi e sarete sulla giusta strada.

1. Fate della comunicazione una priorità assoluta. 2. Apritevi agli altri. 3. Create un ambiente ricettivo per la comunicazione. Per quanto possiate trovarvi indaffarati durante la

giornata di lavoro, dovete assolutamente trovare il tempo per comunicare. Tutte le brillanti idee del mondo sono prive di valore se non le comunicate. La comunicazione può essere effettuata in molti modi: in riunioni, in sedute informali con colleghi, facendo semplicemente quattro passi fino al salone d'ingresso o fermandovi al distributore di

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bibite o passando una mezz'oretta in sala mensa. Quello che è soprattutto importante è che la comunicazione non s'interrompa mai.

Robert Crandall ha una grande sala per riunioni accanto al suo ufficio di presidente dell'AMR Corporation, la società madre dell'American Airlines. Ogni lunedì vi passa gran parte della sua giornata, ascoltando dipendenti provenienti da ogni settore dell'azienda e scambiando opinioni con loro. “Ieri mattina,” riferì Crandall non molto tempo fa, "avevamo in questa sala i funzionari al vertice e circa una dozzina d'impiegati di tre o quattro livelli dell'azienda, ed eravamo impegnati in un'analisi molto complicata.

"Cercavamo di capire se questo sistema da noi creato basato sul colloquio fosse diventato economicamente indifendibile in seguito ai cambiamenti intervenuti nel mondo dell'industria. Quando creammo questo particolare sistema di scambio d'idee, il mondo si presentava in un dato modo, e adesso si presenta in un altro. La nuova situazione influiva sul flusso dei passeggeri. E influiva anche sui prezzi. Di conseguenza, non siamo più tanto sicuri che il sistema del parlare a ruota libera rimanga valido. Ma

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determinare che cosa sia più conveniente è molto complicato.

“E necessaria un'enorme quantità di dati. Così, ieri siamo stati in riunione per tre ore e mezzo, durante le quali sono stati espressi molti punti di vista diversi e si è molto discusso, in un'atmosfera di grande fervore e impegno. A ogni modo, alla fine abbiamo congedato gli intervenuti con tre o quattro nuovi incarichi, e fra un paio di settimane torneranno con i dati aggiuntivi. Allora ci siederemo e parleremo ancora. 'E’ forse sbagliato quello che stiamo facendo? E cosa possiamo fare di diverso che abbia qualche probabilità di funzionare?' E’ così che speriamo di poterci tirare fuori da questi dilemmi."

I benefici qui sono duplici: Crandall ottiene i suggerimenti di persone di esperienza ed esse contribuiscono a creare la visione futura dell'American Airlines. Questo è fondamentale per lo sviluppo di rapporti di fiducia.

Non è necessario che la comunicazione avvenga in grandi sale di riunione. Parte della miglior comunicazione aziendale si svolge in modi apparentemente informali. Walter A. Green, presidente della Harrison Conference Services, usa appunto la tecnica dei colloqui informali.

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“Disgraziatamente," spiega, “nelle organizzazioni abbiamo delle strutture: abbiamo un presidente, vicepresidenti e via via le persone a tutti gli altri livelli. Il sistema dei colloqui informali è un metodo per superare questo stato di cose. Si tratta di conversazioni non programmate, di solito all'ora di colazione, in cui m'incontro con qualsiasi membro dell'organizzazione mi prema di contattare. E’ un'occasione per me per essere ragguagliato su quello che è importante per i dipendenti. Cosa provano per l'azienda? Cosa provano per il loro lavoro? Desidero apprendere qualcosa su di loro come individui. Voglio accostarmi a loro con un atteggiamento più umano e desidero che mi rivolgano domande sull'azienda. Tutto questo è più facile in un colloquio a quattr'occhi.” Come risultato di queste conversazioni, la visione che Green prospetta alla sua impresa comincia a crescere.

Douglas Warner, il presidente della J.P. Morgan, ha portato questa pratica della comunicazione diretta in quella banca, per il resto gestita all'antica. “Noi non stiamo letteralmente mai fermi, ci aggiriamo per il piano intero,” assicura Warner, "scendiamo per vedere alcuni dipendenti,

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usciamo dall'ufficio, andiamo in altri posti invece d'insistere perché ciascuno venga qua da noi.”

Parecchie volte alla settimana, Warner o il suo braccio destro prendono un caffè con trenta o quaranta dei massimi dirigenti della Morgan. "Comunicazione occhi negli occhi, diretta e informale,” nelle parole di Warner. Perfino una banca come la Morgan ha scoperto l'utilità di queste semplici chiacchierate. La stessa teoria è applicata all'interno del gruppo dei funzionari. "Come parte di tutto questo, i direttori amministrativi della società, circa trecento persone, vengono invitate in una grande sala ogni giorno per colazione: quelli che si trovano a New York e quelli che sono in visita da altri paesi. In questo modo abbiamo ogni giorno un forum dove ferve la discussione.”

David Luther, direttore dell'ufficio qualità presso la Corning Incorporated, descrive come questo processo si manifesta nella sua ditta: "Io uso il termine 'pesca a strascico': ci si cala in profondità nell'organizzazione e ci si chiede: come vanno realmente le cose? Quali sono le preoccupazioni dei dipendenti? Cosa dicono? Cos'è che non gli piace? Cosa possiamo fare per aiutarli?"

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La necessità di una comunicazione efficace non si ferma alla porta dell'ufficio. Si estende alla famiglia, alla scuola, alla chiesa, perfino agli ambienti scientifici. In ogni luogo dove delle persone s'incontrano con altre persone, la comunicazione è la chiave di tutto.

Una volta gli scienziati impegnati nella ricerca potevano trascorrere l'intera vita nel laboratorio, in una ricerca solitaria delle verità dell'ordine naturale. Ma quei tempi sono finiti. Nel mondo competitivo di oggi, anche gli scienziati hanno bisogno di ascoltare e parlare.

"Molti scienziati non sono capaci di comunicare in modo efficace quello che stanno facendo," nota il professor Ronald M. Evans, un eminente ricercatore presso l'Istituto Salk di studi biologici. “Loro sanno che cosa stanno facendo. Hanno un'eccellente idea del perché lo fanno. Ma hanno difficoltà a tradurne le prospettive, a trasmettere le idee fuori dal laboratorio. Questa è una grave limitazione, a molti livelli. Per ottenere finanziamenti, bisogna convincere la gente che si sta facendo qualcosa d'importante.”

Quando Lee Iacocca cominciò a lavorare per la Ford, scoprì la stessa limitazione in molti progettisti e ingegneri dell'industria automobilistica: "Ho conosciuto veramente

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una grande quantità d'ingegneri con idee formidabili che avevano serie difficoltà a comunicarle agli altri. E sempre un grosso peccato quando qualcuno con un grande talento non riesce a spiegare a un consiglio o a una commissione quello che ha in mente."

Se non sanno padroneggiare questa dote umana assolutamente fondamentale - l'abilità di parlare e ascoltare gli altri - i membri di un'impresa, di una scuola o di una famiglia non possono avere un successo duraturo.

In casa Levine la vita era diventata frenetica. I figli comindavano a farsi grandicelli. Ciò significava appuntamenti, feste di compleanno, partite di calcio, corsi di ginnastica, escursioni con gli scout, lezioni di religione: un numero infinito di scarrozzate avanti e indietro per la moglie, Harriet.

Stuart aveva un lavoro che amava, ma il viaggio per raggiungerlo era estenuante e inoltre lo teneva anche troppo a lungo lontano dalla famiglia. Harriet restava in casa con Jesse ed Elizabeth, che erano ragazzi fantastici ma diventavano sempre più indipendenti ogni giorno che passava.

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“Jesse ed Elizabeth guardavano troppo la televisione," ricorda Harriet, “e leggevano troppo poco. Non avevamo quasi tempo per comunicare.”

Prima che la situazione diventasse realmente incontrollabile, una sera tutti i Levine si riunirono ed elaborarono un piano. Avrebbero creato un consiglio di famiglia, decisero. Ogni domenica, dopo pranzo, si sarebbero seduti intorno al tavolo della cucina e avrebbero discusso con calma di quanto li preoccupava. “L’idea era di avere un forum regolare per la comunicazione all'intemo della famiglia, ogni settimana, comunque andassero le cose,” spiega Harriet.

Il consiglio di famiglia cominciò a discutere questioni grandi e piccole. I ragazzi si dedicano alla loro mezz'ora di lettura prima della televisione? E’ previsto che Stuart rientri in città per la partita di calcio? Quand'è che Harriet la smetterà di servire sempre lo stesso piatto a base di pollo?

Alla fine della riunione i ragazzi ricevevano la loro paga settimanale. "Tutti sono tenuti a partecipare, e nessuno verrà mai a trovarsi nei guai: fintanto che dirà la verità.”

Il più grosso errore che una volta i manager erano soliti fare, oltre al pensare di essere l'unica fonte di saggezza e di

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buonsenso, era quello di non capire che la comunicazione deve assolutamente essere un processo bidirezionale. Voi dovete mettere a parte gli altri delle vostre idee e ascoltare le loro. Questo è il passo numero due: Essere aperti agli altri: al di sopra, al di sotto e vicino.

Il drammaturgo romano Publilio Siro riconobbe questa costante della natura umana duemila anni fa. "Noi c'interessiamo agli altri quando loro s'interessano a noi," scrisse.

Se potete dimostrare ai vostri colleghi che siete ricettivi alle loro idee, è più facile che loro siano ricettivi alle vostre e che vi tengano onestamente informati delle cose che dovete sapere. Mostrate che vi sta a cuore il futuro dell'organizzazione e che loro vi stanno altrettanto a cuore. E non limitate queste manifestazioni di sollecitudine ai vostri collaboratori. Comunicate questo stesso genuino senso d'interessamento anche ai vostri clienti.

Il banchiere Thomas A. Saunders dedica la sua vita alla ricerca di società in espansione in cui investire i fondi dei suoi clienti. E’ un esperto nel riconoscere aziende modello. Niente lo colpisce di più di una ditta realmente capace di comunicare con i propri clienti.

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Poco tempo fa visitò l'impresa di un grossista di gioielli di Lafayette, Louisiana. Dedicò una giornata alla visita della sede della ditta. Ma gli bastarono in realtà cinque minuti nella sala del telemarketing per riconoscere un successo di prim'ordine in fatto di comunicazione.

"Trattavano al telefono i loro clienti in un modo molto efficiente, e la qualità del servizio era estremamente elevata," precisò Saunders. “Non facevano errori, a quanto pareva. Arrivavano le chiamate e loro semplicemente rispondevano: 'Volete questo articolo?... Sì, l'abbiamo in magazzino... Volete due pezzi di questo, benissimo... Ne volete tre, magnifico... Sì, li abbiamo... No, lei deve ritirare l’ordinazione... Posso suggerire una sostituzione?... Sì, se guarda a pagina seicento del nostro catalogo, c'è una montatura...' Sbam. 'Grazie infinite.' In quindici secondi l'affare era concluso. Incredibile.”

La telefonata media richiedeva quindici secondi e il cliente medio rimaneva entusiasta. Chi non avrebbe voluto investire quattrini in un'azienda come quella?

E’ facile venire isolati da clienti e colleghi, specie per coloro che ottengono promozioni in un'organizzazione. Ma, per quanto in alto un funzionario possa salire, la

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comunicazione deve pur sempre funzionare in tutte le direzioni: parlare e ascoltare, su, sotto e intorno alla cerchia di comando.

Non per niente Ronald Reagan fu chiamato il Grande Comunicatore. Per tutta la sua lunga carriera politica si fece un dovere di ascoltare i cittadini e di parlare con loro. Anche quando divenne presidente, continuò a leggere la corrispondenza dei suoi elettori. Voleva che ogni pomeriggio le sue segretarie della Casa Bianca gli passassero una selezione delle lettere ricevute. Di sera se le portava nei suoi appartamenti e vergava risposte personali.

Bill Clinton ha dedicato il suo incontro televisivo coi cittaffini più o meno allo stesso scopo: quello di tenersi informato circa i sentimenti della gente e di dimostrarle che essa gli sta a cuore. Anche se non ha una soluzione per tutti i problemi che gli vengono sottoposti, Clinton è presente, ascoltando, agendo da tramite, articolando le proprie idee.

In tutto questo non c'è niente di nuovo. Lincoln adottò un sistema analogo più di un secolo fa. A quei tempi, qualsiasi cittadino poteva scrivere una petizione al presidente. A volte Lincoln incaricava un suo aiutante di rispondere ai postulanti, ma spesso lo faceva di persona.

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Ci fu chi lo criticò per questo. Perché preoccuparsi di queste inezie quando c'era una guerra da combattere, una confederazione da salvare? Ma Lincoln sapeva che comprendere l'opinione pubblica era una componente essenziale dell'essere presidente, e voleva sentirne gli umori di prima mano.

Richard L. Fenstermacher, direttore del marketing per il Nordamerica della Ford, crede fermamente in questo. "La mia porta è aperta,” ripete continuamente ai suoi collaboratori. "Se vi trovate a passare per l'atrio e mi vedete, anche se volete semplicemente dirmi 'salve', fermatevi. Se volete lanciarmi al volo un'idea, fatelo. Non sentitevi in dovere di far la trafila da un manager all'altro.”

Questo tipo d'interazione facile non avviene per caso. E’ qui che interviene la regola numero tre: Creare un ambiente ricettivo per la comunicazione.

E’ un fatto fondamentale per quanto riguarda la comunicazione fra le persone: loro non dicono quello che pensano e non ascoltano ricettivamente quello che voi dite, a meno che non sia posta una base di genuina fiducia e di mutuo interesse. Non potete essere falsi. Quello che è il vostro vero atteggiamento interiore verso la comunicazione.

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che siate aperti oppure no, viene fuori forte e chiaro, indipendentemente da quello che dite. “Si capisce subito se qualcuno è avvicinabile oppure no," ha dichiarato la ginnasta olimpionica Mary Lou Retton. “Quando hai quella sensazione, riesci a leggere una persona mediante la comunicazione non verbale e il linguaggio del corpo. Capisci quando qualcuno se ne sta nell'angolo e dice: 'Ehi, non voglio che mi si rivolga la parola.'”

Come potete evitare d'inviare questo messaggio? Siate aperti, provate simpatia per la gente e fateglielo capire. Seguite il consiglio della Retton: "Essere terra-terra e umili è estremamente importante. Io cerco semplicemente di far sentire la gente a suo agio. Questo vale per tutti. Credo che ognuno abbia qualche qualità, si tratti del direttore generale di una ditta o di un addetto alle vendite. E’ semplicemente il lavoro che è diverso.” E’ questo il senso del creare un ambiente ricettivo: mettere la gente a proprio agio.

Una volta era più facile di adesso. Il grande Joe Garagiola, cronista televisivo ed ex campione degli Yankees di New York, ricorda quale contatto diretto c'era un tempo fra i giocatori e i loro fan. “Quando uscivamo dal campo di gioco e tornavamo a casa dopo le partite, viaggiavamo in

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metropolitana con gli stessi tifosi che poche ore prima erano sugli spalti.

"Non era inconsueto che uno di loro dicesse: 'Ehi, Joe, come mai ti sei girato a quel tiro? Perché non l'hai fatto passare?' Non c'è lo stesso rapporto personale fra i giocatori e il tifoso quando questi può soltanto leggere che uno di loro ha firmato un contratto da sei o sette milioni di dollari.”

Ray Stata, il presidente della Analog Devices, che produce circuiti integrati a elevate prestazioni, ha imparato quanto sia importante provare un interesse personale dal suo amico Red Auerbach, che fu a lungo presidente dei Boston Celtics.

Ricorda Stata: "Quando parlava di leadership, spesso usava la frase: 'Io amo la mia gente.' Considerava questo un vero requisito primario dell'attitudine al comando. E bisogna che gli interessati sappiano che tu vuoi loro bene. Quindi se hai un ambiente dove le persone credono sinceramente che alla fine della giornata possono fare affidamento sul tuo interessamento e sulla tua sollecitudine per il loro benessere, vuol dire che hai creato relazioni significative per loro.” Allora, e solo allora, il terreno sarà adeguatamente preparato per la comunicazione.

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Non aspettatevi che questo avvenga senza un certo lavoro.

Parecchi anni fa David Luther, della società Corning, era impegnato nel tentativo di convincere un esponente sindacale ad abbracciare il programma di miglioramento della qualità che la compagnia stava cercando di avviare. Luther fece il discorso promozionale, dilungandosi in quello che secondo lui era un modo molto convincente di spiegare l'importanza del miglioramento della qualità. Quel programma avrebbe migliorato la vita sia alla dirigenza che alla manodopera, promise Luther al sindacalista. Ma questi chiaramente non accettava una sola parola di quanto Luther aveva da dire.

Luther ricorda: “Si è alzato e ha detto: 'Mi dia un po' di respiro. Qui c'è qualcosa che non mi quadra. E’ un pacco. Meglio della maggior parte dei vostri bidoni, ma sempre un bidone. Tutto quello che cercate di fare è ottenere di più da questi lavoratori'.”

Tuttavia continuarono a parlare. "Si è ammorbidito leggermente," continuò Luther, "ma non l'ho convinto, e sono arrivato alla conclusione che con le mie parole non sarei mai riuscito a conquistare la sua fiducia. Avrei potuto

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solo dimostrare che me la meritavo. Così ho detto: 'Tor nerò l'anno prossimo con questo programma, e tra due anni, e tra tre anni. Continuerò a tornare a proporle la stessa cosa.'" E Luther continuò a fargli visita.

Ci vollero parecchi anni perché il suo messaggio venisse accettato, e prima egli dovette dimostrare che meritava fiducia su qualche questione di minor conto. Dovette anche dimostrare che prestava ascolto alle preoccupazioni dei sindacalisti. Ma alla fine ebbe la pazienza di far sì che il messaggio facesse presa, e i sindacalisti della Corning diventarono autentici alleati nel processo di miglioramento della qualità.

Un'ultima cosa da ricordare: Quando qualcuno accetta il rischio di dirvi quello che pensa, non punitelo per la sua franchezza. Non fate niente, assolutamente niente, per scoraggiarlo dall'assumersi il rischio di comunicare ancora.

"Se un dipendente esprime un consiglio su cui non sono d'accordo, il modo in cui gli comunico il mio dissenso dev'essere molto delicato," avverte Fred J. Sievert, direttore finanziario della New York Life Insurance Company. "Voglio incoraggiarlo a tornare da me la volta prossima a dare un altro suggerimento. Ora, io ho detto ad alcuni

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membri del mio staff che possono non trovarmi d'accordo con loro novantanove volte su cento, ma voglio che continuino a venire da me coi loro consigli. E’ per questo che sono pagati. Quell'unica volta su cento è preziosa, e io non li giudicherò minimamente più deboli perché non sono d'accordo con loro le altre novantanove volte."

Una volta su cento. Non sembrerà gran che, ma enormi fortune sono state costruite su probabilità meno certe di questa. Ecco perché ascoltare e comunicare idee è così importante.

La questione si basa su questa verità: la comunicazione è sia una capacità sia un'arte. E un processo a cui conviene pensare e che conviene applicare più di quanto la maggior parte delle persone facciano. A volte comporta una dimostrazione di vulnerabilità personale. Voi mettete qualcun altro a parte delle vostre idee e gli chiedete di mettervi a parte delle sue. Non è sempre facile. Richiede lavoro e tempo. E’ necessario acquisire delle tecniche e farne pratica con costanza. Ma abbiate coraggio. La pratica rende perfetti, o ci avvicina molto alla perfezione.

Kuo Chi-Zu è il procuratore generale di Taipei, nell'isola di Formosa, e un formidabile oratore. Ma non si è

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sempre sentito così a suo agio a parlare in pubblico. In veste di giovane pubblico ministero in ascesa, Chi-Zu veniva sempre invitato a tenere discorsi a organizzazioni locali. Diceva di no al Rotary. Diceva di no ai Lions. Diceva di no all'associazione dei giovani imprenditori. Era così terrorizzato, come succede a molti, dall'idea di comparire in pubblico che respingeva ogni invito.

"Anche se partecipavo soltanto a un'assemblea," ricorda, “sceglievo sempre di sedere nell'ultima fila. E non spiccicai quasi mai una sola parola.”

Si rendeva conto che questa paura rallentava il progresso della sua carriera, oltre al fatto che lo teneva desto di notte in accessi di ansia. Sapeva che doveva affrontare e risolvere questo problema di comunicazione.

Poi un giorno fu invitato a parlare in quella che era stata la sua scuola media, e capì immediatamente che qu ella era la sua occasione. Dopo tutto, aveva fatto un grande sforzo per anni per mantenere un forte legame con la scuola e i suoi studenti e diplomati. Se c'era un pubblico di cui avrebbe potuto fidarsi e che si sarebbe sentito disponibile a quello che lui aveva da dire, era proprio quello.

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Così accettò di tenere un discorso e si preparò col massimo impegno. Scelse un argomento che conosceva a fondo perché gli stava immensamente a cuore: il suo lavoro di pubblico ministero. Costruì il suo discorso intorno a esempi tratti dalla vita. Non mandò niente a memoria. Non mise niente per iscritto. Semplicemente, prese posto sul podio nella sala delle conferenze della scuola e parlò come se si stesse rivolgendo a una sala piena di amici, come in effetti era.

Il discorso fu un grande successo. Dal podio poteva vedere gli occhi dei presenti fissi su di lui. Sentiva il pubblico ridere alle sue facezie. Avvertiva il suo calore e la sua solidarietà, e, quando ebbe concluso, gli studenti si alzarono in piedi e gli tributarono una scrosciante ovazione.

Quel giorno Chi-Zu imparò alcune preziose lezioni sulla comunicazione: come essa richieda una certa apertura e un ambiente che ispiri fiducia, quali possano essere i vantaggi della capacità di comunicare. Chi-Zu non si fermò qui. Diventò uno dei più richiesti conferenzieri di Taipei e ben presto fu catapultato nella professione di procuratore generale.

Stava finalmente imparando a comunicare.

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LA COMUNICAZIONE SI COSTRUISCE

SU RELAZIONI DI FIDUCIA.

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3 MOTIVARE GLI ALTRI

Andrew Carnegie era ancora un ragazzino quando

scoprì la stupefacente importanza che le persone attribuiscono ai loro nomi. All'età di dieci anni aveva una coppia di conigli. Una mattina, al suo risveglio, si trovò con una nidiata di coniglietti e niente per sfamarli.

Cosa credete che fece? Be', ebbe un'idea brillante. Disse a una dozzina di ragazzini del vicinato che se fossero andati ogni giorno a cogliere abbastanza cicoria selvatica e trifoglio per dar da mangiare ai coniglietti, avrebbe battezzato ogni bestiola col nome di ciascuno di loro. Il piano funzionò come per magia, ed è questo che rende istruttiva la storia.

Andrew Carnegie non dimenticò mai l'episodio. E anni dopo fece milioni di dollari applicando la stessa tecnica agli affari. Voleva vendere binari d'acciaio all'azienda ferroviaria della Pennsylvania. A quel tempo era presidente della compagnia J. Edgar Thomson. Allora Andrew Carnegie, ricordandosi della lezione che aveva imparato

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grazie ai suoi coniglietti, costruì a Pittsburgh un'enorme acciaieria e la chiamò Acciaieria J. Edgar Thomson.

Adesso vi faccio una domanda. Quando, dopo di allora, l'azienda ferroviaria della Pennsylvania ebbe bisogno di binari d'acciaio, secondo voi dove J. Edgar Thomson andò a comprarli?

DALE CARNEGIE Paul Ereman, il presidente della Reebok International,

aveva bisogno di una forza lavoro altamente motivata. Allora fece una promessa straordinariamente audace. In capo a due anni, affermò solennemente, la Reebok avrebbe superato la Nike nel mercato azionario.

Fireman non corrompeva, minacciava o adulava coloro che lavoravano per lui. Li educava alla motivazione. Mostrava ai suoi dipendenti che era disposto ad assumersi dei rischi, e li incoraggiava a fare lo stesso. Avviò un programma innovativo per lo sviluppo della produzione e lo finanziò generosamente. Si dichiarò disposto a spendere qualsiasi somma, qualsiasi, per ingaggiare i più popolari campioni sportivi di tutto il mondo come portavoci della

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Reebok. Quello che ispirava le parole e la vita di Fireman, ventiquattr'ore al giorno, era una nuova visione per la Reebok.

"E’ necessario creare un coinvolgimento," spiega, "non credo che si possa imporlo agli altri. Non credo che si possa dire: 'Va'. Fila. Fa' questo.' Ciò che devi fare è prendere tempo per coinvolgere le persone nel tuo progetto, nella tua visione, nel tuo sogno, nella tua fantasia, in qualsiasi cosa tu stia facendo. Coinvolgile. Ci vuole tempo. Ci vuole sforzo. E una continua opera di convincimento. Ma non ricorrere all'imposizione. Coinvolgile.

"Se coinvolgete qualcuno, determinate una metamorfosi. Lo trasformate, e lui diventa capace di coinvolgere altri dieci elementi. Questi diventano capaci di coinvolgerne altri cento. Certi hanno pensato che il mio progetto fosse pazzesco. Ma dopo il primo, secondo, terzo, quinto, decimo, dodicesimo, tredicesimo giorno, hanno visto che non si tratta di una semplice dichiarazione. E’ un sistema di vita.

“E’ come nei vecchi film di cow-boy dove l'eroe ingaggiava la lotta finale contro il cattivo e salvava l'eroina," spiega Ereman. “L'eroe cavalca sul suo cavallo bianco, con

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un altro tizio al suo fianco, quando un nuovo personaggio sbuca alla sua destra e si unisce a lui. Poi altri dieci a sinistra. E continuano a cavalcare finché, trenta secondi dopo, ci sono settecento cavalieri al galoppo, in una nube di polvere, in corsa verso la sequenza finale.

“Tu scoppi di entusiasmo e chiami tutti quanti e gridi: 'Venite con me a River Creek!' Vuoi che ti seguano. Galoppi. Vai. E trascini tutti gli altri con te. L'accompagnamento musicale si fa trionfale. E trovi che quando arrivi là, che ti servissero settecento o novecento uomini, l'importante è cavalcare. E gli altri vogliono cavalcare con te. Hai ottenuto che volessero cavalcare con te."

E’ compito di un leader suscitare questi sentimenti. "Noi lavoriamo a quest'impresa insieme." "Noi facciamo parte di una squadra." "Quello che facciamo è valido.” "Noi siamo i migliori." E’ questo il terreno su cui cresce la vera motivazione.

Certo, ciascuno vuole un ritorno, una tredicesima, una qualche forma di compartecipazione agli utili e anche un grosso pacchetto di benefici. Ma la vera motivazione non scaturisce mai da incentivi finanziari da soli, e neppure, se

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vogliamo, dalla paura del licenziamento. Coloro che lavorano soltanto per un ritorno finanziario e non perché amano il loro lavoro o perché si sentono ispirati a farlo bene, lavorano soltanto col minimo impegno che gli garantisce di essere pagati. La paura è una forza motivante altrettanto debole. Le aziende che si reggono sulla paura finiscono con una forza lavoro di dipendenti risentiti che non vedono l'ora di approfittare del boss.

“C'è un solo modo al mondo per indurre qualcuno a fare qualcosa," insegnò Dale Carnegie, "ed è quello di far sì che voglia farlo. Ricordate, non c'è nessun altro modo.

“Certo, puoi convincere qualcuno a consegnarti il suo orologio ficcandogli la canna di una pistola fra le costole. Puoi costringere i tuoi dipendenti ad accordarti la loro collaborazione, finché non gli volti la schiena, minacciandoli di licenziamento. Puoi obbligare un bambino a fare quello che vuoi, sculacciandolo o minacciandolo. Ma questi metodi brutali hanno ripercussioni indesiderabili.”

Allora che cosa vogliono le persone realmente? “Non molte cose," è la risposta di Carnegie. “La salute e la difesa della vita. Cibo. Sonno. Denaro e le cose che si possono

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acquistare. La vita nell'aldilà. Grafificazione sessuale. Il benessere dei figli. Un senso d'importanza.

"Quasi tutti questi desideri di solito vengono soddisfatti, tutti fuorché uno. E’ un desiderio profondo e quasi imperioso come quello del cibo o del sonno: quello che Freud chiama 'desiderio di grandezza'. Dewey lo chiama 'desiderio di essere importanti'."

Date a qualcuno uno scopo reale, la sensazione che stia lavorando per un fine valido, importante per entrambi. E’ da questo che proviene la vera motivazione, motivazione non semplicemente a compiere le azioni richieste dal lavoro, ma motivazione a eccellere.

Dunque, date riconoscimenti agli altri. Includeteli nella vostra visione. Incoraggiateli. Istruiteli. Richiedete le loro opinioni. Lodateli. Lasciate che prendano delle decisioni. Ricercate i loro consigli e quando potete seguiteli. Dategli modo di comprendere quanto sono apprezzati. Incoraggiateli ad assumersi dei rischi. Concedetegli la libertà di lavorare come ritengono opportuno e trasmettetegli la vostra fiducia nelle loro capacità, tirandovi talvolta in disparte.

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Mostrategli, in altre parole, che nutrite per loro fiducia, rispetto e sollecitudine. Fatelo, e sarete circondati da persone motivate.

Come insegna Bill Geppert, “prendetevi cura dei vostri dipendenti, e l'azienda si prenderà cura di se stessa.” Geppert è direttore generale della Cox Cable a New Orleans, una posizione che lo rende responsabile di trecento impiegati. Fra questi c'è Brian Clemons, un giovane tecnico che lavora per la Cox nella periferica Jefferson Parish. Clemons si trovava in vacanza quando, una mattina, si fermò a un deposito per acquistare del legname da costruzione. Mentre aspettava che il suo legname venisse segato, sentì per caso un uomo che si lagnava della Cox. Mentre questi parlava, otto o nove altri clienti ascoltavano in crocchio intorno a lui la sua storia di un guasto al suo impianto televisivo via cavo.

“Ora, Brian avrebbe potuto fare diverse cose," arguì in seguito Geppert, raccontando quello che successe poi. “Era in vacanza, aveva da fare e sua moglie lo aspettava a casa. Quindi avrebbe potuto limitarsi a farsi gli affari suoi, ignorando quanto veniva detto. Cosa fece Brian? Brian Clemons si fece avanti e disse: 'Signore, non ho potuto fare a meno di ascoltare quello che stava dicendo. Io lavoro per la

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Cox. Può farmi il favore di darmi l'occasione di risolvere la situazione? Le garantisco che noi possiamo provvedere al suo problema.'

"Figurarsi le facce di quegli otto. Erano allibiti. Brian, che non portava la sua uniforme, andò a un telefono pubblico, si fece passare l'ufficio e chiamò una squadra del servizio assistenza. Quando quel cliente rincasò, si vide arrivare gli uomini inviati da Brian, che ripararono il guasto. Più tardi scoprimmo che Brian aveva anche fatto qualcosa di più. Tornato al lavoro volle informarsi che il cliente fosse rimasto soddisfatto. E gli diede un credito di due settimane sul proprio conto, scusandosi per l'inconveniente.”

Un fatto raro? In certe organizzazioni, non si è mai sentito di un servizio del genere. Dei dipendenti che si assumono questo tipo di responsabilità? Che s’intromettono in faccende che non rientrano specificamente nelle loro mansioni? Che “sprecano” il loro periodo di vacanza? Improbabile. Ma Geppert si è dato da fare per rendere questo atteggiamento abituale alla Cox. Ha aiutato i suoi dipendenti a comprendere che la Cox è la loro impresa e che il suo successo determinerà il loro successo. “Questo può essere un lampo sfolgorante di comune buonsenso.” precisa Geppert,

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“ma è il genere di cose in cui vogliamo che i nostri dipendenti si sentano coinvolti e che vogliamo che facciano."

E in che modo potete obbligare dei dipendenti ad acquisire questo tipo d'interesse per il loro lavoro? La risposta è: non potete. Gli altri non possono mai essere costretti a fornire prestazioni straordinarie. Offrono prestazioni straordinarie solo se lo vogliono. La sfida consiste nel dargli un motivo per volerlo fare.

“L'azione scaturisce da quello che fondamentalmente desideriamo," ha scritto Harry A. Overstreet in quel suo libro senza tempo che è Influencing Human Behavior (Come influire sul comportamento umano). “Il miglior consiglio che può essere dato agli aspiranti persuasori, sia negli affari che in famiglia, sia a scuola che in politica, è questo: 'Primo, suscita nell'altra persona una forte determinazione. Chi è in grado di far questo, ha il mondo dalla sua parte. Chi non è in grado, ha davanti a sé un cammino solitario."' L'intuizione di Overstreet rimane vera ancora oggi.

David McDonald, presidente della Pelco Corporation, una fiorente impresa di apparecchiature di sicurezza della costa occidentale, ha compiuto uno splendido lavoro

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instillando questo atteggiamento positivo e volonteroso. Egli tratta i suoi dipendenti rispettando la loro dignità. Gli comunica i valori d'impresa in cui possano credere. Dà loro l'autonomia di decidere in che modo preferiscono svolgere le loro mansioni. I risultati sono stati eccezionali.

"Abbiamo un impiegato di nome Bill Reese che lavora nell'ufficio vendite," ricorda McDonald. "Un venerdì mattina Bill ricevette una telefonata da un cliente di Seattle. L'uomo era disperato. Pensava di averci ordinato mesi prima una speciale apparecchiatura di sicurezza per un impianto di grande importanza destinato a una compagnia di navigazione, mi pare.

"Quando stava per completare il suo impianto, si accorse che non aveva l'apparecchiatura della Pelco. Si rese conto che, prima di tutto, non l'aveva mai.ordinata. Il lavoro avrebbe dovuto essere ultimato il giorno dopo, un sabato, altrimenti sarebbe incorso in una pesantissima ammenda. Non sapeva che fare. Noi eravamo gli unici fornitori di questo tipo di materiale. L'uomo telefonò a Bill prestissimo quella mattina. Il prodotto che gli serviva era uno dei pochi che fabbrichiamo espressamente su ordinazione. Non ne avevamo nessuno in magazzino e, d'altra parte, ci sarebbe

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stato bisogno di un martello speciale per installarlo sul posto. Bill rispose che avrebbe fatto del suo meglio.

“Andò nel nostro stabilimento e scavalcò l'intero sistema di controllo della produzione; iniziò un lavoro di produzione da zero e convinse tutti quanti a mettersi al passo. Mi pare che quest'ordinazione richiedesse quindici di queste apparecchiature. Lui mobilitò il nostro reparto di fabbricazione e lo portò al massimo dell'efficienza. Ma quando si trattò di passare all'assemblaggio, non avevamo le telecamere a circuito chiuso. Allora contattò il nostro fornitore di Los Angeles e fece in modo che quindici di queste telecamere fossero spedite direttamente da quella città. Un incaricato le portò all'aeroporto di Los Angeles non appena egli ebbe riappeso la cornetta. Arrivarono poche ore dopo a Fresno, e lui era all'aeroporto per ritirarle. Bill prese le telecamere e le portò in fabbrica, giusto in tempo per farle montare al resto delle apparecchiature appena sfornate dalla catena di montaggio, circa quindici minuti prima del termine di consegna all'aeroporto.

"Bill aveva preso accordi con la United Airlines perché trovasse posto sull'aereo diretto a San Francisco per questa merce, che doveva essere spedita subito al nostro cliente a

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Seattle. Così, Bill e qualcun altro portarono queste apparecchiature all'aeroporto. Ma c'era stato un improvviso avvicendamento e l'uomo della compagnia aerea con cui Bill aveva parlato non era più là. Il suo collega non aveva la minima idea di come stessero le cose. Fra lui e Bill si accese un'accalorata discussione. A un certo punto l'uomo dell'United Airlines guardò al di sopra della sua spalla e disse: ‘Be', a ogni modo non importa più perché è troppo tardi. L'aereo se ne sta andando, si allontana dal cancello.'

“Spintosi ormai fino a quel punto, Bill non aveva intenzione di demordere. Attraversò di corsa il deposito della compagnia, arrivò fino alla scaletta. Ormai l'aereo aveva avviato i motori e rullava verso la pista. Bill lo raggiunse. Gli sbarrò la strada. Richiamò su di sé l'attenzione del pilota. L'aereo era un Jet 737. Bill lo costrinse a fermarsi. Il pilota per poco... Be', lei sa quello che per poco non fece. L'aereo fu portato al cancello. E, dopo tutto quello sforzo, Bill riuscì a far caricare a bordo la merce. Il nostro cliente la ricevette quella sera a Seattle e ultimò la sua installazione il giorno dopo."

Quello che rende ancora più straordinario l'episodio, sottolinea McDonald, fu che "durante tutto questo tempo,

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niente di quanto avvenne ricevette la supervisione di qualche manager. La dirigenza non si accorse neppure minimamente di tutto quel movimento finché non fu finito. Non è possibile costringere qualcuno a fare una cosa del genere. Bisogna indurlo a volerla fare.”

E le persone possono voler offrire prestazioni del genere soltanto se si sentono una parte importante dell'organizzazione. Ed è per questo che è necessario che siano rispettate e incluse in una visione aziendale che possano comprendere. E’ per questo che devono avere degli interessi in gioco nelle loro vite lavorative. E’ per questo che i loro successi devono essere ricompensati, lodati e festeggiati. E’ per questo che i loro insuccessi devono essere affrontati con tatto. Fate queste cose. Poi tiratevi indietro e osservate il concretizzarsi dei risultati.

Non c'è niente di nuovo in questo concetto. Una volta fu chiesto a Dwight Eisenhower qual era il segreto che gli aveva permesso di ammansire un turbolento Congresso. Credete che l'ex generale abbia accennato alla disciplina militare o ai poteri presidenziali per cui la forza ha ragione di tutto? Neanche lontanamente. Egli parlò di persuasione.

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“Non si comanda colpendo la gente sulla testa,” proclamò, “questa è aggressione, non leadership."

E aggiunse: “Preferisco convincere un uomo a stare al mio fianco, perché una volta che è stato convinto rimane. Se lo terrorizzo, rimarrà fintanto che è spaventato, ma poi se ne andrà."

Il potere della persuasione non è mai stato tanto importante come oggi. La Apple Computer ha compreso questa verità. Lo stesso vale per la Corning e per la maggior parte delle aziende che vantano una buona gestione. Mettete a parte gli altri di quello che state facendo. Fate che gli appartenga davvero. Loro lavoreranno e lavoreranno, e ancora lavoreranno.

Una volta che questo principio fondamentale è riconosciuto e compreso, è facilissimo immaginare ogni genere di specifiche tecniche di motivazione. Ma alla base di tutto ci sono tre importanti concetti di comportamento umano.

1. I dipendenti devono essere coinvolti in tutte le

parti del processo, passo dopo passo. Qui la chiave è il lavoro di gruppo, non la gerarchia.

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2. I dipendenti devono sempre essere trattati come persone. Riconoscete sempre la loro importanza e dimostrate di considerarli con rispetto. Sono in primo luogo persone, e in secondo luogo dipendenti.

3. Il lavoro di qualità superiore dev'essere incoraggiato, riconosciuto e premiato. Ciascuno risponde alle aspettative. Se trattate le persone come se fossero capaci e intelligenti, e le lasciate fare, è esattamente così che si dimostreranno attraverso le loro prestazioni.

Coinvolgere le persone. Nella grossa azienda

tradizionale, spesso i dipendenti si sentivano un po' alienati. Ciascuno era un semplice numero, uno su migliaia, un ingranaggio umano in una gigantesca ruota industriale. Esistono letteralmente centinaia di storie, raccontate così spesso da essere diventate una leggenda, d'impiegati disamorati del loro lavoro che telefonano dicendosi malati o passano più tempo oziando che dandosi da fare alle loro scrivanie. Se gli impiegati di una ditta si sentono così vuol dire che è condotta male. I suoi obiettivi non sono diventati i

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loro obiettivi. Nessuna azienda può avere successo in una situazione del genere.

Oggi, i leader di successo comprendono addetti a ogni aspetto del processo lavorativo: ideazione, fabbricazione, inventario, marketing.

I leader creano squadre. Non emanano ordini dall'alto. Si rendono conto che i dipendenti che svolgono materialmente il lavoro possono all'atto pratico prendere delle decisioni. Indubbiamente, i dipendenti che sono coinvolti nel vero processo decisionale rispondono meglio di quelli che non lo sono.

L'American Airlines, ampiamente riconosciuta come la compagnia meglio gestita di questo convulso tipo di industria, ha istituzionalizzato una sorta di gestione del consenso. Il presidente della società, Robert Crandall, spiega: “L'intero concetto per cui aziende di queste dimensioni sono dirette completamente dalla volontà di un'entità singola è assurdo. Esisteranno forse imprese gestite in questo modo, ma io non credo. Per la maggior parte, società di questo tipo sono condotte su una base di consenso. In definitiva, la decisione spetta sempre al massimo dirigente, che deve assumersene la responsabilità. Ma il mio

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compito consiste molto di più nell'esaminare possibilità, nell'aggregare un gruppo e nel ricercare il consenso fra i membri di questo gruppo, che non nell'imporre soluzioni.”

Martin Edelston, presidente della Boardroom Reports, dirige la sua casa editrice di bollettini d'informazioni commerdali con lo stesso sistema all'insegna del consenso: sollecitando costantemente suggerimenti dai suoi sessantacinque impiegati.

“Può rendersene conto quando si guarda intorno," afferma Edelston. “Nessuno di noi qua è uno scienziato spaziale. Nessuno ha niente di straordinario.” Com'è possibile allora che questi stipendiati "senza niente di straordinario” abbiano prodotto risultati così straordinari? "Ho chiesto a ciascuno di suggerirmi due idee per rendere più interessanti le nostre riunioni," spiega Edelston. “Così abbiamo ricevuto dal personale migliaia d'idee su ogni argomento immaginabile."

L'intera forza lavoro è guidata da consigli, secondo una modificazione del kaizen, il sistema giapponese rivolto al continuo miglioramento. "Se mi suggerirete due modi per migliorarmi, mi congratulerò con voi," dichiarò Edelston. “Ditemi voi come posso compiere meglio il mio lavoro. Se

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seguirò i vostri consigli, vi sentirete molto soddisfatti. Una settimana dopo chiedo altri due consigli, e poi altri due, e così qualcosa si muove. Ho preso sessantacinque impiegati e ne ho fatto dei giganti. Ora abbiamo un'azienda con un fatturato di oltre un milione di dollari per dipendente."

Steven Jobs e Steven Wozniak adottarono un analogo metodo non gerarchico, quando cominciarono a formare il quadro dirigenziale della Apple Computer. A loro non interessava poi molto chi fosse il capo. Peter O. Crisp, socio gestore della Venrock Assodates, una finanziaria che sostenne la Apple nei primi tempi, sorride ancor oggi nel parlare dello stile non ortodosso dei fondatori: "Si chiedevano: 'Abbiamo questo marchingegno, che ha delle compqnenti elettroniche di cui speriamo di fare molte copie. E’ necessario fabbricarle a basso costo, e inoltre devono essere molto affìdabili. Quale ditta nel paese è la miglior produttrice di materiale tecnologico che abbia queste caratteristiche?'"

La Hewlett-Packard, conclusero. “Così Jobs e Wozniak dicevano: 'Bene, andiamo a cercare il vicepresidente degli stabilimenti della Hewlett-Packard e assumiamolo.'

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“Cercavano il vicepresidente della Hewlett-Packard. Se non riuscivano a trovarlo, cercavano di scoprire chi era il suo assistente, o quale fra gli stabilimenti della Hewlett-Packard era gestito meglio. Andavano a scovare chi era l'incaricato della fabbricazione e cercavano di prenderlo al loro servizio. Gli facevano offerte allettanti. Così si procuravano un elemento con molta esperienza e poi gli dicevano: 'Bene, adesso ci spieghi cosa dobbiamo fare.' E i dipendenti della Apple assistevano il nuovo arrivato attuando i suoi progetti.

"Hanno assunto in questo modo un addetto al marketing, uno alla fabbricazione e uno alle risorse umane. Loro si sono fatti da parte. Sa, a volte, quando si crea un'azienda, il fondatore è lo scienziato capo. Può essere riluttante ad assumere un braccio destro perché non vuole cedere troppe azioni o troppo della sua autorità o avere qualcuno che possa realmente sfidarlo. Gli imprenditori possono essere molto possessivi. In questo caso è stato l'esatto contrario. I due fondatori hanno detto: 'Adesso fate voi.'” Così si affidarono ai loro dipendenti, coinvol gendoli nelle sorti dell'azienda.

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Per raggiungere risultati come quelli ottenuti dalla Apple, bisogna seguire la regola numero due. Interessatevi ai vostri dipendenti e fateglielo sapere: Trattare le persone come persone. Questo è il secondo concetto fondamentale della motivazione.

"Siate gentili coi vostri dipendenti e trattateli con rispetto,” raccomanda David McDonald della Pelco. "Investite generosamente in loro, e non aspettatevi che questo produca automaticamente nuovi profitti. Piuttosto, approfittate pienamente delle vostre risorse umane rivalorizzate, stabilendo nuovi obiettivi ambiziosi per i vostri dipendenti, obiettivi che si traducano in prestazioni straordinarie a beneficio dei clienti e quindi incrementino i profìtti."

Dite: "Salve.” Sorridete. Fate la conoscenza dei vostri dipendenti. “I dipendenti dovrebbero essere trattati come membri della vostra famiglia," esorta Joyce Harvey, presidente della Harmon Associates Corporation, una consodata interamente di proprietà della Fort Howard Corporation. “Non potete aspettarvi che altri facciano cose che personalmente non fareste. Dovete occuparvi

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sinceramente dei vostri dipendenti. Così avrete in cambio lo stesso grado di rispettò.

"Il mio ex principale aveva nel suo ufficio uno schema con i nomi di tutti i suoi dipendenti e altri dati su di loro. Così li conosceva per nome e conosceva le loro famiglie, sapeva come andavano le cose per loro. Girava per la fabbrica e diceva: 'Salve, Joe,' 'Salve, Sam,' 'Salve, Mary.' S'interessava a loro, e glielo faceva sapere." Questo sembrerà forse antiquato, ma è ancora più importante oggigiorno.

Il terzo concetto fondamentale della motivazione è importante quanto gli altri due: Riconoscere un lavoro ben fatto. Non siate il genitore arcigno e severo che ha angustiato l'infanzia di molti di noi. Quello che non si felicitava con noi quando gli presentavamo una pagella con voti eccellenti. Lui semplicemente se l'aspettava. Non scorderemo mai la nostra delusione. La stessa delusione che possiamo provare da adulti. C'è ancora un fanciullino in ciascuno di noi, un fanciullino che vuole essere lodato. Quindi non dimenticate: quando gli altri hanno fatto un buon lavoro, vogliono sentirselo dire. Usate gli elogi con generosità e frequenza.

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Esistono letteralmente dozzine di semplici tecniche per festeggiare i successi. Alla Cox Cable, Bill Geppert impiega quelle più all'avanguardia. “Teniamo raduni," riferisce, “incontri. Durante le nostre assemblee mensili recitiamo delle scenette per ribadire questo messaggio e rendiamo tutti questi obiettivi visibili alla nostra gente. Organizziamo festeggiamenti. Carichiamo i nostri dipendenti su camion dell'esercito, li scarrozziamo per la città e discutiamo di come possiamo essere competitivi con i concorrenti più agguerriti. Nelle nostre feste abbiamo avuto fuochi artificiali e intrattenitori fatti venire per esemplificare l'estrema qualità verso cui tendiamo. Abbiamo oratori, premi. Ai convegni degli impiegati distribuiamo denaro. Ricorriamo a ogni mezzo per mantenere i nostri dipendenti coinvolti ed entusiasti."

John P. Imlay Jr., presidente della Dun & Bradstreet Software Services, ha il suo metodo per premiare il personale. “Per tutta la mia carriera ho avuto un motto molto semplice: le persone sono la chiave. Ho incaricato Tiffany di creare una chiavetta che tutti noi portiamo all'occhiello. Sembrerà una sciocchezza. Ma a quel tempo avevamo corso il rischio di fallire, e io volevo dimostrare la mia gratitudine

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ai miei dipendenti. Loro si sentirono commossi quando ricevettero questo omaggio. Una chiave d'argento per quelli che sono con noi da meno di cinque anni. Una chiave d'oro per quelli che hanno superato i cinque anni. E le donne con più di dieci anni di anzianità di servizio hanno in dono un diamante.”

Comunque scegliate di farlo, fatelo. Fate in modo che chiunque sia coinvolto nella vostra vita sappia che lo rispettate, che apprezzate il suo lavoro, che lui è importante per voi e che voi volete che impari, cresca e realizzi il suo potenziale.

Questo è ciò che si chiama motivazione.

LA MOTIVAZIONE NON PUO MAI ESSERE FORZATA.

LE PERSONE DEVONO VOLER FARE UN BUON LAVORO.

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4 ESPRIMERE UN SINCERO INTERESSAMENTO

PER GLI ALTRI Perché leggere questo libro? Perché non studiare la

tecnica del più grande conquistatore di amici che il mondo abbia mai conosciuto? Chi sarà mai?

Può darsi che domani l'incontriate per strada. Quando sarete a tre metri da lui, si metterà certo a scodinzolare. Se vi fermerete a dargli qualche buffetto sulla schiena, farà salti per mostrarvi quanto gli piacete. E voi sapete che dietro questa dimostrazione d'affetto da parte sua non ci sono secondi fini. Lui non vuole vendervi nessun appartamento, e non vuole sposarvi.

Non avete mai pensato che il cane è l'unico animale che non deve lavorare per vivere? Una gallina deve fare le uova, una mucca deve dare latte e un canarino deve cantare. Ma un cane si guadagna da vivere dando nient'altro che amore.

Voi potete farvi più amici in due mesi interessandovi genuinamente agli altri, che in due anni cercando di far sì

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che gli altri s'interessino a voi. Consentitemi di ripeterlo. Potete farvi più amici in due mesi interessandovi genuinamente agli altri, che in due anni cercando di far sì che gli altri s'interessino a voi.

Eppure io e voi conosciamo persone che si affannano per tutta la vita a tartassare gli altri perché s'interessino a loro. Naturalmente, non funziona. Gli altri non sono interessati a voi. Non sono interessati a me. Sono interessati a se stessi: la mattina, a mezzogiorno e dopo pranzo.

DALE CARNEGIE Lynn Povich, caporedattore della rivista Working

Woman, ha passato venticinque anni della sua vita lavorando per Newsweek. Ha cominciato come segretaria, poi è diventata assistente e alla fine la prima donna a capo della redazione di Newsweek. Questo l'ha messa nella posizione di dirigere scrittori e redattori per cui una volta lavorava come segretaria. "E stata una svolta interessante," commenta.

La maggior parte dei suoi colleghi ha reagito in modo eccellente alla sua promozione, tutti meno uno dei redattori della sezione sei, che ora dipendeva da lei. “Lui è stato contrario all'idea fin dall'inizio: non perché mi avesse in

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antipatia ma perché pensava che avessi ottenuto quel posto solo perché ero una donna e che probabilmente non ne avessi le credenziali. A me non ha detto niente, ma ho saputo da parecchi altri colleghi che la pensava così."

La Povich si sforzò di non darsene pensiero. S'immerse nel nuovo lavoro. Diede il suo contributo all'elaborazione d'idee per nuovi servizi. Dedicò parte del suo tempo a colloqui con gli autori. Espresse un sincero interesse per ciascuno dei settori di cui era responsabile: medicina, mezzi di comunicazione, televisione, religione, moda e nuove idee.

Poi, un giorno, circa sei mesi dopo aver ricevuto quell'incarico, il suo grande detrattore entrò nel suo ufficio e si sedette davanti alla sua scrivania. "Devo dirle una cosa," dichiarò. “Io ero totalmente contrario alla sua promozione. Pensavo che fosse troppo giovane. Pensavo che non avesse l'esperienza necessaria. Ero convinto che avesse ottenuto la promozione solo perché era una donna.

"Ma voglio dirle quanto apprezzi l'interesse che ha dimostrato per il suo lavoro, per gli scrittori e i redattori della sua sezione. Prima di lei ho avuto altri quattro caporedattori. Per me era evidente che tutti si servivano di questo incarico come trampolino di lancio per uno più

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importante. Nessuno mostrava un autentico interesse. Invece è chiaro come il sole che lei prova un sincero interesse, e lo dimostra a tutti.”

Non sorprende che la Povich abbia portato lo stesso stile manageriale, sviluppato nel corso degli anni, nella redazione di Working Woman. E’ necessario prendere la gente sul serio," spiega. "Prima di tutto, non puoi essere distante. Devi tenerti regolarmente in contatto con gli altri. Io sono sempre in giro, parlo con tutti quanti. Abbiamo un sistema di riunioni regolari così che ciascuno qua sa che c'è un momento particolare, una particolare settimana, in cui può parlarmi a quattr'occhi. Ciascuno sa quando può dirmi quello che vuole. Io sono disponibile. M'interessa quello che gli altri stanno facendo. M'interessa il loro lavoro, e m'interessano loro come persone.”

Esprimere un sincero interessamento per gli altri: non c'è modo migliore per far sì che gli altri s'interessino a voi. Le persone rispondono a chi s'interessa sinceramente a loro. Non possono fare a meno di rispondere.

E’ uno dei fatti fondamentali della psicologia umana. L'attenzione che gli altri ci dimostrano ci lusinga. Ci fa sentire speciali. Ci fa sentire importanti. Noi non vogliamo

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allontanarci dalle persone che mostrano dell'interesse per noi. Vogliamo tenercele vicine. Tendiamo a contraccambiare il loro interesse mostrando interesse per loro.

Monsignor Tom Hartman è diventato una sorta di leggenda fra i cattolici di Long Island, a New York. Nel corso degli anni gli è stato chiesto di celebrare più di tremilaottocento matrimoni e di battezzare più di diecimila bambini. Perché tutti questi fedeli si sono rivolti a monsignor Hartman? Non ci sono altri ecclesiastici fra cui scegliere? Certo che ce ne sono, ma pochi riescono a mostrare quell'intenso interessamento per il prossimo per cui Hartman è così famoso.

Lui non presiede a una specie di catena di montaggio di sposalizi. Il suo approccio è più studiato, individuale, personale. Il prelato vuole conoscere il più possibile delle due persone che sono andate da lui per essere unite nel vincolo del matrimonio. Le invita in canonica. Va a trovare le loro famiglie. Per parecchi mesi le guida attraverso una serie di colloqui. In questo modo riesce a organizzare un matrimonio armonizzato ai loro interessi e bisogni personali.

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"Sì, celebrerò il vostro matrimonio," dice a queste coppie, "ma non voglio che sia un semplice rituale. Voglio scoprire il mistero che racchiude. Voglio che sia il miglior matrimonio possibile per voi. Voglio conoscervi a fondo. Voglio parlare con voi di quello che avete scoperto circa la vostra relazione, di quello che suscita il vostro amore reciproco. Voglio sapere quali sono state le vostre difficoltà e in che modo le avete superate. E quando starete per sposarvi, vi comunicherò quello che sono riuscito a sapere di voi."

Un matrimonio col crisma di monsignor Hartman non è la via più rapida e più facile per l'altare. Ma l'interessamento personale di Hartman offre vantaggi inestimabili a queste coppie. Grazie alla sua sollecitudine, la conoscenza reciproca dei fidanzati si fa più profonda. "Quando vedono quanto io abbia a cuore quel momento importante delle loro vite, cominciano ad ascoltarmi anche su altre questioni," sottolinea.

Hartman adotta lo stesso approccio personale quando gli viene chiesto di celebrare un battesimo. Vuole essere informato sulla famiglia, sul bambino, su tutti i particolari che rendono quella nascita così speciale per genitori e

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parenti. Ha addirittura partecipato a corsi Lamaze con una ragazza madre di cui si apprestava a battezzare il figlio.

Questa dimostrazione d'interessamento, egli dice, gli ha conferito un ulteriore grado di credibilità quando si tratta d'incoraggiare futuri padri a sottoporsi anch'essi a questi corsi preparatori. Partecipando egli stesso alle lezioni, riferisce il religioso. "sono riuscito a conquistarmi la fiducia di tanti uomini e ho potuto dirgli: 'Fallo. Il matrimonio t'introdurrà al mistero.' Molti uomini sono tornati da me in seguito, elettrizzati dal passo compiuto, e mi hanno confidato: 'Se non avessi avuto quell'esperienza, sarei rimasto a guardare dentro dall'esterno."'

Ci sono molti modi diversi di dimostrare interessamento, e per la maggior parte sono più facili del dover frequentare corsi Lamaze. Un'espressione d'interessamento può essere semplice come un gradevole tono di voce quando si risponde al telefono. Nel vostro saluto all'interlocutore introducete una nota che faccia capire: "Sono lieto di sentirla.” Quando nel supermercato vedete una faccia nota, salutate quel conoscente ed esprimete un sincero piacere per l'incontro.

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Sorridete agli altri. Imparate correttamente i loro nomi e i loro titoli di studio. Ricordate i loro compleanni. Chiedetegli come stanno i loro mariti o mogli, i loro figli. "Ho sempre saputo che Clarence MacAllister era alla Bristol-Myers," racconta David S. Taylor, segretario-tesoriere della H.G. Wellington, una società finanziaria d'investimento e d'intermediazione. "Nello stesso istante in cui c'incontravamo, scattava questo meccanismo mnemonico. Le due cose sono abbinate nella mia memoria. Non è da tutti. Io dispongo di una banca di ricordi che connette le persone agli affari."

Non si sa mai quando questi nomi possono essere utili. Taylor imparò questa lezione quand'era funzionario nell'industria dei liquori. "Quando lavoravo per la Canada Dry," ricordò, “per me era importante, anche se può essere difficile capire perché, conoscere dipendenti di compagnie aeree. Il fatto è che esse costituiscono un'enorme clientela. La Grumman Aircraft offriva pasti a moltitudini di persone, e aveva un mucchio di distributori automatici di bevande.

"Era un modo per entrare in contatto diretto con loro. Uno poteva telefonare: 'Senta, ho un problema col taldeitali.'

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Il fatto di ricordare quei nomi e poter fare quelle associazioni era enormemente utile.”

Taylor si servì di questa tecnica come base per creare relazioni sincere. Dedicando del tempo alla memorizzazione dei nomi di persone e dei dati connessi, è stato in grado di aiutarle a mettersi in contatto fra loro e di risolvere i loro problemi.

Non limitate queste manifestazioni d'interessamento alle cosiddette persone "importanti" nella vostra vita. Probabilmente di attenzione ne hanno già ricevuta a iosa. Non dimenticate segretarie, assistenti, impiegati, fattorini e tutte le altre persone a cui non siete abbastanza riconoscenti, che vi agevolano la vita. Chiedete come vanno le cose per loro. E’ la cosa giusta da fare... E resterete sorpresi nel constatare con che celerità la corrispondenza arriverà alla vostra scrivania la mattina.

L'interessamento per gli altri è sempre stato una caratterisfica personale di Adriana Bitter, presidente della Scalamandré Silks. Un giorno, nel passare per la sezione dove veniva fabbricata carta da parati, udì per caso il capo di quel reparto chiedere a un dipendente: “Come stai, Louie?"

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"Oh, non troppo bene," rispose Louie, "soffro di depressione.”

La Bitter si avvicinò e gli domandò: “Come mai?" "Ho paura dell'altezza e dei posti chiusi," spiegò Louie.

“Adesso dovrei prendere un aereo per andare a Portorico per le vacanze di Natale e sono terrorizzato."

La Bitter gli rivolse qualche domanda e poi gli consigliò: “Credo che sarebbe una buona idea se si consultasse con un medico."

“Sì, ci sono andato da un medico," obiettò l'uomo, “e ho dovuto salire fino al trentaduesimo piano: che fifa!"

"Farebbe meglio a trovare un dottore che stia al primo piano," suggerì la Bitter.

“Sa, signora Bitter, due notti fa ho fatto un sogno. Ho sognato che avevo un terrore folle, e lei è venuta da me e mi ha preso fra le braccia e mi ha detto di non preoccuparmi.”

Allora la Bitter lo abbracciò e disse: “Non si preoccupi. Passerà. Faccia qualche respiro profondo.”

Parlarono ancora un po'. L'uomo cominciò a ridere e propose: "Perché non viene

sull'aereo con me?"

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La Bitter rise con lui. "E’ partito ieri," annunciò qualche giorno dopo. "Quindi penso che stia bene.”

Le persone rispondono immediatamente a una schietta espressione di calore umano. Dunque, siate sinceri. L'interessamento onesto e sincero dev'essere costruito con l'andare del tempo.

Un modo splendido per aprire una conversazione, anche una conversazione d'affari, è quello di accennare a un particolare che si collega in qualche modo all'interlocutore. Può trattarsi di un quadretto appeso al muro dell'ufficio, di un portamatite fatto da un bambino, di una racchetta da squash appoggiata a un angolo della stanza. Fate un commento che esprima interessamento, ammirazione o calore umano. O fate una domanda di analogo tenore: "Che meraviglia quel quadro. Chi è l'artista?" Oppure: "Il bambino che le ha fatto questo regalo deve volerle un mondo di bene. Scommetto che è uno dei suoi figli." Oppure: "Lei gioca a squash? Mi hanno detto che è un gioco difficile da imparare." In nessuna di queste osservazioni c'è qualcosa di profondo. Ma tutte rivelano un fondamentale interesse personale per l'altro, e mettono in relazione in modo positivo e garbato.

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E’ su dimostrazioni d'interessamento di questo genere che si basano le relazioni umane di successo. Sono i piccoli particolari che dicono: "Lei è importante per me. Lei m’interessa. Mi sta a cuore.” Quasi a nessuno a questo mondo spiace sentirsi rivolgere simili attenzioni.

Tutto andava bene per Steven e Robin Weiser. Steven faceva affari d'oro con la sua agenzia di assicurazioni. Avevano una splendida casa in periferia. Lui era un munifico filantropo. La loro figlia maggiore frequentava il primo anno all'università di Yale, e le figlie minori, due gemelle, si facevano onore alla scuola media.

Ma la sera di un sabato, mentre Steven e Robin cenavano in un ristorante, lui fu stroncato da un attacco di cuore. Aveva soltanto quarantacinque anni.

Al funerale parteciparono centinaia di persone. La sua scomparsa aveva commosso amici, colleghi, dirigenti d'istituzioni benefiche da lui sovvenzionate. Molti di loro fecero telefonate di condoglianze alla sua famiglia.

Ciò che aveva commosso, quasi quanto la sua fine prematura, fu quello che sua moglie disse quella sera: “E’ un peccato che Steven non sapesse a quanta gente aveva toccato il cuore, quanti fossero quelli che gli volevano bene."

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Possibile? Con tutti quegli amici e colleghi? Con tutto l'impegno che aveva profuso a favore dei bisognosi? Evidentemente, poche di queste persone gli avevano detto quello che provavano per lui.

Non fate lo stesso errore. Quando provate dell'affetto per qualcuno, un amico, il coniuge, un collega, fateglielo sapere in tutti i modi. E fatelo fintanto che ne avete la possibilità.

Ancora più importante dell'esprimere a parole interessamento è il mostrarlo. La società Harrison Conference Services organizza convegni e seminari, occupandosi di tutti i fattori logistici, in modo che i clienti possano concentrare le loro energie sulla reale sostanza dei lavori. Per prosperare, un'azienda come la Harrison deve continuamente mostrare ai suoi ospiti che è sinceramente e costantemente interessata a loro.

Non è sufficiente disporre di eccellenti strutture per conferenze, come quelle che indubbiamente la Harrison può vantare. Non basta avere sale sontuose, una cucina di prim'ordine, un apparato audiotelevisivo ad alta tecnologia o una ricca possibilità di scelte ricreative. La Harrison possiede tutto questo, ma se gli ospiti non sentissero di

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essere trattati con interessamento e rispetto, darebbero la loro preferenza a imprese concorrenti.

"Ricordo un ospite che partecipava a uno dei nostri convegni internazionali," rievoca Walter A. Green, presidente della Harrison. “Veniva dalla Cina. Una delle nostre hostess lo sentì per caso confidare a qualcuno che sentiva la mancanza della cucina del suo paese. Per combinazione, la donna era una cuoca cinese immigrata. Il giorno dopo andò a casa e preparò dei piatti cinesi speciali e li portò sul posto di lavoro. L'ospite si mostrò commosso oltre ogni dire per questa sollecitudine nei suoi confronti e per il piacere e la soddisfazione di potere far assaggiare specialità del suo paese agli altri commensali."

L'atto della hostess comunicava questo: “Noi siamo interessati, sinceramente interessati, continuamente interessati a lei.” Chi non apprezzerebbe questo genere di attenzione?

Fortunatamente, questo modo di relazionarsi con gli altri è un'abitudine di facile apprendimento e molto gratificante. Tutto quello che ci vuole è la presa di coscienza di quanto sia importante e un poco di pratica. Fatene la prova con la prima persona che incontrerete: "Com'è andata

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con quella casa per le vacanze che aveva intenzione di comprare?” Oppure: “Che vista stupenda si gode da qua. Verrebbe voglia di stare alla finestra tutto il giorno."

Cominciate ad adottare questo sistema e vedrete che diventerà rapidamente un'abitudine naturale nella vostra vita. Prima ancora di rendervene conto, esprimerete interessamento, mostrerete interessamento e sarete in effetti più interessati a coloro che vi circondano. Il beneficio aggiuntivo è che uno schietto interessamento per gli altri vi farà uscire da voi stessi, rendendovi meno ossessionati da quelli che possono essere i vostri problemi.

Più sarete interessati agli altri, più le vostre relazioni personali saranno soddisfacenti e meno vi capiterà di rimuginare pensieri negativi. Un ritorno di non poco peso per qualche parola gentile.

Harvey Mackay, autore di successo di libri sul modo di condurre gli affari, iniziò la sua carriera in una fabbrica di buste. Fu qui che imparò molte delle lezioni di cui si compongono i suoi best-seller. “Sono molto bravo a lavorare sulle doti creative," afferma Mackay, "e quando dico una dote creativa non parla di qualcosa che sia caro e costi denaro."

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Uno dei suoi venditori di buste non gli sembrava professionalmente molto dotato. “Lo giudicavo un venditore di serie C," ricorda. “Una volta, mi ha detto che uno dei suoi acquirenti aveva una bambina piccola, così è sceso a comprare un regalo. Bene, questo è magnifico. Ma il regalo non era per la bambina. Era per il fratellino, che era geloso. Un marmocchio di un anno e mezzo. Quel solo gesto mi ha colpito immediatamente. Da quel momento non l'ho più considerato di serie C. Adesso è il nostro direttore delle vendite.”

Esprimere questo tipo d'interessamento per gli altri è particolarmente importante quando sei un ragazzino nuovo nell'isolato. Bill Clinton sembrava averlo già imparato da piccolo, il primo giorno che si presentò all'asilo. Si mostrò, ha raccontato in seguito la sua maestra, caloroso con gli altri bambini e interessato a loro in modo addirittura commovente.

"Ciao," diceva a tutti. "Io mi chiamo Bill. E tu?" Niente di speciale? Può darsi. Ma nessuno dei suoi ex compagni di classe di Hope, nell'Arkansas, mostrò la minima sorpresa quando Billy fu eletto presidente degli Stati Uniti.

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Rivolgere un saluto aperto, cordiale e improntato a un sincero interessamento è altrettanto importante quando siete un nuovo arrivato in un ufficio o aprite un nuovo negozio in città. Il messaggio non dovrebbe essere: sono qua, adesso cosa potete fare per me? Dovrebbe essere invece: sono qua, adesso, cosa posso fare per voi?

Quindi offritevi come volontario per l'ospedale locale. O come allenatore per una squadra di calcio di ragazzi. Entrate nell'assodazione genitori e insegnanti. Datevi da fare per le organizzazioni assistenziali locali. Sono tutti sistemi per mostrare interesse per la comunità, per dire: "Questo luogo mi sta a cuore." L'una o l'altra di queste iniziative vi aiuterà a fare nuove conoscenze in un ambiente dove vi sentirete a vostro agio. Sarà anche un diletto. Vi farà sentire soddisfatti di voi stessi. Vi aiuterà a sviluppare nuove relazioni, ad acquistare fiducia in voi stessi e a tirarvi fuori dalla vostra cerchia ristretta.

Dale Carnegie comprese questa verità. "Se volete piacere agli altri," scrisse, "se volete stringere vere amicizie, se volete aiutare gli altri e nello stesso tempo aiutare voi stessi, tenete ben presente questo principio: interessatevi sinceramente agli altri."

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A questo riguardo non c'è dubbio che Carnegie abbia messo in pratica quanto predicava, anche a casa con la sua famiglia. J. Oliver Crom, che oggi è presidente della Dale Carnegie & Associates, lo scoprì la p rima volta che s'incontrò con quelli che sarebbero diventati i suoi suoceri.

“Dire che l'idea di fare la conoscenza di Dale Carnegie mi rendesse nervoso sarebbe dir poco,” ricorda Crom. "Be', gli bastarono pochi secondi per mettermi a mio agio, parlandomi di me. Lo fece ponendomi delle domande.” Carnegie semplicemente espresse dell'interessamento per il giovanotto che sua figlia Rosemary aveva portato in casa sua.

“Prima di tutto dissi: 'Lieto di conoscerla, signor Carnegie.' E lui fece: 'Oh, ti prego, chiamami Dale. Signor Carnegie suona così formale.' E poi aggiunse: 'Dunque, lei è nato ad Alliance, nel Nebraska, se ho capito bene.' 'Sì, esatto,' confermai. E lui: 'Dimmi un po', ad Alliance c'è ancora la stessa gente, meravigliosa che c'era tanti anni fa quando facevo il venditore in quella zona?' 'Sì,' risposi, 'c'è ancora.' E lui: 'Parlami un po' di qualcuno dei tuoi condttadini e di te.' Così mi fece parlare di me stesso e di Alliance."

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A partire da questo incontro i progressi furono rapidi. "Facevamo passeggiate nei parchi. Coltivavamo il suo roseto. Andavamo insieme a teatro. Prendevamo la metropolitana e andavamo a vedere Il desiderio del settimo anno, allora in scena a Broadway. Non ricordo gran che della commedia, ma ricordo che quando andammo a fare quattro passi nel parco di Forest Hills lui conosceva tutti i frequentatori abituali. Conosceva il poliziotto. Conosceva tutti i cittadini che portavano a spasso i loro cani e li chiamava per nome. Tutti si fermavano a salutarlo. A quel tempo non mi rendevo conto di quanto questo fosse insolito. Venivo dal Midwest, e pensavo che fosse una cosa normale.”

Stephen Ghysels, oggi presidente della Bank of America, imparò con le cattive quanto sia importante provare un interessamento sincero per gli altri.

Ghysels esordì precocemente e alla grande. Alla fine degli anni ottanta, laureato di fresco, era già funzionario in una grande società d'investimenti. A soli venticinque anni, aveva un appartamento in stile Art Déco nella zona occidentale di Los Angeles e una Mercedes nel vialetto

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privato. “Ero convinto di essere arrivato e volevo che la gente lo sapesse. Ero pieno di spocchia.

“Ma quando, nel 1990, cominciò a prospettarsi la recessione,” confessa Ghysels, "il mio principale mi convocò nel suo ufficio e mi annunciò: 'Steve, non c'entra il tuo rendimento. E’ il tuo atteggiamento che non va. In questo ufficio non piace proprio a nessuno lavorare con te. Temo che dobbiamo separarci.'

"Rimasi di sasso. Ma come: io, mister Successo. licenziato? Ero sicuro che avrei trovato subito un altro posto strapagato da funzionario. Errore. Benvenuto in zona recessione, Steve!

“Dopo parecchi mesi di frustrante ricerca di un nuovo lavoro, la scorza di arrogante sicurezza si staccò mettendo a nudo uno spesso strato di paura. Per la prima volta nella vita, persi la fiducia in me stesso e caddi in preda al panico. Dato che in precedenza mi ero alienato le simpatie di tutti, non potevo rivolgermi a nessuno, non avevo nessuno con cui parlare. Ero solo.”

Soltanto allora Ghysels imparò a interessarsi agli altri. Cominciò ad ascoltare. Cominciò a non preoccuparsi solo di se stesso ma anche degli altri. Poté vedere sotto una nuova

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ottica le proprie difficoltà, incontrando persone che si trovavano in condizioni molto peggiori delle sue. Si aprì agli altri e diventò più umano, più amabile e infinitamente più disponibile.

"Ho cominciato a guardare gli altri sotto una luce diversa," ricorda. “Il mio atteggiamento è cambiato. La mia sensibilità si è modificata. Provavo meno paura. La mia mente si apriva. E gli altri cominciavano ad accorgersene. La qualità della mia vita era migliorata, anche se ho dovuto vendere l'appartamento e la Mercedes.

"Sono passati tre anni da allora, e ho di nuovo un posto da funzionario: solo che questa volta sono circondato da collaboratori che posso in tutta onestà definire amici.”

NON C’E’ NIENTE DI PIU’ EFFICACE

E FRUTTUOSO DEL MOSTRARE UN SINCERO

INTERESSAMENTO PER GLI ALTRI.

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5 VEDERE LE COSE DAL PUNTO DI VISTA

DELL'ALTRA PERSONA L'anno scorso avevo bisogno di una segretaria e misi

un annuncio sul giornale, dando un numero di casella postale. Avrò ricevuto trecento risposte. Quasi tutte cominciavano all'incirca così: “Mi riferisco al suo annuncio comparso sul Times di domenica scorsa, sotto Casella 299. Vorrei candidarmi al posto da lei offerto. Ho ventisei anni ecc...”

Ma una donna si dimostrò particolarmente intelligente. Non parlò di quello che voleva. Parlò di quello cbe io volevo. “Caro signore,” diceva più o meno la sua lettera, “probabilmente avrà ricevuto due o trecento lettere in risposta al suo annuncio. Lei è un uomo indaffaratissimo, e probabilmente non avrà avuto il tempo di leggerle tutte. Quindi se vuole cortesemente telefonare subito alla tale, numero tataltro, sarò lieta di venire da lei e aprire le buste, gettare le lettere cbe non fanno al caso suo nel cestino della carta straccia e mettere le altre sulla sua scrivania per

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sottoporle alla sua attenzione. Ho quindici anni di esperienza..."

Proseguiva menzionando gli uomini importanti per cui aveva lavorato. Quella lettera mi fece toccare il cielo con un dito. Afferrai subito il telefono e le dissi di venire, ma ero arrivato troppo tardi. Un altro datore di lavoro se l'era già accaparrata. Una donna come quella ha il mondo degli affari al suoi piedi.

DALE CARNEGIE Molto tempo prima che avesse messo piede in Madison

Avenue, il genio della pubblicità, Burt Manning, voleva diventare uno scrittore. Non un copywriter, ma un narratore. Così, il giovanotto sgobbava ogni giorno alla sua macchina da scrivere, sfornando racconti, romanzi e quelli che giudicava drammi avvincenti. Ma, come la maggior parte dei giovani scrittori, non ce la faceva a sbarcare il lunario con i suoi scritti. Aveva bisogno di un lavoro per pagare le bollette.

Non trovò altra soluzione che la vendita porta a porta. Vendette enciclopedie, utensili da cucina e perfino, in vecchi quartieri popolari della nativa Chicago, terreni cimiteriali.

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Quest'ultimo prodotto si dimostrò il più lucroso: ma non subito, e questo non per mancanza di buona volontà. Ogni sera, dopo un intero giorno passato alla macchina da scrivere, Manning indossava completo e cravatta. Prendeva la sua cartella di venditore e andava a bussare alle porte della gente. A chi gli apriva esaltava entusiasticamente i vantaggi degli investimenti in terreni da sepoltura: il rapido incremento demografico di Chicago avrebbe certamente determinato una grande richiesta di posti in cimitero, assicurava, e poi la garanzia di cinque anni con cui la sua ditta assicurava il rimborso, se non erano soddisfatti, faceva sì che l'affare non presentasse rischi.

"Si trattava effettivamente di un ottimo investimento a basso costo, e io ne ero convinto. Ma non riuscivo a vendere niente. Non affrontavo la questione dal punto di vista dei potenziali clienti. Invece di far leva sui loro interessi più importanti, continuavo a concentrarmi sugli aspetti finanziari dell'affare. Ma il prodotto che volevo vendere presentava aspetti molto più importanti a cui non avevo pensato."

Manning aveva mancato di porsi l'interrogativo fondamentale. "Io dovevo chiedermi: 'Che cosa realmente

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importa a queste persone? Che cosa le distingue per il loro modo di pensare da altre che io posso conoscere? Che cos'ho da offrire che possa farle sentire soddisfatte di se stesse e di quello che stanno facendo per le loro famiglie?'"

Una volta che questi interrogativi furono posti, fu abbastanza facile trovare la risposta. “Il quartiere era il Back of the Yards, a tessuto etnico molto omogeneo,” precisa Manning. "L'unità familiare era estremamente importante. Tutti erano molto vicini ai loro familiari: cugini, nonni, zii, zie. Restavano uniti. Non volevano lasciare il loro quartiere."

Neanche dopo la morte, immaginò Manning. Quindi, invece di parlare d'investimenti e di finanza, pensò che avrebbe dovuto parlare di famiglia, di vicinato e dell'opportunità di non allontanarsene. Quel terreno di sepoltura, osserva, ripensando a quei tempi, "effettivamente offriva a quei cittadini la possibilità di avere, se lo volevano, l'intera compagine familiare in un camposanto che avrebbero potuto visitare agevolmente, invece di dover fare due o trecento chilometri per pregare sulla tomba del nonno o del bisnonno. Queste erano cose molto importanti per loro.

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"All'inizio non me ne ero reso conto. Sapevo soltanto che offrivo un ottimo investimento a un prezzo ragionevole, ma questo a loro non interessava. Non avrebbero accettato questo tipo di offerta per simili motivi.

“Non appena ho capito quello che gli stava realmente a cuore, quello che volevano, e gli ho mostrato con quanta facilità avrebbero potuto averlo, i miei affari sono andati a gonfie vele."

Manning, che poi conobbe una carriera di successo come direttore dell'agenzia pubblicitaria J. Walter Thompson, ebbe la fortuna d'imparare questa lezione molto presto nella vita: Guardare le cose dal punto di vista dell'altra persona. E’ la chiave fondamentale per farsi strada nel mondo.

Per Manning, l'altra persona era la casalinga di Chicago e suo marito. Ma avrebbe potuto benissimo essere il principale, il collega, il dipendente, il cliente, la moglie, l'amico, o il figlio. Avrebbe potuto essere chiunque. Il principio fondamentale, cerca sempre di comprendere le cose dal punto di vista dell'altro, vale per tutti quanti.

"In futuro ci sarà una richiesta molto maggiore di leader," prevede Bill Makahilahila della SGS Thompson,

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una fabbrica su scala mondiale di semiconduttori. "Che tu sia un portiere o un receptionist, devi imparare a trattare con la gente. Se pensi che il fatto di avere una posizione ti conferisca l'autorità di passare sulla testa degli altri, ti sbagli, questo non è più vero. Devi cominciare a pensare tenendo conto degli interessi altrui."

Una volta che questo atteggiamento si afferma in un'azienda, ha osservato Makahilahila, ne scaturisce un nuovo tipo di comunicazione. "Se impari a pensare tenendo conto degli interessi del tuo principale, inizi su una base nuova. Cominci ad avere un dialogo aperto. Non pensare solo a te stesso. Non pensare soltanto alle tue necessità. Pensa a quelle di George o di Sandy. E pensa a che tipi di domande dovresti porre per arrivare a scoprire quali sono le loro necessità.”

I risultati possono essere straordinari anche nelle vostre relazioni personali.

“Poco tempo fa mio nipote di quattro anni, Jordan, è venuto a dormire da Maxine e me,” racconta Vern L. Laun, uno degli uomini d'affari più in vista di Phoenix. "Quando si è svegliato, quel venerdì mattina, alla Tv c'era il notiziario e io leggevo il giornale. Il bambino ha visto che non ero

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interessato alla televisione, mentre lui voleva vedere i cartoni animati.

"'Gnoggno,' mi ha detto - non è ancora capace di dire ‘nonno', -'vuoi che spengo la Tv così puoi leggere meglio il giornale?' Ho capito che voleva guardare i cartoni animati. Allora ho detto: 'Spegnila pure. Oppure, se vuoi, guarda qualcos'altro.'

"Immediatamente, prende il telecomando, si stende sul pavimento e passa a un canale che trasmette cartoni animati. Aveva solo quattro anni, ma il suo primo pensiero è stato: 'Cosa vuole Gnoggno, in modo che io possa ottenere quello che voglio?'"

Barbara Hayes, vicepresidente del marketing della catena Lerner di New York, è quasi ossessiva quando parla di questo argomento. Nel suo caso - come per molti dettaglianti - l'altra persona è il cliente.

Il processo, per quanto riguarda la Hayes, inizia ancor prima che un potenziale cliente metta piede in un negozio Lerner. “In certi centri commerciali abbiamo venti metri di muro prima dell'ingresso," spiega. "Così il cliente ha ottantacinque secondi per decidere se entrare in quel negozio oppure proseguire.” Tale decisione subitanea, moltiplicata

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per milioni di volte, determina in larga misura il successo o meno di quel negozio Lerner. Come si espresse la Hayes, 1a mia partita si gioca nel giro di quegli ottantacinque secondi.”

Il commercio al dettaglio, altamente competitivo, è all'avanguardia per quanto riguarda l'analisi della visione del mondo dal punto di vista del cliente.

Tutti noi siamo stati in un negozio gestito male. I commessi fanno crocchio, chiacchierando fra loro. Un cliente che entra si sente come un intruso in un circolo privato. Pretende di essere servito? I commessi sono troppo annoiati, troppo scocciati o troppo indaffarati per essere interrotti da un semplice cliente.

Ma l'era del servizio apatico al cliente è finalmente tramontata. Gli acquirenti hanno detto basta. Oggi, i negozi che non si adeguano alla nuova etica per cui il cliente è tutto, tendono a uscire in fretta dalla scena degli affari, trascinando con sé i loro poco zelanti commessi.

Il compianto Sam, Walton impiegava "salutatori" a tempo pieno per i suoi supermercati Wal-Mart: il loro lavoro consisteva unicamente nello starsene a lato delle porte, nel salutare i clienti e nell'indicargli la giusta direzione. Perché? Non soltanto per il senso dell'ospitalità che l'Arkansas aveva

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instillato in Walton. Egli era abbastanza saggio da vedere la sua attività con gli occhi dei clienti. Eccoli entrare in quell'enorme emporio sfolgorante di luci, stracolmo di merci, senza sapere da che parte dirigersi. Il pubblico ha bisogno di essere indirizzato. Apprezza i negozi dove gli viene fornita una guida. E se può localizzare subito gli articoli che cerca, è più facile che li compri. Questo farà contento il cliente, con beneficio del negozio. Un cliente soddisfatto fa l'interesse di qualsiasi esercizio.

"Superate le aspettative dei clienti.” Questa è sempre stata una delle regole di Sam Walton. “Se lo fate, torneranno più e più volte. Dategli quello che vogliono e un po' di più.”

La catena di grandi magazzini Nordstrom è riuscita a vendere anche durante la recessione della fine degli anni ottanta e dell'inizio degli anni novanta. La priorità assoluta di tali empori è questa: vedere le cose con gli occhi del cliente.

"Nordstrom è il dettagliante più temuto del mondo," sostiene il consulente commerciale Denis E. Waitley. "Mia moglie, Susan, ha scoperto che i suoi commessi sono i migliori alleati del cliente. Ha comprato due paia di scarpe Nordstrom e dopo averle portate per due settimane le ha

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restituite. Un paio di scarpe le faceva male, e loro hanno preso indietro entrambi i modelli. Nessun problema. Si può fare. Il cliente è sempre il re o la regina. I clienti sono altezze reali, trattati come noi vogliamo essere trattati. La regola è questa."

Malgrado ciò, Waitley non era preparato alla telefonata che una sera ricevette a casa sua. Era in linea una donna dalla voce che sprizzava cordialità.

Dice: "Salve, posso parlare con la signora Susan Waitley, per favore? Sono Martha, la sua addetta al servizio del cliente dell'emporio Nordstrom."

Waitley rispose: "Martha, lei dev'essere una commessa che cerca di guadagnarsi punti extra. Cos'è che vuole? Sto per cenare, e non ammetto interruzioni mentre mangio. Cos'ha da dire a Susan?"

E lei: "Sono arrivate in negozio le scarpe della misura e del colore chiesti da Susan, e sto per consegnarle dopo il lavoro.”

Waitley: "Se ricordo bene, lei abita nella Contea Sud. Noi abitiamo nella Contea Nord, che è fuori dal suo itinerario. Io mi metto a tavola fra cinque minuti, e questo

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non le dà abbastanza tempo da poter venire. Grazie comunque per averci provato.”

E la donna: “Le sto telefonando col mio cellulare: sono nel vialetto di casa sua."

"Oh, allora entri pure," fece Waitley. Così Nordstrom realizzò una vendita, e perfino Waitley

dovette ammettere di essere sbalordito. Il negozio vedeva le cose tenendo in gran conto gli interessi dei clienti.

Lo slogan non era: come possiamo fare affari nel modo più conveniente per noi? Era invece: come possiamo fare affari nel modo più conveniente per voi? Fare la gioia del cliente: la morale è tutta qua. E non c'è modo di prendere tutte quelle decisioni senza guardare le cose con gli occhi del potenziale cliente.

Per ogni prodotto che vende, la Dun & Bradstreet Software Services crea un “consiglio dei clienti”.

“Noi non immettiamo sul mercato un prodotto, finché il consiglio dei clienti non ci ha indicato che per loro rappresenta una priorità," specifica John Imlay, il presidente della ditta. “Loro presentano un elenco di priorità. Noi presentiamo un altro elenco, con le caratteristiche e le funzioni del prodotto. Noi vogliamo essere competitivi e i

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clienti vogliono soddisfare le loro necessità. Loro ci forniscono le informazioni che ci servono e noi siamo orgogliosi di risolvere i loro problemi e andare incontro alle loro esigenze."

Questo non è considerato un lusso alla Dun & Bradstreet. E una componente essenziale del modo di condurre gli affari. “Noi non potremmo sviluppare un prodotto senza le indicazioni della clientela," dichiara Imlay, “verremmo a trovarci in una torre d'avorio, e ne faremmo le spese.”

Quest'offica rivolta verso l'esterno non dovrebbe limitarsi ai clienti. Vale anche per dipendenti, fornitori, chiunque altro entri in contatto con voi ogni giorno.

David Holman dirige il settore esportazioni dell'azienda agricola australiana John Holman & Co. Un giorno gli toccò il compito ingrato d'informare uno dei suoi principali coltivatori di una notizia tremenda: il nuovo prezzo dei suoi prodotti sul mercato estero si sarebbe dimezzato rispetto a quello preventivato.

Come prevedibile, l'uomo rispose al telefono con un tremito di panico nella voce. La situazione parve così grave

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che Holman decise di affrontare due ore di macchina per raggiungere la sua fattoria e parlargli di persona.

Quando arrivò sul posto, l'agricoltore si trovava nei campi, che erano un mare di fango. Holman prese in prestito una delle sue paia di stivali e andò a cercarlo.

"Adesso cos'ha intenzione di fare?” gli chiese in tono preoccupato quando lo vide.

Il coltivatore gli parlò di quanto avesse investito in termini di sforzo e di tempo nel raccolto di quell'annata, del peso economico del lavorare la terra negli anni novanta e della sua delusione per i prezzi correnti.

Holman lo ascoltò con viva partecipazione. Non ebbe difficoltà a comprendere il suo punto di vista, i suoi evidenti e gravi problemi. Si limitò a esprimere una calda preoccupazione personale. Ma questo fu sufficiente. Con grande sorpresa di Holinan, senza che neppure dovesse accennare al prezzo che aveva offerto o parlare dell'acquisto del raccolto, l'agricoltore disse: "Capisco che lei è sincero con me e che comprende la mia situazione. Accetto la sua offerta nella speranza che le cose migliorino presto per tutti e due.”

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Dunque, mettetevi "negli stivali”, nei panni dell'altro. Non c'è modo migliore per sdrammatizzare una situazione difficile.

"Avevamo una piccola fabbrica di tappeti in Cina," riferisce Adriana Bitter, presidente della Scalamandré Silks. "Il giorno del massacro di piazza Tiananmen, quando niente funzionava per le grosse industrie, il nostro piccolo opificio fece eccezione. Quel giorno inviammo un telegramma per dire quanto fossimo spiacenti per le sofferenze degli operai cinesi. Non accennammo minimamente all'enorme ordinazione prevista per l'Inghilterra la settimana dopo. Pensavamo: 'Niente da fare. Impossibile che eseguano consegne.' Invece ricevemmo questa risposta: 'Grazie per il vostro telegramma. Abbiamo provveduto alla vostra ordinazione questa mattina.' Non so come fecero a far uscire quella merce dalla Cina, ma ce la fecero. Abbiamo un buon rapporto con quella piccola fabbrica sui monti."

Vedendo le cose dal punto di vista degli operai dell'opificio, la Bitter ottenne l'impossibile: la consegna della partita. Quest'attenzione ossessiva al servizio del cliente è una questione di vita o di morte in ogni attività commerciale. Alla Harrison Conference Services significa

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migliorare i servizi per la clientela femminile od offrire un menù più soddisfacente dal punto di vista dietetico e nutrizionale. Nessun problema. Si può fare.

E non basta aspettare semplicemente che la cassetta dei suggerimenti si riempia o che il postino recapiti le lettere di protesta. E’ d'importanza vitale stare un passo in avanti rispetto ai clienti. Gli imprenditori intelligenti pensano sempre a quello che il cliente vorrà poi: fra qualche giorno, qualche settimana, qualche mese. Tutto quanto rientra nel considerare le cose nei termini degli interssi dell'altra persona: il contrario dell'atteggiamento di chi si chiede che cosa una data situazione abbia da offrire a lui.

Sicuramente non c'è penuria sul mercato di pubblicazioni sul mondo degli affari - riviste, libri, bollettini, servizi telefonici di scambi di dati e messaggi tramite reti e BBS (Bullettin Board System), rapporti via fax - ma la maggior parte di queste pubblicazioni, Edelston ne era convinto, non comunicavano le informazioni pratiche di cui tanti uomini d'affari sentivano acutamente la mancanza. "Sono dedicate quasi esclusivamente a notizie commerciali. Non ti dicono, in termini pratici, come trattare coi tuoi dipendenti, come ridurre i costi dell'assistenza sanitaria. Sì,

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ti parlano del problema dell'assistenza sanitaria, ma non di come cercare di risolverlo.” Così Edelston fondò una società, la Boardroom Reports, per colmare questa lacuna.

Ci vuole un genio per immaginare una cosa del genere? Diremmo di no. Ci vogliono dei leader che si chiedano di continuo: "Come giudica il cliente la nostra ditta? Quale sarà la prossima esigenza del cliente?”

Praticamente ogni azienda può trarre beneficio da una simile visione del mondo.

“L'anno scorso," riferisce Jan Carlzon, presidente della compagnia aerea SAS, "ognuno dei nostri dieci milioni di clienti è entrato in contatto con circa cinque dei nostri dipendenti. Questi cinquanta milioni di momenti di verità sono i momenti che in ultima analisi determineranno il successo o meno della SAS."

La visione delle cose attraverso gli occhi dell'altra persona non si determina da sé. Gli interrogativi non sono complicati, ma devono essere posti. Poneteveli sul posto di lavoro, in famiglia, nell'ambiente sociale. Non tarderete a vedere le cose come le vedono gli altri.

Quali esperienze di vita portano l'altra persona a questa interazione? Che cosa cerca di ottenere in questa situazione?

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Che cosa cerca di evitare? Quali altre persone deve accontentare? Che cosa dovrà determinarsi perché egli possa considerare questo incontro un successo?

Le risposte a queste domande saranno diverse in rapporto ad aziende diverse, anche se certi temi saranno ricorrenti. Ma quali che siano le specifiche risposte, la questione qui non è semplicemente quella di soddisfare ogni desiderio dell'altro. E’ quella di compiere uno sforzo genuino e sincero per scoprire quello che l'altro sta realmente cercando e, per quanto sia umanamente possibile, fornirlo. Come disse Dale Carnegie, "se puoi aiutare le persone a risolvere i loro problemi, il mondo è la tua ostrica."

Ci volle un'adirata lettera di protesta per ricordare a David Luther, della Corning, che la sua idea dell'eccellenza non corrispondeva necessariamente all'idea che ne aveva il cliente. A quel tempo Luther lavorava in Inghilterra. La Corning aveva condotto una vasta indagine fra i suoi clienti, e uno di questi non usò mezzi termini. “La Corning fa schifo," scrisse.

Come avrebbe fatto qualsiasi altro bravo funzionario, Luther volle approfondire i motivi della lagnanza e invitò

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l'uomo, che lavorava in un magazzino stipato di prodotti della Corning, per un colloquio.

“Be', perché mai la Corning fa schifo?” gli chiese. “E’ per via delle vostre etichette," rispose l'uomo. “Ah, ho capito," arguì Luther, sollevato. "Lei deve

averci confuso con qualcun altro. Le nostre etichette sono stampate da un computer. Indicano qual è la fabbrica del prodotto, il paese d'origine, il nostro numero di codice, tutto quello che lei vuole sapere."

Il magazziniere scosse lentamente il capo. “Figliolo," chiese, “è mai stato in un magazzino?"

“Be', sì," rispose Luther, "ho passato dieci anni della mia vita in un magazzino.”

“E’ mai stato nel mio magazzino?” Luther dovette ammettere di non esserci mai stato. "Allora venga a darci un'occhiata," lo invitò l'uomo.

I, due si diressero subito al magazzino. Là le scaffalature erano più elevate di quelle a cui Luther era abituato negli Stati Uniti. Quelle superiori sovrastavano di parecchio la testa di Luther.

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Il magazziniere gli indicò una delle scaffalature superiori. "Abbiamo messo lassù il materiale della Corning," spiegò. "Ma riesce a leggere le etichette da qua?"

“No," dovette ammettere Luther. "Non ci riesco proprio.”

"Ecco cosa non va," concluse l'altro. "Non sono leggibili." Per questo aveva scritto: “La Corning fa schifo."

Quel giorno Luther imparò una lezione preziosa. "Bisogna entrare nell'organizzazione del cliente," dichiarò. "Pensiamo a quell'uomo in quel magazzino. Lui aveva delle esigenze. La sua organizzazione aveva delle esigenze." E non è possibile scoprirle se non ci si prende la briga di chiedere.

Se volete avere relazioni più soddisfacenti coi vostri clienti, i vostri familiari e i vostri amici, guardate le cose dal punto di vista dell'altra persona.

USCITE DA VOI STESSI

PER SCOPRIRE CHE COSA E’ IMPORTANTE PER QUALCUN ALTRO.

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6 ASCOLTARE PER IMPARARE

A una cena data da un editore di New York feci la

conoscenza di un insigne botanico. Non avevo mai parlato con un botanico prima di allora e lo trovai affascinante. Rimasi a sedere sull'orlo della mia sedia ascoltandolo parlare di piante esotiche, di esperimenti sullo sviluppo di nuove forme di vita vegetale e di giardini d'interni domestici. In casa mia avevo uno di questi giardinetti, e il botanico ebbe la compiacenza di spiegarmi come risolvere certi miei problemi.

Come ho detto, eravamo a una cena di gala. Ci saranno stati una dozzina di altri invitati. Ma io violai tutti i canoni della cortesia, ignorai tutti gli altri e parlai per ore col botanico.

Venne la mezzanotte. Salutai tutti quanti e feci per andarmene. Allora il botanico si rivolse al padrone di casa e fece pareccbie osservazioni che trovai lusinghiere. Ero molto stimolante, dichiarò. Io ero così, io ero cosà. E finì dicendo cbe ero un conversatore molto interessante.

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Un conversatore interessante? Non avevo quasi aperto bocca. Non avrei potuto dire

niente senza cambiare argomento, perché non conosco la botanica più di quanto non conosca l'anatomia di un pinguino. Ma avevo fatto questo: avevo ascoltato con estrema attenzione. Avevo ascoltato perché ero sinceramente interessato. E lui l'aveva avvertito. Naturalmente, questo gli aveva fatto piacere. Questo genere di ascolto è una delle massime cortesie cke possiamo tributare a una persona. E così l'indussi a considerarmi un buon conversatore, quando ero stato semplicemente un buon ascoltatore e l'avevo incoraggiato a parlare.

DALE CARNEGIE Ci sono due ottime ragioni per ascoltare gli altri. In

questo modo, s'imparano delle cose e le persone rispondono a chi le ascolta.

Questo appare così ovvio che sembra quasi insensato stamparlo nero su bianco. Ma è una lezione che la maggior parte di noi passa gran parte della vita a dimenticare di applicare.

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Hugh Downs è stato fortunato. L'assiduo ospite del programma 20/20 dell'emittente ABC scoprì presto nella sua carriera di speaker il valore dell'ascolto.

La sua esperienza risale ai tempi della radio, quando Downs iniziò come intervistatore. Egli fu testimone in prima persona di come il semplice fatto di non prestare ascolto abbia fatto compiere un passo falso a uno dei suoi più esperti colleghi.

“Stava intervistando un uomo che era fuggito da una prigione del Cremlino negli anni trenta,” ricordò Downs. "Quest'ospite gli raccontava di come i prigionieri avessero tentato per mesi di scavare un tunnel per evadere. Scavarono e scavarono. Soffrirono le pene dell'inferno. Riuscirono a far arrivare di nascosto una sega. E quando calcolarono che la galleria fosse arrivata fuori dalle mura della prigione, cominciarono a scavare in salita. Una storia drammatica come poche.

"Poi, una sera a mezzanotte, furono finalmente pronti a sbucare fuori. Avevano già segato una botola di legno al di sopra delle loro teste. Ma quando questo recluso cacciò fuori la testa rimase terrorizzato da ciò che vide. 'Quando uscii

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fuori,' raccontò all'intervistatore, 'mi resi conto che ero nel bel mezzo dell'ufficio di Josif Stalin.'

“E sa che cosa disse poi quell'intervistatore?” raccontò Downs, rievocando quel giorno lontano. “Disse: 'Lei ha qualche hobby?'"

Non: "Ma davvero? L'ufficio di Stalin?" O: “Voglio sperare che quella notte Stalin non fosse rimasto a lavorare fino a tardi.” Oppure: "Allora cos'ha fatto, non è stato tentato di sedersi sulla sedia di quel macellaio e di accendersi uno dei suoi sigari?" Se l’intervistatore si fosse dato la pena di ascoltare, sarebbe stato in grado di porre tutte le domande in merito, che senza dubbio le persone che componevano il suo pubblico avevano in mente. Ma la sua attenzione era altrove. Egli non riuscì che a venir fuori con quella risibile banalità. E i suoi ascoltatori furono privati del finale a effetto di una storia avvincente.

“E’ un fatto realmente accaduto," assicurò Downs. “E ho sentito altre interviste come quella, dove il giornalista proprio non prestava orecchio. E sbalorditivo quello che la gente riesce a lasciarsi sfuggire. Ah, già, dice, e chissà dov'è con la testa.”

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L'importanza dell'ascoltare non vale soltanto per intervistatori di professione, naturalmente. E’ vitale per chiunque, dovunque, in qualsiasi momento, speri di comunicare con altre persone.

La capacità di prestare ascolto è la più importante di tutte le doti di comunicazione. Più importante dell'eloquenza trascinante. Più importante di una voce suadente. Più importante del poliglottismo. Più importante ancora della facilità di scrittura.

E’ proprio dalla buona capacità di ascoltare che inizia la comunicazione efficace. E’ sorprendente quanto poche siano le persone realmente in grado di ascoltare bene. I leader di successo, di solito, sono persone che hanno imparato il valore dell'ascolto.

"Io non me ne sto a sedere sul cocuzzolo di una montagna per farmi venire le visioni di quello che dovremmo fare," afferma Richard C. Buetow, direttore dell'ufficio qualità della compagnia Motorola. “Cosa va fatto devo scoprirlo dagli altri. Non devo mai stancarmi di ascoltare."

Anche un grande comunicatore come Buetow, da cui ci si aspetta che esprima e comunichi la visione della sua

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azienda dovunque vada, deve sapere anche quando non deve parlare. Per dirla con le sue parole, “devi essere capace di spegnere la tua trasmittente e ascoltare: accendere la ricevente e lasciare che altri esprimano delle idee, e lavorare su di esse."

Questa capacità di comprendere è parte fondamentale dell'immagine che Buetow ha di se stesso come esponente del mondo degli affari. Egli non parla mai di se stesso, per esempio, come di un grande stratega o di un mago del commercio. Si paragona invece a un piccione viaggiatore.

"Io non risolvo un solo problema di qualità alla Motorola," ammette. “Se mi chiedete di provvedere al settore dei metalli, la prima cosa che faccio è darvi il numero di telefono del funzionario che ne è responsabile. Quello che faccio è prendere le buone idee che sento e trasmetterle da un posto all'altro."

La verità alla base di tutto questo è lapalissiana: Nessuno al mondo può sapere tutto quanto. Ascoltare gli altri è il modo migliore per imparare.

Ciò significa ascoltare dipendenti e clienti, nonché amici e familiari, e perfino quello che hanno da dire i critici

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più severi. Non significa diventare schiavi delle opinioni altrui, ma significa prestarvi ascolto fino in fondo.

Sarete grati per molte delle loro idee. Giorgio Maschietto, consigliere delegato della Lever

cilena, era responsabile della gestione di una catena di stabilimenti in Sudamerica, compresa una gigantesca fabbrica di dentifricio Pepsodent. Il programma di produzione dell'impianto veniva continuamente interrotto dalla necessità di ripulire i serbatoi d'acciaio dalla pasta dentifricia. Un giorno, uno degli operatori dello stabilimento espresse un suggerimento, e Maschietto ebbe il buonsenso di seguirlo.

"Noi usavamo un solo serbatoio," ricorda. "Questo addetto propose d'introdurre un secondo serbatoio. Adesso siamo in grado di lavare il primo serbatoio mentre usiamo il secondo, così non c'è più bisogno d'interrompere la produzione per la pulitura del serbatoio. Aggiungendo un bullone in un caso e aggiungendo un piccolo serbatoio in un altro, abbiamo ridotto il tempo per il ricambio del settanta per cento e aumentato in modo rilevante la produttività.”

Dalla stessa fonte, cioè dal personale di quella fabbrica, Maschietto ottenne una seconda idea altrettanto importante

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per la produzione di dentifricio. Per anni lo stabilimento aveva usato una serie di bilance delicate e costose poste al di sotto del trasportatore a nastro di pasta dentifricia. Servivano ad assicurare che ogni scatola di cartone contenesse effettivamente un tubo di dentifricio. Ma quelle bilance ad alta tecnologia non funzionavano mai a dovere. "A volte succedeva," spiega Maschietto, "che sigillavano scatole vuote e le espellevano così.

"Una delle idee degli operai fu quella di eliminare tutto questo costoso macchinario e di sostituirlo semplicemente con un piccolo getto d'aria attraverso il trasportatore a nastro su cui venivano fatti rotolare i tubi. L'aria compressa è regolata in modo che quando la scatola è vuota la pressione dell'aria è sufficiente a gettare gli astucci vuoti fuori dal trasportatore.”

Molti giudicano l'ascolto come un atteggiamento passivo e il parlare come un atteggiamento attivo. Anche gli stereotipi usati nella conversazione - "siediti e ascolta" - suggeriscono questo diffuso equivoco sulla natura reale dell'ascolto. E semplice udire quello che qualcuno dice è un'attività relativamente passiva. Ma l'ascolto impegnato, effettivo, è uno sport quanto mai attivo.

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Andrés Navarro, presidente della SONDA, una fabbrica di sistemi di computer sudamericana, ricorre alla sua lingua, lo spagnolo, per illustrare la differenza fra le due azioni. “In spagnolo," spiega, "abbiamo due parole, oir ed escuchar," che equivalgono a “udire" e "ascoltare”. “Ascoltare realmente è molto di più del semplice udire. Molti, quando odono qualcuno, in realtà pensano: 'Cosa risponderò?' invece di cercare di ascoltare quello che l'altro sta dicendo.”

L'ascolto attivo richiede un intenso coinvolgimento in una conversazione, anche quando le labbra dell'ascoltatore sono ferme. Questo non è sempre facile. Richiede concentrazione. Richiede un autentico impegno. Sollecita domande e stimolazioni. Ed esige un qualche tipo di risposta, rapida, pregnante, pertinente e concisa.

Ci sono molti modi per mostrare un impegno attivo in una conversazione, modi che non comportano l'interloquire e l’interrompere l'altro ogni sette parole. Il trucco non consiste nel padroneggiare ciascuna di queste tecniche. I buoni ascoltatori ne imparano alcune che trovano agevoli e naturali, e si ricordano di applicarle.

Può trattarsi di un cenno di assenso col capo di tanto in tanto o di un "ha-ha" o di un "capisco". Certuni sono soliti

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cambiare posizione o sporgersi in avanti sulla sedia. In momenti indicati, altri sorridono o scuotono la testa. Un forte contatto visivo è un altro modo per indicare al vostro interlocutore: "Sì, sto ascoltando attentamente quello che mi sta dicendo."

E quando l'altro s'interrompe, riprendete a parlare e ponete una domanda che sia direttamente attinente a quanto è stato appena detto.

Quello che è importante non è la specifica tecnica di ascolto che viene scelta. Nessuno di questi metodi dovrebbe mai essere usato in modo rigido o meccanico. Sono semplicemente alcuni atteggiamenti di cui vale la pena di ricordarsi quando si avverte che è il momento giusto di farlo. Essi renderanno l'altra persona più lieta di parlare con voi.

Elmer Wheeler aveva in mente più o meno la stessa idea due generazioni fa, quando scrisse nel suo fondamentale libro sull'arte di vendere, Sell the Sizzle Not tbe Steak (Vendi lo sfrigolio non la bistecca): ”Un buon ascoltatore si sporge verso di voi fisicamente. S'inclina verso di voi mentalmente a ogni parola che pronunciate. E’ 'con voi' in ogni momento, e annuisce col capo e sorride nei momenti giusti. Ascolta 'un po' più da vicino'." Questo non è

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un buon consiglio solo per i venditori, scrisse Wheeler: "E’ una saggia regola da seguire per il successo nei rapporti sociali e negli affari."

"Una persona che ascolta attivamente," conferma Bill. Makahilahila, "è di solito quella che pone domande e poi aspetta una risposta, anziché proporre una soluzione all'istante. L'ascolto attivo avviene quando il dipendente sente e comprende senz'ombra di dubbio che voi non saltate subito a delle conclusioni.”

Makahilahila ritiene questo concetto così importante che ha addirittura istituito un premio per l'Ascolto Attivo a favore dei funzionari della SGS che eccellono nell'ascolto. Ha ideato un test in tre quesiti per determinare se qualcuno sta ascoltando attivamente oppure no:

1. Ponete domande e aspettate una risposta? 2. Rispondete rapidamente e direttamente alle

domande che vengono poste? 3. L'altra persona sente che la state ascoltando

attivamente?

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Chris Conway, specialista di marketing di una compagnia di assicurazioni, che vive a Omaha, nel Nebraska, accudì come genitore single a due maschietti. Fu il figlio maggiore a insegnargli ad ascoltare realmente.

"Dan fa parte di un gruppo di una quindicina di ragazzi che s'incontrano ogni settimana con una coppia di coniugi per discutere di argomenti di attualità e del modo in cui i giovani vi si rapportano,” dice Conway. "La coppia di coniugi è presente per facilitare la conversazione. Ho chiesto a Dan se gli piaceva partecipare al gruppo.”

Il ragazzo parlò in toni insolitamente entusiastici. Rispose che poteva capire che gli adulti erano sinceramente interessati al gruppo dal modo in cui ascoltavano quello che i giovani dicevano.

"Dan, io ti ascolto," assicurò il padre. “Lo so, papà,” ammise il ragazzo. "Ma tu stai sempre

preparando la cena, lavando i piatti o facendo qualcos'altro. Tutto quello che dici è 'Sì', 'No', oppure 'Ci penserò'. Non mi ascolti neppure. Invece quei due si voltano verso di me, mi guardano, si prendono il mento fra le dita e mi ascoltano sul serio."

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Per le cinque settimane successive, Chris Conway s'impegnò nel prestare orecchio ai suoi figli. "Mentre ammucchiavo il cibo nei piatti dei ragazzi, mettevo solo un paio di cucchiaiate nel mio. Ogni volta che parlavano, deponevo la forchetta, mi giravo verso di loro e ascoltavo. Il risultato è che ho perso sette chili. E la durata delle nostre cene è passata da una media di otto minuti a quarantadue."

Un ambiente favorevole all'ascolto: è da qui che inizia l'ascolto. E impossibile ascoltare in modo effettivo in presenza di paura, ansia o nervosismo. Ecco perché i bravi insegnanti si assicurano sempre che le loro aule scolastiche siano luoghi confortevoli, ospitali.

“Da parte mia, quando sono nervosa per qualcosa, non sono neppure capace di ascoltare," attesta la maestra di scuola materna Barbara Hammerman. "Mi preoccupo della mia persona. Se in un'aula i bambini sono tesi e nervosi, non sono liberi di ascoltare."

William Savel, già presidente della Baskin-Robbins, che distribuisce in tutto il mondo gelati e yogurt, un tempo fu mandato in Giappone dalla Nestlé per dirigervi il marketing e le vendite.

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"La prima cosa che ho fatto è stata quella di visitare un certo numero di aziende statunitensi che avevano consociate nipponiche," ricorda. Imparò il giapponese. Pernottò in alberghi giapponesi. Mangiò cibo giapponese. Fece tutto il possibile per circondarsi di cose giapponesi.

“L'importante è ascoltare,” raccomanda Savel, "ascoltare realmente prima di mettersi a cianciare e a vantarsi con tutti quanti della propria bravura. Prima di tutto dovete imparare quanto siete sciocchi. Dovete conoscere le persone, interagire con loro. Non mettetevi al di sopra di nessun altro. Andate in giro, parlate con tutti, ascoltate con grande attenzione, e non prendete le vostre decisioni troppo in fretta.”

In termini semplici, dappertutto gli uomini amano essere ascoltati, e quasi sempre rispondono a chi li ascolta. Ascoltare è una delle migliori tecniche che abbiamo per mostrare rispetto a qualcun altro. Indica che lo consideriamo un essere umano importante. E’ il nostro modo di dire: "Quello che lei pensa, quello che fa e quello in cui crede è importante per me."

Abbastanza stranamente, prestare ascolto alle opinioni di qualcun altro è spesso il metodo migliore per conquistarlo

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al nostro modo di pensare. Dean Rusk, il segretario di stato del presidente Johnson, l'imparò da decenni di negoziati con alcuni dei capi politici più irriducibili del mondo. "Ascoltare è il sistema per persuadere gli altri con le vostre orecchie.” E vero, ascoltare può essere uno strumento estremamente potente per convincere il prossimo a vedere il mondo come lo vediamo noi.

"La vera chiave," spiega il banchiere Thomas Saunders, “è di arrivare a comprendere una persona e il modo in cui vuole considerare gli investimenti, e quindi se si possa dire onestamente che il nostro approccio è giusto e compatibile con lei."

Il lavoro di Saunders consiste nel consigliare grosse società su come investire cifre da capogiro. La sua tecnica numero uno? Ascoltare i portavoce di queste società. "Tutto in definitiva si basa sull'ascoltare," insegna. "Cosa c'era in realtà nella mente dell'altro? Perché ha detto di no? Qual era il vero motivo che si nascondeva dietro la sua decisione?

"Ho avuto un rapporto di venticinque anni con l’AT&T che è stato assolutamente straordinario. Credo che fondamentalmente tutto sia stato dovuto all'ascoltare.

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"Io posso darvi l'opuscolo più accattivante. Posso mostrarvi una quantità di diapositive. Ma mi rimane ancora da scoprire che cosa ci sia lì d'interessante per voi. Cosa c'è nella vostra mente? A che cosa pensate? In che modo valutate le cose?”

Il primo passo per diventare un attento ascoltatore è quello di comprendere quanto sia importante ascoltare bene. Il secondo passo è voler imparare. Infine, bisogna sviluppare con la pratica queste latenti capacità di ascoltare.

“Io ho imparato ad ascoltare in un modo non molto piacevole," ricorda Wolfgang R. Schmitt, direttore generale della Rubbermaid Incorporated, un colosso degli articoli casalinghi. "L'ho imparato da giovane attraverso un divorzio. La mia vita era molto incentrata sulla carriera. Nel tentativo di evitare il divorzio, mia moglie e io ci rivolgemmo a un consultorio familiare. Quella fu veramente la prima volta in cui compresi l'importanza fondamentale dell'ascoltare. Avevo a che fare con qualcosa d'importante per me, il mio matrimonio, e volevo cercare di salvarlo. Fu la prima volta in cui qualcuno mi disse delle cose con molta franchezza.”

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Sull'ascoltare? "Non semplicemente sull'ascoltare," precisa Schmitt, “ma sull'interiorizzare i sentimenti di altre persone e di rifletterci sopra. Poi sulla capacità di fornire un riscontro pratico, in modo da dimostrare quanto esse siano importanti per voi."

Alla Motorola, piccoli gruppi di dipendenti sono continuamente incoraggiati a proporre idee loro. E i massimi dirigenti dell'azienda si siedono con calma intorno a un tavolo e prestano ascolto. "Ho ascoltato centinaia di gruppi parlarmi di infiniti problemi e soluzioni,” assicura il funzionario della Motorola Richard Buetow. Ed è su quelle centinaia di conversazioni che è stato costruito il futuro di questa azienda.

Questi tipi di colloqui all'interno di gruppi ristretti, incoraggiati da funzionari che per lo più non aprono bocca, sono un modo straordinariamente valido d'istituzionalizzare l'ascolto in seno a un'impresa. All'Analog Devices, il presidente Ray Stata ha creato una tecnica particolare, che chiama "giro del tavolo CNA”. Vengono tenute regolarmente riunioni. Piccoli gruppi di dipendenti di tutte le varie branche dell'impresa sono invitati a discutere con la massima franchezza con Stata e altri dirigenti dell'Analog. Il

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tema generale è: “Creare una nuova Analog per gli anni novanta”, come suona l'attuale slogan interno dell'azienda.

“Non si tratta soltanto di rispondere alle domande che i nostri dipendenti pongono," spiega Stata. "Dopo un po' di scambi di vedute dico: 'Adesso vorrei fare un giro del tavolo in modo che ciascuno dei presenti possa dirmi quali sono al momento le sue particolari preoccupazioni e da dove provengono.' Così mi metto a sedere e prendo molti appunti.

“Questo si chiama ascoltare. Poi scrivo un riassunto di quanto ho sentito.”

Joe Booker trovò un nuovo lavoro come direttore di un programma per il miglioramento della qualità presso la Allegheny Ludlum Corporation, un'importante società d'import-export nel settore dell'acciaio. Il suo entusiasmo cedette rapidamente alla paura. “Il programma era stato in vigore nello stabilimento più grande della società per circa diciotto mesi, ed era stato accolto stancamente dai quasi duemila operai della fabbrica. Dato che la partecipazione era volontaria, come avrei potuto convincere i vari reparti della necessità di un miglioramento della qualità della produzione? In molti casi ottenevano già risultati positivi usando le loro tecniche."

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Dopo aver riflettuto, Booker si rese conto che la soluzione sarebbe stata quella di convincere le maestranze che era competente in quel settore e che sarebbe stato un buon acquisto per loro. E questo significava, comprese, che avrebbe dovuto ascoltare intensamente.

"Ho cominciato a far visita a ciascuno dei sei reparti dello stabilimento allo scopo di comprendere che cosa pensavano i singoli operai della qualità dei loro prodotti," riferisce. "Ho evitato discussioni circa il programma e guidato ogni conversazione in modo da poter apprendere in che modo ogni particolare dipendente poteva avere un'importanza chiave per l'incremento della qualità. Sono riuscito a trovare alleati in ciascun reparto e col loro aiuto a incoraggiare altri a impegnarsi nella sfida di raggiungere standard di qualità competitivi a livello mondiale.

“Oggi il nostro stabilimento vanta il maggior coinvolgimento, con rappresentanza sindacale, in ciascuna delle operazioni di rifinitura dell'azienda. I dipendenti comprendono come l'operazione o il reparto successivo siano loro clienti. Questo è il diretto risultato del buon livello di ascolto e di comunicazione fra tutti."

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David Luther ha scoperto alla Corning esattamente la stessa legge. "Una delle prime domande che pongo quando prendo in considerazione un programma di comunicazione è questa: quanto ci vuole prima di vedere la parola ascoltare? La maggior parte di questi piani sono pieni di frasi come 'Permettetemi di dirvi questo' o 'Permettetemi di dirvi quello'.”

Alla Corning, Luther ha sviluppato un processo per fare dell'ascoltare uno strumento pratico di miglioramento. Così ne spiega il funzionamento: "Andiamo in uno stabilimento. Io ho bisogno di due gruppi di quindici persone per cinque ore. Poi arriviamo noi. Di solito c'è l'esponente sindacale, con un assistente; anch'io ho un assistente. Uno dei sindacalisti e io prendiamo uno dei gruppi di quindici partecipanti. Il mio assistente e l'altro sindacalista prendono gli altri quindici. Così abbiamo d ue persone di fronte a ciascun gruppo.

"Guidiamo i membri dei gruppi attraverso un processo di definizione. La prima domanda che facciamo è: 'In che cosa la qualità va bene? Ricordate com'era qua dieci anni fa. Potete definire perché la qualità oggi sia migliore? Bene, scriviamolo sulla lavagna.'

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"Seconda parte: 'In che cosa la qualità non va bene? L'unica cosa di cui non potete lamentarvi è il vostro capo. Tutto il resto può essere criticato.' E scriviamo anche questo.

“Poi prendiamo il secondo elenco e lo riduciamo a dieci o dodici questioni. Ci sono sempre alcune cose che coincidono. Vediamo di togliere di mezzo le ripetizioni. 'Adesso passiamo alla votazione. Qui abbiamo dodici punti. Ciascuno di voi ha tre voti, e man mano che io indico ciascuna di queste dodici questioni, se si tratta di una di quelle che secondo voi sono le più importanti per la qualità, alzate la mano.'

"Si scorre la lista dei dodici punti, e mettiamo che sei non ottengano neanche un voto, un paio ottengano alcuni voti, e magari un altro paio vengano cancellati. Dunque, parliamo di queste lamentele.

"Poi prendi i due gruppi. Li rimetti insieme. Fai entrare i sovrintendenti della fabbrica. Per ciascun gruppo un portavoce riferisce: 'Ecco cos'ha detto il mio gruppo.' Il primo gruppo dice: 'Noi non capiamo come la pensa il direttore della fabbrica.' E il portavoce del secondo gruppo si alza e dice: 'Il direttore della fabbrica non comunica mai con noi.' Anche il più ottuso direttore di fabbrica capirà di avere

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a che fare con un problema importante, un problema trasparente. Ha un quadro preciso dell'intera situazione. Un quadro che si forma sul posto insieme alle maestranze. Non c'è bisogno di spedire e farsi arrivare questionari e calcolare punteggi. Tutto è successo davanti ai tuoi occhi e puoi vedere la coincidenza dei risultati. Sai che ciascuno di quei gruppi non sapeva quello che l'altro gruppo stava dicendo. Ora, noi l'avremo fatto una cinquantina di volte."

Queste sono tutte tecniche meravigliose. Molte altre sono state elaborate in seno a società gestite bene. Ricorda te, alla base di tutti questi metodi ci sono due principi fondamentali:

1. Ascoltare è ancora il modo migliore d'imparare. 2. Le persone rispondono a coloro che le ascoltano. Il significato di ciò è una semplice verità: le persone

amano essere ascoltate. E’ vero nel mondo degli affari. E’ vero nelle famiglie. E’ vero a proposito praticamente di chiunque incontriamo nella vita.

"Il segreto dell'avere ascendente sugli altri consiste non tanto nell'essere un buon parlatore, ma nell'essere un buon

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ascoltatore,” scrisse Dale Carnegie. "La maggior parte di coloro che cercano di portare dalla loro parte gli altri, lo fanno parlando troppo. Lasciate che gli altri dicano tutto quello che hanno da dire. Essi conoscono più di voi i loro affari o problemi. Quindi ponetegli delle domande. Lasciate che v’informino.

“Se non siete d'accordo con loro, potreste essere tentati d'interromperli. Ma non fatelo. E’ pericoloso. Non vi presterebbero attenzione mentre hanno ancora molte idee proprie che esigono di venir espresse. Dunque, ascoltate pazientemente e con mente aperta. Siate sinceri in ciò. Incoraggiateli a esprimere pienamente le loro idee.”

Essi non lo dimenticheranno mai. E voi imparerete una cosa o due.

NESSUNO E PIU PERSUASIVO DI UN BUON ASCOLTATORE.

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7 FORMARE GRUPPI PER IL DOMANI

Adolpb Seltz, venditore di un autosalone di Filadelfia e

allievo di uno dei miei corsi, venne a trovarsi improvvisamente di fronte alla necessità d'infondere un'iniezione di entusiasmo a un gruppo scoraggiato e disorganizzato di colleghi. Indisse una riunione e sollecitò gli altri venditori dell'autosalone a dirgli esattamente che cosa si aspettavano da lui. Man mano che parlavano, annotava le loro idee su una lavagna. Poi annunciò: “Io vi darò tutte queste cose che vi aspettate da me. Ora voglio che mi diciate che cosa ho diritto di aspettarmi da voi.”

Le risposte giunsero in fretta: “Lealtà. Onestà. Spirito d'iniziativa. Ottimismo. Lavoro di gruppo. Otto ore al giorno di lavoro stimolante.”

La riunione terminò infondendo nuovo coraggio, nuovo entusiasmo - un venditore si offrì di lavorare per quattordici ore al giorno - e il signor Seltz mi riferì che l'incremento delle vendite fu fenomenale.

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“Quelle persone avevano concluso una sorta di contratto morale con me,” osservò Seltz, “e fintanto che io non fossi venuto meno alla mia parte del contratto, loro erano decise a non venire meno alla loro. L'essermi consultato sulle loro esigenze e sui loro desideri fu lo stimolo che gli serviva.”

DALE CARNEGIE Una volta le grandi organizzazioni erano conformate a

piramide. Avevano molti lavoratori alla base, e, al di sopra, strato dopo strato, sovrintendenti e manager di livello medio. Ciascuno strato possedeva più autorità di quello sottostante. E questa struttura a molti strati si elevava con infinito rigore fino a un vertice perfetto, prevedibile, dov'erano insediati il direttore generale, il presidente e il consiglio di amministrazione.

Era il modo migliore di organizzare una ditta, un ospedale, una scuola? Quasi nessuno si dava la pena di porsi l'interrogativo. La vecchia piramide continuava a essere come era sempre stata: solida, imponente e apparentemente refrattaria al cambiamento.

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Ora, questo stupirà forse qualcuno, le piramidi stanno crollando. E’ come se gli schiavi dell'antico Egitto avessero deciso di andarsene e si portassero via sui carri le pietre squadrate. Il nuovo panorama non sarà forse piatto come quello delle sabbie del Sahara. Ma potete scommettere che il futuro sarà enormemente più orizzontale del passato.

Tutte quelle rigide gerarchie, tutte quelle sezioni separate fra loro, tutte quelle intricate catene di comando: tutto ciò soffocava il lavoro creativo. E chi può permettere che ciò avvenga quando il mondo cambia così rapidamente?

"Guardate quello che successe all'ex Unione Sovietica per quanto riguarda la gerarchia," dice Richard C. Bartlett, vicepresidente della Mary Kay Corporation. "Lo stesso probabilmente avverrà in Cina, sempre per colpa della gerarchia. Essa non funziona per i governi. Non funziona neppure per le aziende. Le più grosse società che abbiamo negli Stati Uniti non si sono neppure accorte di quanto il mondo cambiasse intorno a loro.”

C'è chiaramente l'esigenza di una struttura che allenti la vecchia rigidità, che permetta ai lavoratori di realizzare al massimo le loro potenzialità creative, che sia in grado di sviluppare pienamente il talento che è rimasto inattivo per

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anni. In un numero sempre crescente di organizzazioni ben gestite, la soluzione viene trovata in gruppi di lavoro. Sempre più spesso, alle persone viene chiesto di lavorare al di là delle loro discipline specifiche, al di fuori della loro cultura, al di sopra e al di sotto dei loro ruoli tradizionali.

“L'organizzazione moderna non può essere un'organizzazione di capi e subordinati," sostiene il teorico di tecniche commerciali Peter Drucker, professore di gestione aziendale presso la Claremont Graduate School in California, "dev'essere strutturata come un gruppo di lavoro."

Andrés Navarro, presidente della SONDA cilena, è d'accordo. "Non è più possibile fare il cavaliere solitario,” ammonisce. "Un tizio isolato che inventa qualcosa da solo: il mondo è diventato troppo complicato per questo. Ci vogliono parecchie persone provenienti da diverse discipline che lavorino insieme contemporaneatnente.”

Ci vogliono piccoli gruppi d'individui, reclutati da tutte le branche dell'organizzazione, messi insieme per progetti in corso di attuazione o per qualche compito specifico, limitato: elaborare un prodotto nuovo, riorganizzare uno stabilimento, ristrutturare un reparto, trovare il sistema per

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dare slancio a un programma per il miglioramento della qualità. Le rivalità fra i diversi reparti stanno diventando storia passata. E sono al tramonto le promozioni automatiche, le tabelle retributive basate sull'anzianità di servizio e le altre frustranti vestigia dell'antica piramide.

Nelle aziende a piramide, gli ingegneri possono trascorrere l'intera giornata lavorativa a stretto contatto con altri ingegneri. Adesso un ingegnere può altrettanto facilmente essere messo in un gruppo di venditori con un incarico del genere: "Dà il tuo contributo per rendere questo prodotto più attraente per il cliente.” Oppure: "Trova un sistema di fabbricazione più rapido per questo pezzo.» O anche: "Impiega la tua esperienza d'ingegnere per aiutare questo gruppo addetto al marketing a superare una difficoltà tecnica.”

Grazie a gruppi di questo tipo, il settore del marketing presta ascolto a quello dell'ingegneria, e questo a sua volta ascolta. In molte grosse aziende tutto ciò è completamente nuovo. E oggi anche reparti addetti alla fabbricazione, all'assistenza dei clienti, ai rapporti coi sindacati e ad altri settori d'ampio respiro stanno comunicando fra loro. In certe

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imprese in espansione, tutte queste divisioni artificiose stanno addirittura cominciando a scomparire.

Come sottolinea Drucker, il mondo non si compone più di soldati semplici e sergenti istruttori. "L'esercito era organizzato sulla base del comando e del controllo, e le imprese commerciali, nonché la maggior parte delle altre istituzioni, imitavano questo modello,” scrive. "Oggi, questo sta rapidamente mutando. Dal momento che un numero crescente di organizzazioni si basano sull'informazione, si devono trasformare sempre di più in squadre di calcio o di tennis, cioè in organizzazioni fondate sulla fiducia, dove ciascun membro deve agire come un responsabile dotato di potere decisionale. Tutti i membri devono vedersi come dirigenti."

Consideriamo il modo in cui la Mary Kay Corporation è organizzata. "La struttura organizzativa della Mary Kay è piuttosto libera," dichiara il vicepresidente Richard Bartlett. "Mi piace considerarla quasi come una struttura molecolare, dove le persone possono passare attraverso qualsiasi barriera artificiale. Non sono confinate ciascuna a una determinata casella. Possono partecipare a un'azione di gruppo creativa che non tiene conto delle divisioni fra i vari reparti. E

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secondo la nostra visione del mondo - e questo suonerà banale, ma da allora essa ha fatto proseliti - l'importanza primaria viene data al cliente.

"E subito dopo, nella nostra conduzione degli affari, viene il personale addetto alle vendite. La nostra organizzazione concentra molte energie su come sostenere questo personale. In fondo al grafico dell'assetto societario, c'è qualcosa contrassegnato con un insignificante punto verde.

“La prima volta che ho visto una diapositiva dov'era rappresentato graficamente il modello di una struttura di un'organizzazione, il disegnatore aveva messo in fondo un punto verde," ricorda Bartlett. "Io sono quell’insignificante punto verde. La mia visione personale è che non c'è bisogno di un presidente, a meno che non si dedichi alle necessità degli altri e alla distribuzione di risorse a chi provvede all'esecuzione del lavoro.”

“Le organizzazioni sono decisamente in fase di ristrutturazione," assicura Adele Scheele, i cui articoli sulla carriera e sulla gestione aziendale compaiono regolarmente su riviste d'affari americane e giapponesi. "Quello che una volta funzionava adesso non funziona più. La gente si

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aspettava che ci fosse una strada prefissata, ma non c'è nessuna strada prefissata. Più credete a una cosa del genere meno è probabile che siate flessibili e che approfittiate delle opportunità che non si presentano mai chiaramente come tali. Bisogna sempre essere aperti."

Queste organizzazioni "appiattite" stanno apparendo nei settori più sorprendenti, perfino nel mondo della scuola. "La gestione sta diventando molto meno verticistica," osserva Marc Horowitz, direttore della scuola elementare Cantiague di Jericho, a New York. "E c'è una reale necessità di creare e guidare gruppi e motivare le persone. In molti casi questo va fatto senza titoli accademici, senza remunerazioni o incentivi finanziari. E il rendimento del gruppo la chiave."

Nella scuola di Horowitz ciò significa che gli scolari non lavorano più ciascuno per conto proprio per tutto il giorno in file di banchi di legno. Essi collaborano. Lavorano in squadre. Producono progetti di gruppo. Ci si aspetta che si aiutino fra loro. Anche gli insegnanti lavorano con più cooperazione che in precedenza.

"Adesso la questione è: 'In che modo ci relazioniamo fra di noi e otteniamo risultati nel mondo reale?'" spiega Horowitz. “Noi prepariamo allievi per il futuro. Non

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possono più lavorare in isolamento. Devono impegnarsi in uno sforzo di gruppo, e metà di questa battaglia consiste nell'imparare la capacità d'interazione sociale per incoraggiare i membri che incontrano maggiori difficoltà. Non si dovrebbe mai permettere che si sentano inferiori agli altri perché fanno degli sbagli o non sanno tutte le risposte."

Un giorno, tre scolari della prima classe della scuola di Horowitz furono interessati a un progetto di gruppo. A un bambino fu affidato il compito di scrivere su un foglio di carta la parola two (due). Ma il piccolo scrisse, invece, per sbaglio, tow. Quando una bambina del gruppo gli fece notare l'errore, sul momento lo scolaro ci restò male. Ma poi la bambina aggiunse: “Sì, lo so, hai sbagliato. Però quella w l'hai scritta come meglio non si poteva: dovresti essere contento." Gli diede perfino una pacca su un ginocchio, e tutt'e tre gli scolari ricevettero una buona lezione di lavoro di gruppo.

Gli insegnanti di marketing di Harvard hanno condotto di recente un esperimento di lavoro di gruppo con gli studenti del primo anno. Invece di essere sottoposti al consueto esame a metà dell'anno accademico, gli studenti furono divisi in gruppi di quattro. A ciascun gruppo fu

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assegnato un problema di economia e commercio da risolvere. Entro ventiquattr'ore gli studenti avrebbero dovuto presentare un progetto scritto. I membri di ciascun gruppo avrebbero ricevuto lo stesso voto.

"All'inizio le critiche sono state molte," ricorda il professore di Harvard, John Quelch. “Certi studenti si sono lamentati che sui voti individuali avrebbe influito negativamente il fatto di essere messi in un gruppo di colleghi con cui non avevano scelto di lavorare.” La risposta della scuola fu questa: benvenuti nel mondo reale.

Alla fine, gli studenti portarono a termine l'esperimento. Quando poi furono intervistati per il giornale dell'università, si espressero per lo più in modo favorevole nei riguardi del nuovo esame di metà anno accademico basato sul progetto di gruppo.

“Il più significativo livello di apprendimento," rilevò Quelch, "si è avuto probabilmente fra gli studenti del gruppo che non ha lavorato con regolarità meccanica. Certi gruppi sono stati travagliati da accesi disaccordi, e, se ci guardiamo indietro, vediamo che proprio questi studenti sono stati quelli che hanno imparato di più dall'intero processo.”

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Il fruttuoso lavoro di squadra non si manifesta per magia. Richiede un gruppo di giocatori disposto a cooperare e un allenatore di talento. Non ci si può limitare a gettare in campo un gruppo di individui, sia pure una rosa di campioni, e aspettarsi da loro prestazioni straordinarie.

E per questo che così spesso le partite degli All Stars della lega di pallacanestro americana sono deludenti. Certo, in queste partite giocano molti degli assi del basket degli Stati Uniti, radunati in un solo campo di pallacanestro. Esso diventa così la più prestigiosa collezione di guardie, ali e pivot di tutto il mondo. Allora come mai questo campo pieno di campioni di fenomenale talento di rado produce una partita fenomenale?

Troppo “ego”. Troppo tempo sotto le luci della ribalta. Troppa attenzione da parte dei giornalisti sportivi. Quando si tratta di giocare come parti di un'unità, spesso queste “superstar" non si mostrano all'altezza della loro fama. L'ingrediente che manca è il lavoro di squadra.

Creare squadre di successo è un'arte, ed è raro che anche un grande allenatore possa formare in breve tempo una squadra vincente. Ma chiunque si aspetti di diventare un leader negli anni a venire farà bene a padroneggiare alcune

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basilari tecniche di allenamento. Esse sono necessarie nel mondo degli affari come nel campo di pallacanestro. Creare un condiviso senso di gruppo

Le persone che lavorano insieme possono conseguire

risultati formidabili. Ciò che conferisce a un gruppo questa particolare forza d’urto è la visione unitaria che i singoli membri condividono.

Le idee, la creatività, le scintille d'intelligenza dovranno in definitiva provenire dal gruppo in sé. Ma spesso è necessario un forte capo che focalizzi tutta questa energia, che chiarifichi la visione, stabilisca obiettivi, aiuti ciascuno a comprendere gli ideali del gruppo e mostri ai suoi membri in che modo le loro realizzazioni influiranno sul mondo esterno.

Ray Stata si esprime così: “E’ necessario fornir e l'ambiente adatto, l'obiettivo dell'azienda e un incoraggiamento tali da indurre i dipendenti a sentirsi, come individui e come gruppi d'individui, migliori di qualsiasi altro gruppo e a un livello elevatissimo e tali da convincerli

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che otterranno senza dubbio un soddisfacente riconoscimento.”

Fare cbe gli obiettivi siano obiettivi di gruppo

Fintanto che non vince l'intero gruppo, nessuno vince.

Questo concetto è molto familiare nel mondo dello sport, ma è altrettanto valido per squadre di ogni tipo. I record individuali vanno bene per i libri di storia, ma in realtà costituiscono una rielaborazione dell'evento. Quello che conta molto di più è il rendimento dell'intero gruppo.

“Quando riesci a coinvolgere gli altri in questo modo ed essi si caricano a vicenda sinergicamente, è contagioso," osserva Wolfgang Schmitt, della Rubbermaid. "Diventa molto più simile all'essere membri di una squadra sportiva; il contrario è il far parte di una catena di montaggio. C'è un enorme differenza nel livello, nell'intensità di energia che i membri di una squadra mettono nel lavoro.”

E’ per questo che la maggior parte dei bravi allenatori, e la maggior parte dei leader di valore, parlano così spesso al plurale. "Noi abbiamo bisogno..." "Il termine che ci siamo posti..." "Il lavoro che abbiamo davanti..." I buoni leader

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mettono sempre in risalto in che modo il contributo di ciascuno s'inserisce nello sforzo comune.

Negli affari: “Insieme dobbiamo immettere al più presto sul mercato questo nuovo prodotto." Se l'addetto alla campagna pubblicitaria fa uno splendido lavoro, ma l'addetto alla confezionatura batte la fiacca, non si ha successo.

Nella navigazione: "Insieme dobbiamo far veleggiare la nave in questa burrasca." Se l'ufficiale di rotta sa leggere le stelle come il palmo della sua mano, ma il comandante non sa distinguere il tribordo dal babordo, non si ha successo.

In politica: “Insieme dobbiamo vincere queste elezioni.” Se il candidato è un magnifico oratore, ma il personale di supporto non riesce a organizzargli il discorso, non si ha successo.

Trattare le persone come gli individui unici che sono

Quando degli esseri umani si aggregano in un gruppo,

non è che la loro personalità svanisca di colpo. Essi mantengono le loro diverse personalità. Mantengono capacità diverse. Hanno ancora speranze e paure diverse. Un

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leader di talento riconoscerà tali differenze, le apprezzerà e le userà a vantaggio del gruppo.

Individualmente: era così che l'allenatore di ginnastica di fama internazionale Bela Karolyi preparava i suoi allievi per i giochi olimpici. "Se non ottenevo i risultati che voleva," ricorda la campionessa olimpionica Mary Lou Retton, che fu allenata da Karolyi e vinse una medaglia d'oro, "m'ignorava. Avrei preferito che mi urlasse contro, lo giuro.”

Ma Karolyi era abbastanza intelligente da riconoscere che quell'approccio era esattamente ciò di cui la Retton aveva bisogno.

“Facevo un volteggio. Sollevavo le mani e poi mi giravo. Lui guardava arricciando il naso la ragazza successiva, che era pronta a partire. Oh, quanto volevo la sua attenzione! Volevo che mi dicesse: 'Questa volta sei stata brava, Mary Lou.' Lui usava questo sistema per ottenere dei risultati da me, per spingermi a correggere i miei movimenti nella speranza di ottenere quella lode.”

Karolyi era soltanto un cerbero? Niente affatto. Con altri allievi adottava una linea di condotta completamente diversa.

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La Retton non dimenticherà mai l'approccio che Karolyi impiegò per la compagna di squadra Julianne McNamara. “Lei ha una personalità molto diversa dalla mia. E’ molto più timida, un po' riservata. Lui era molto gentile con lei. Se lei non faceva una data correzione, lui andava a far assumere al suo corpo la posizione necessaria e le parlava in tono pacato. Era sempre più dolce con lei. In questo modo otteneva risultati personalizzati.

"Trattava ogni allievo diversamente, e penso che questo sia molto importante.”

Fare sì che ciascun membro si senta responsabile per il prodotto del gruppo

Le persone hanno bisogno di sentire che il loro

contributo è importante. In caso contrario non sono in grado di dedicare un'attenzione completa ai compiti che le attendono.

Fate che il progetto appartenga al gruppo. Fate in modo che il maggior numero possibile di decisioni maturino dal gruppo. Sollecitate la partecipazione. Non imponete

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soluzioni. Non insistete perché le cose siano fatte in un dato modo.

La Jaycraft Corporation aveva un problema: il suo principale cliente proponeva un'enorme ordinazione, ma con una data di consegna che sembrava impossibile rispettare. Doug Van Vechten, il presidente della società, avrebbe potuto imporre una soluzione dall'alto.

Ma non ci provò neppure. Chiese invece a un gruppo di suoi dipendenti di cercare una soluzione. "Sono tornati da me e mi hanno detto: 'Noi possiamo dare quest'accelerata e quest'altra, e sentiamo che possiamo farcela, quindi accettiamo pure l'affare,'” rammenta Van Vechten. La Jaycraft accettò l'ordffiazione e rispettò la data di consegna richiesta dal cliente.

Condividere la gloria, accettare la colpa

Quando il gruppo fa un buon lavoro e viene

riconosciuto, è responsabilità del leader distribuire i benefici fra i suoi membri. Una pacca sulle spalle in pubblico, un premio da parte della direzione, un articolo sulla rivista dell'azienda: quale che sia la forma di questo

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riconoscimento, ciascuno dovrebbe averne una parte generosa.

Denis Potvin, capitano della squadra di hockey dei New York Islanders, sapeva come condividere la gloria quando la sua squadra vinse la Stanley Cup. Ma, nel caso che non l'avesse saputo, l'allenatore Al Arbour era abbastanza esperto di gioco di squadra da ricordarglielo. “Bada bene a lasciare che gli altri ragazzi tengano in mano la coppa," bisbigliò all'orecchio di Potvin, pochi secondi dopo il segnale della fine dell'ultima partita del campionato.

"Lui è corso sul ghiaccio fin sopra al mucchio dei giocatori in visibilio per la vittoria," racconta Potvin. “Tutti ci congratuliamo l'un l'altro. Mi sono voltato, e Al era là. Ci siamo abbracciati. E’ stato là che mi ha detto quella frase all'orecchio.

“Sono rimasto molto colpito. Ecco là un uomo che aveva un completo controllo della squadra. Si preoccupava ancora dei suoi giocatori anche se la Stanley Cup era appena stata vinta. Ed era la prima volta che faceva l'allenatore."

Le persone apprezzano sempre di essere incluse in un elogio. Questo le incoraggia a prodigare al massimo i loro sforzi e infonde loro la volontà di tornare a lavorare col

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leader che le ha guidate a quel successo. Questo atto di riconoscimento offre un beneficio aggiuntivo: alla fine il leader ottiene comunque una grande parte del merito.

Quando si tratta di critiche, siate un leader intelligente e adottate l'atteggiamento esattamente opposto. Non puntate il dito contro qualcun altro. Non lamentatevi mai in pubblico dell’anello debole" della catena. Fatevi avanti e accettate qualunque commento arrivi. Poi parlate in privato coi membri del gruppo dei modi in cui i risultati potrebbero venir migliorati e responsabilizzateli sulla necessità di fare meglio la prossima volta.

Approfittare di ogni occasione per creare fiducia nel gruppo

Un grande leader crederà fermamente nel gruppo e

comunicherà tale convinzione a ogni componente. Questa è una lezione che Barbara Hammerman mette in

atto nella sua classe di scuola materna, una lezione altrettanto valida per una fabbrica o una sala di consiglio. «Io cerco di sviluppare nell'aula lo spirito di gruppo," spiega. "Per i bambini del mio corso, noi siamo la classe migliore, e si crea la sensazione che non vogliamo deludere

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il gruppo - uno per tutti e tutti per uno; noi abbiamo determinati criteri di eccellenza che vengono stabiliti, riveduti e continuamente rafforzati nell'intero corso dell'anno. I bambini comprendono questi standard."

Essi non ne sono intimiditi. "Loro amano vivere all'altezza di questi standard perché noi siamo fantastici,” continua la Hammerman. "Chi non vuole sentirsi parte di un gruppo così meraviglioso? Quando ricevono i complimenti dagli altri, possono cominciare a vedere i progressi che stanno compiendo e i cambiamenti che avvengono in loro. E si sentono meravigliosi."

Essere coinvolti, rimanere coinvolti

In quelle vecchie compagnie a piramide, era facile per il

capo restarsene relativamente in disparte. Peraltro, un esercito di favoriti ronzava continuamente intorno, in attesa di distribuire le ultime chicche di saggezza del boss alla bassa manovalanza.

Questo approccio non può funzionare nel nuovo mondo basato sul gruppo. Il leader forte dev'essere coinvolto e restare coinvolto. Visualizzate il leader come il comandante

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di una trafficata portaerei che vigila sul ponte. Aerei arrivano. Altri decollano. La nave deve mantenere la rotta e inoltre essere protetta da un attacco. Tutte queste considerazioni devono essere elaborate insieme.

Il leader dev'essere realmente presente. "Devi avere l'esperienza e ascoltare,” ammonisce Jack Gallagher, direttore del North Shore University Hospital di Manhasset, a New York. "Ma, dopo un po', se ti fai una sufficiente esperienza, se lavori abbastanza duramente, se sei abbastanza bravo, se ti porti del lavoro a casa, allora senti di potertela cavare bene con tutti quegli aerei che salgono e scendono e tutto il resto che ti circonda."

Non si può sempre tracciare un preciso piano di battaglia. "Devi acquisire una sensibilità intuitiva per quello che intendi fare, e far funzionare le antenne che hai sulla testa," prosegue Gallagher. "Certo, ci sono troppe cose che succedono, e quella è una questione molto complicata. Ma tu puoi sviluppare questa sensibilità intuitiva."

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Essere un mentore E’ compito del leader sviluppare e rafforzare i talenti

dei membri del gruppo. Questo è vero nel breve termine, quando i membri del gruppo svolgono i compiti assegnatigli. Ma è vero anche nel lungo termine: il capo deve assumersi una genuina responsabilità per le loro vite e carriere.

“Ti piacerebbe migliorare?” "Quale sbocco vuoi dare alla tua carriera?" “Che tipo di nuove responsabilità ti piacerebbe assumere?” E’ vostro compito di leader porre tutte queste domande e servirvi di tutta la conoscenza ed esperienza in vostro possesso per aiutare i membri del gruppo a conseguire questi obiettivi.

Rafforzate nel tempo la fiducia che riponete nelle loro capacità. Assegnategli criteri di qualità a cui mantenersi. Complimentatevi con loro sinceramente in pubblico: "Sally ha compiuto un lavoro formidabile con questo rapporto." Inviate messaggi privati: "Il commento che hai fatto oggi è estremamente prezioso. Ci hai spinti tutti nella giusta direzione.” E ricordate: se loro hanno successo, voi avete successo.

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Alla facoltà di economia e commercio dell'Università di Harvard, i nuovi membri del corpo insegnante sono semplicemente lasciati nuotare o andare a fondo.

"Tutti i sette od otto istruttori che tengono il nostro corso introduttivo di marketing si riuniscono ogni settimana per quattro ore come gruppo per discutere le situazioni problematiche che si presentano e i modi migliori per impartire l'insegnamento in questi casi," informa il professor John Quelch. "Inoltre, passano in rassegna gli sviluppi dei problemi intervenuti nella settimana precedente, decidono quali miglioramenti devono essere approntati ecc. In questo modo, istruttori di nuova nomina possono raccogliere indicazioni di carattere didattico dai nostri insegnanti con una maggiore esperienza.”

Gli insegnanti anziani forniscono anche altri tipi di sostegno. Tre o quattro volte al semestre, uno di loro assiste a una lezione di un nuovo istruttore. Si presenta per aiutare, non per giudicare. ”Il suo ruolo è molto simile a quello di un allenatore," precisa Quelch. "Non si tratta tanto di stendere un rapporto per un incartamento che determinerà una promozione. L'obiettivo è quello di accrescere l'efficienza

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del capitale - il nuovo membro del corpo insegnante - in cui abbiamo investito."

Dopo la lezione l'insegnante anziano può fornire consigli per miglioramenti sia a breve che a lungo termine. "Quello che vorrei cercare di dire a un nuovo insegnante," continua Quelch, "è questo: 'Ecco cinque cose che puoi fare alla prossima lezione e che avranno un impatto positivo sul modo in cui sei ricevuto dalla classe.' Questi suggerimenti potrebbero comprendere, per esempio, accorgimenti apparentemente banali come quello di scrivere più grande sulla lavagna. Oppure: 'Badate di non ciondolare intorno alla lavagna e di non tenere la lezione stando sempre sul davanti della stanza. Aggiratevi per l'intera aula e piazzatevi anche dietro gli studenti. Condividete la loro esperienza."'

Come scrisse Walter Lippmann alla morte di Franklin Delano Roosevelt: "La prova finale che fa riconoscere un capo come tale è che egli lascia dietro di sé negli altri uomini la convinzione e la volontà di continuare.”

Seguite queste semplici tecniche e osservate i progressi del vostro gruppo. Il premio più grande che un leader possa ottenere - il retaggio più grande che un leader può lasciare - è un gruppo di persone di talento che collaborano fra loro

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col massimo impegno e affiatamento: e che sono esse stesse pronte ad assumersi il comando.

I GIOCATORI DI SQUADRA

SONO I LEADER DI DOMANI.

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8 RISPETTARE LA DIGNITA DEGLI ALTRI

La Chrysler costruì un'automobile speciale per

Franklin Delano Roosevelt, che non poteva usare una macchina normale perché aveva le gambe paralizzate. W.F. Chamberlain e un meccanico la consegnarono alla Casa Bianca. Ho davanti a me una lettera di Chamberlain che riferisce le sue esperienze.

“Insegnai al presidente Roosevelt come manovrare un'auto con una quantità di accessori inconsueti, ma lui m'insegnò molto sulla raffinata arte di trattare le persone. Quando telefonai alla Casa Bianca,” scrive Cbamberlain, “il presidente fu estremamente amabile e di buon umore. Mi chiamò per nome, mi fece sentire molto a mio agio e mi colpì soprattutto per il fatto che era profondamente interessato alle cose che avevo da mostrargli e spiegargli.

“La vettura era disegnata in modo tale da poter essere azionata interamente a mano. Una folla di curiosi si radunò intorno all'automobile, ed egli osservò: 'E’ meravigliosa. Tutto quello che bisogna fare è toccare un pulsante, ed essa parte, e si può guidarla senza sforzo. E’ fantastica. Non so

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cosa sia a farla andare. Mi piacerebbe avere il tempo di smontarla per vedere come funziona.'

“Quando gli amici e i collaboratori di Roosevelt ammirarono l'automobile, egli disse di fronte a loro: 'Signor Cbamberlain, le esprimo il mio apprezzamento per tutto il tempo e lo sforzo che ha impiegato per creare questa automobile. E’ un autentico capolavoro.' Ammiro il radiatore, lo specchietto retrovisore, il clacson e i fari, l'originale tappezzeria, la posizione del sedile del guidatore, le valigie nel bagagliaio personalizzate col suo monogramma. In altre parole, prestò attenzione a ogni particolare in cui, come lui sapeva, avevo profuso tanto impegno. Si fece un dovere di far ammirare queste parti dell'automobile alla signora Roosevelt, alla signorina Perkins, al ministro del lavoro e al suo segretario. Chiamò in causa perfino il vecchio facchino della Casa Bianca, raccomandandogli: 'George, mi farai il favore di avere una particolare cura delle valigie.'

“Quando la lezione di guida fu finita, il presidente si volse verso di me e disse: 'Bene, signor Chamberlain, ho tenuto in attesa il consiglio della Federal Reserve per trenta minuti. Penso che ora farei meglio a tornare al lavoro.”

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DALE CARNEGIE Don Monti aveva sedici anni quando i suoi genitori

ricevettero la straziante notizia che era affetto da leucemia e che, secondo i medici, non gli restavano che un paio di settimane da vivere.

"Eravamo nella sua stanza d'ospedale," ricorda sua madre, Tita Monti. "Ci avevano appena comunicato la sua diagnosi. Siamo stati molto attenti a non fargli capire che aveva una malattia mortale. Abbiamo raccomandato al dottor Degnan di non dire niente. Lo abbiamo raccomandato a tutto il personale del reparto. Abbiamo continuato a fingere di non sapere niente."

Quella sera i genitori di Don decisero d'ignorare una quindicina delle regole dell'ospedale e gli prepararono una cena speciale nella sua stanza. “Adorava le fettuccine," continua sua madre. "Abbiamo chiuso la porta. Avevamo una lattina di birra Sterno. Abbiamo messo sul fornello le fettuccine e in quel momento hanno bussato alla porta ed è entrato il dottor Degnan. Io ho trattenuto il respiro. Ho

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pensato: 'Dio mio, chissà cosa dirà adesso.' Non ne avevo la minima idea.

“Il dottor Degnan ha guardato la scena e ha detto: 'Questo è il mio piatto preferito.' Si è messo a sedere e gli abbiamo detto di favorire. Non abbiamo mai avuto la sensazione che il suo atteggiamento significasse: ‘Io sono il dottore e voi siete i pazienti.`”

C'erano innumerevoli cose che il dottor Degnan avrebbe potuto dire quando entrò nella stanza di Don Monti. Avrebbe potuto dire: “Non vi ha parlato nessuno del regolamento interno dell'ospedale?" O anche: “Non potete cucinare in stanza." Oppure: "Le fettuccine non sono assolutamente contemplate dal programma nutrizionale dell'ospedale."

Ma il dottor Degnan ebbe rispetto per la dignità personale del suo paziente e dei suoi genitori. Non mise avanti una sola volta la sua autorità. Semplicemente, si sedette al loro fianco e trattò i Monti come esseri umani. L'unico modo per costruire rapporti di fiducia è quello di rispettare la dignità degli altri.

Burt Manning, il presidente della J. Walter Thompson, una grande agenzia pubblicitaria in Madison Avenue, fu

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invitato di recente a parlare davanti a un pubblico di giovani pubblicitari. Questi uomini e donne, per la maggior parte tra i venti e i trent'anni, stavano esordendo in una professione altamente competitiva, in cui spesso e volentieri ci si scanna a vicenda, e non vedevano l'ora d'imparare alcuni trucchi del mestiere da una leggenda del mondo della pubblicità come Manning, che era rimasto al culmine del successo per un lasso di tempo pari agli anni di vita di molti di loro.

"Intelligenza, talento ed energia sono soltanto il biglietto d'entrata per la corsa," fu la lezione che Manning impartì quel giorno al suo pubblico affascinato. “Senza di essi non potete neppure entrare."

Ma queste doti non bastano, tutt'altro. “Per vincere, dovete conoscere il segreto, e ispirare a esso la vostra vita., Qual è questo magico segreto? E’ semplicemente: trattate gli altri come vorreste che gli altri trattassero voi.” Si trattava della Regola Aurea di Madison Avenue. Il ragionamento di Manning non si rifaceva alla religione, all'etica, all'autocompiacimento o alla differenza fra giusto e sbagliato, anche se disse ai giovani pubblicitari che anche queste erano buone ragioni per seguire il suo consiglio. Lui indicò loro un altro motivo: la Regola Aurea paga.

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“Anche se siete la persona meno altruista del mondo, anche se siete dediti soltanto al vostro interesse personale, al denaro, al prestigio, alle promozioni," sottolineò allora quel veterano della pubblicità, "il modo più sicuro per ottenere tutto ciò è quello di seguire fermamente la Regola Aurea.”

Il presidente nella società, l'insegnante nell'aula scolastica, il commesso nel supermercato: tutti lavoreranno meglio, andranno avanti, renderanno di più e si sentiranno più soddisfatti di se stessi, se semplicemente riusciranno a far propria questa semplice e veneranda regola: tratta gli altri come vorresti che gli altri trattassero te. Oppure, in forma più moderna: mostra rispetto per gli altri, loro mostreranno rispetto per te.

Il mondo di oggi non è un semplice circolo esclusivo di attempati gentiluomini. E’ un luogo enormemente più integrato, più diversificato di quello anche di una sola generazione fa. In nessun altro ambiente questa diversità è più evidente che nel mondo degli affari. Donne, omosessuali, disabili, cittadini di un gran numero di razze ed etnie: oggi fanno tutti parte del gioco.

Per riuscire in questo ambiente mutato, è assolutamente essenziale andare d'accordo senza sforzo con ciascuno,

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indipendentemente dalla sua origine o dalla sua cultura. “Soltanto il quindici o venti per cento delle persone che entreranno nella forza lavoro nel ventunesimo secolo non saranno membri di minoranze, donne o immigrati," prevede James Houghton, il presidente della Corning. “La situazione è questa. Quindi, a meno che vogliate avvalervi soltanto del quindici per cento del talento disponibile, fareste meglio a darvi una regolata, e alla svelta.”

Il modo migliore per cominciare a rispettare un'altra cultura - o qualsiasi altra cosa - è imparare a conoscerla. Questo fu uno dei motivi principali che avvicinarono il compianto Arthur Ashe al tennis professionistico. "Sapevo che c'era da viaggiare molto,” spiegò, "e io avevo una gran voglia di viaggiare. Volevo visitare quei posti. Volevo vedere quelle cose di cui avevo soltanto letto sulle pagine del National Geographic. Ho accolto con gioia la possibilità di conoscere quei paesi.

"Ripensandoci adesso," confidò Ashe a un intervistatore poco prima della sua morte, "quelli sono fra i miei ricordi più belli e più intensi: gli scambi umani che ho avuto con un'ampia varietà di persone delle più diverse culture.

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"Il viaggiare lo si può concepire in due modi. Si può avere un atteggiamento di arroganza culturale: visitare altri paesi e guardare con disprezzo alla gente che appartiene a civiltà di molte migliaia di anni più antiche della nostra. Può darsi che non siano tecnologicamente progrediti come noi, e allora noi pensiamo che il nostro sistema sia migliore. Oppure si può pensare: 'Sì, le loro condizioni di vita non sono buone. Ma che ricco patrimonio teologico o culturale hanno. Sono qua da diecimila anni, e quindi devono sapere qualcosa. Noi siamo in ballo soltanto da duecento anni.' Io preferisco senz'altro il secondo atteggiamento.”

Anche nazioni che sono vicine di casa spesso si vedono vicendevolmente come molto diverse. Queste differenze devono essere riconosciute, rispettate e mai disprezzate. E’ questo che Helmut Krings scoprì facendo la spola fra Germania e Svizzera. Krings, tedesco, è vicepresidente per l'Europa centrale della Sun Microsystems, una delle principali ditte che fabbricano reti di calcolatori.

"Io evito i confronti," afferma. “Cerco di evitare di fare qualsiasi accenno alla Germania. Quello che la gente detesta di più è sentirsi dire di continuo che quello che si fa al tuo

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paese è giusto e che nel suo non si fanno le cose come si deve."

Tutti vogliono rispetto per la loro cultura e la loro lingua. E’ naturale. Melchior Wathelet, vice primo ministro del Belgio, è nato in una famiglia belga di lingua francese. All'inizio della sua carriera politica decise di attraversare il solco linguistico che divide il suo paese imparando il fiammingo, l'altra lingua ufficiale. Questo fece di lui il primo uomo politico belga in grado di parlare correntemente entrambe le lingue. Egli mostrò così rispetto per tutti i cittadini della sua nazione. Diventò un simbolo nazionale di unità e la sua carriera politica veleggiò verso il successo. Aveva imparato a convivere con la diversità.

Volete trovarvi a vostro agio con la diversità nelle sale di consiglio delle aziende, all'università, nell'ufficio vendite, nell'organizzazione assistenziale, nel governo dei nostri giorni? Il primo passo fondamentale è: Mettersi nei panni dell'altra persona. Gli altri sono esseri umani che vivono e respirano esattamente come voi. Hanno esigenze familiari. Vogliono riuscire. Vogliono essere trattati con la stessa dignità, lo stesso rispetto e la stessa comprensione che voi pretendete da loro.

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Quello che conta, sottolinea Thomas A. Doherty, il presidente della Fleet Bank, "è il modo in cui le persone vengono trattate ogni giorno. Esse vogliono essere trattate e riconosciute come personalità individuali. Questo era vero quando sono entrato nell'attività bancaria trent'anni fa, e penso che lo sarà ancora fra cento anni." E Doherty ne definisce chiaramente il motivo: "Perché siamo tutti esseri umani."

L'importante è "trattare gli altri con rispetto. Usare piccole cortesie come 'buongiorno' e 'grazie'. A mio avviso, chi dirige ha il compito di creare un'atmosfera dove i dipendenti possano dare il loro contributo al massimo delle loro potenzialità." Quest'atmosfera esiste dove gli individui sentono di essere rispettati e trattati come individui. E’ assente dove hanno la sensazione di essere semplici numeri.

Coloro che hanno avuto successo hanno imparato nel corso degli anni che di rado è possibile far sentire importanti gli altri esibendosi una o anche più volte in un grande gesto. E’ piuttosto un processo che si compone di molti piccoli gesti.

Adriana Bitter ha potuto constatare alla Scalamandré Silks il potere di questa realtà. I tempi erano difficili per

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l'industria tessile, alla fine degli anni ottanta e all'inizio degli anni novanta, ma l'azienda sopravvisse operando in armonia con le maestranze. I nostri dipendenti sono stati incredibilmente meravigliosi, lavorando con noi per superare questa crisi,” riconosce la Bitter. “Sono stati fantastici, e credo che questo sia frutto della nostra vicinanza. Se non ci fosse stata questa vicinanza, perché avrebbero dovuto darci qualcosa? Come sa, bisogna dare a qualcuno se si vuole ricevere qualcosa in cambio. Questa, a ogni modo, è la nostra filosofia.”

Come creiamo questa vicinanza? Rispettando la dignità dei nostri collaboratori, mostrando comprensione per loro, riconoscendo che sono esseri umani che esistono anche al di fuori dell'ambiente di lavoro. Nell'azienda della Bitter questo significava per esempio che una volta il vicedirettore corresse gentilmente un intervistatore radiofonico in visita, quando questo si riferì ai dipendenti come a degli operai tessili anziché a degli artigiani. Significava, come abbiamo visto, che la Bitter, durante uno dei suoi giri per lo stabilimento, riuscì a far superare la paura del volo a uno dei suoi disegnatori. Significava lasciar aperta la porta dell'ufficio del presidente e accogliere un artigiano a torso

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nudo che doveva parlare di certi problemi sopravvenuti in tintoria. Significava imparare lo spagnolo per comunicare meglio col personale.

Fred Sievert è in un ramo molto diverso, ma sa che certe regole sono le stesse. I piccoli gesti sono tutto anche nel ramo delle assicurazioni. In questo settore, gli agenti sono la società. Se gli agenti non vendono, in breve la società si sfascia. Semplicemente.

Anni fa, Sievert lavorava per l'agenzia di assicurazioni internazionale Maccabee. Quando la ditta si trasferì in un nuovo palazzo di uffici che ospitava parecchie altre aziende, Sievert volle assicurarsi che il lavoro precedente non andasse perduto nel trasferimento. Quindi la sua prima sosta nel nuovo palazzo fu all'ufficio del personale di sicurezza. “Ho radunato gli addetti alla sicurezza, saranno stati dieci o dodici," ricorda Sievert. "Non sapevano neanche che lavoravamo nelle assicurazioni, sapevano solo il nome dell'azienda. Io ho detto: 'Ehi, noi abbiamo degli agenti chiave a Detroit, e se voi sapete che una persona che viene qua è uno di questi, dovete srotolare il tappeto rosso per lui. Fate tutto quello che dovete fare. Se dovete accompagnare il visitatore fino all'ultimo piano perché trovi il funzionario

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giusto, fatelo.' In seguito degli agenti mi hanno parlato entusiasticamente dell'ottimo trattamento che hanno ricevuto quando sono entrati nel palazzo.”

Tutte queste piccole premure contribuiscono a comporre un grandissimo insieme: il risultato è che la gente si senta a suo agio e soddisfatta. I dipendenti convinti che la loro organizzazione è interessata al loro benessere e comprende i loro bisogni sono quelli che, con ogni probabilità, rispondono lavorando indefessamente e sforzandosi di contribuire al conseguimento degli obiettivi dell'organizzazione stessa.

Dale Carnegie raccontava spesso la storia di Jim Farley, l'organizzatore della campagna elettorale di Franklin Delano Roosevelt. Farley si faceva un dovere di ricordare - e usare - i nomi di tutti coloro che contattava. Spesso questo significava ricordare letteralmente migliaia di nomi. Quando condusse la campagna elettorale per la rielezione di Roosevelt, Farley viaggiò per nave, in treno e in automobile, rimbalzando da una città all'altra, incontrando a ogni tappa centinaia di persone. Al suo ritorno a casa, dopo settimane di spostamenti, era esausto. Ma non si riposò prima di aver completato un compito che riteneva assolutamente

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essenziale: inviò una lettera firmata di suo pugno a tutti i cittadini che aveva incontrato nel suo giro di propaganda. E aprì ogni lettera col nome di battesimo del singolo destinatario: "Caro Bill” o “Cara Rita”.

Le persone rispondono ancor oggi a questi piccoli gesti? Potete scommettere di sì. Restituire una telefonata, ricordare un nome, trattare qualcuno con rispetto: queste sono praticamente le cose più importanti che qualsiasi leader puo fare. Queste azioni basilari, sottolinea il pubblicitario Burt Manning, "sono quelle che funzionano. E’ questo il modo in cui le persone si distinguono dalla folla, dalle masse: facendo queste cose fondamentali senza mai il minimo cedimento.”

Poco tempo fa, un signore fu accompagnato da Manning nel suo ufficio. Quando entrarono, rimase colpito da un piccolo gesto. Nell'ufficio c'era un solo attaccapanni. Manning prese il soprabito del visitatore e l'appese all'attaccapanni. Il proprio soprabito lo gettò sul pomo di una porta. Niente di speciale? Forse, ma non pensate che il gesto sia passato inosservato. Sono piccole cose come questa che inviano un messaggio: "Lei mi sta a cuore. I suoi interessi

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sono i miei interessi. Noi siamo in questo affare insieme.” In questo modo si può creare un ambiente positivo.

E non c'è modo migliore per rafforzare il messaggio che compiere il secondo passo previsto dalla Regola Aurea: Trattare i dipendenti come colleghi, senza atteggiamenti di superiorità, senza imposizioni, senza rimproveri. Essi sono i vostri collaboratori, dopo tutto, non i vostri servitori o i vostri migliori amici. Perciò trattateli di conseguenza. Riconoscete la condizione umana che è propria di ogni membro dell'organizzazione. Chi si atteggia a grande boss non motiva gli altri ma genera solo risentimento nei subordinati.

Considerato il grande potere del rispetto, come mai così tanti dirigenti prendono l'abitudine di umiliare i loro sottoposti e di alzare la voce con loro? Spesso il motivo è una scarsa autostima. "I manager si trovano allo scoperto,” arguisce John B. Robinson Jr., vicepresidente effettivo del gruppo finanziario Fleet, a cui appartiene la Fleet Bank. “Sono in prima linea. Ho visto spesso certuni adottare uno stile innaturale perché si trovavano in una situazione difficile. Penso a quelli che, come ho potuto constatare in questi anni, si sforzavano di essere capi inflessibili ma in

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realtà non lo erano. Forse mascheravano in questo modo il loro senso di disagio.”

E funziona? Quasi mai. "Loro tendono a offendere a parole gli altri e cercano d'imporre rispetto dettando legge con atti arbitrari o cose del genere. E questo di solito è controproducente." Il motivo è semplice: è raro che le persone reagiscano bene all'intimidazione.

E’ molto più efficace permettere che i vostri dipendenti vedano che anche voi siete esseri umani. Trattate gli altri come uguali, come capitali preziosi, non come pezzi del macchinario dell'azienda. Quello che va fatto, insegna Bill Makahilahila, è liberarsi dalla propria posizione, liberarsi dal titolo così come lo vedevamo in passato. Ciascuno dà il suo contributo, è questo che conta.”

Per certi dirigenti d'industria questo significa un modo totalmente nuovo di concepire le relazioni fra dipendente e principale. Bisogna usare il tono giusto perché s'instaurino il rispetto e la comunicazione reciproca. John Robinson è convinto di questo: "Secondo me una delle cose che bisogna fare è mantenere un senso di umiltà. E’ estremamente facile che nel mondo aziendale succeda questo: più in alto saliamo, più crediamo veramente di essere così importanti come il

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nostro titolo suggerisce, o così intelligenti come la nostra posizione proclama." Anni fa Robinson scoprì in un modo meraviglioso come ricordare a se stesso che, nonostante la posizione che aveva raggiunto, restava esattamente uguale a chiunque altro con cui lavorava. "Ero poco più che trentenne e già direttore di banca, e questo mi faceva sentire molto importante," confessa. "Poi tornavo a casa e mio figlio era tutto zuppo e disperato, e io gli cambiavo il pannolino. Questo mi riportava immediatamente alla realtà e mi consentiva di vedere le cose sotto la luce giusta. I miei figli: sono stati proprio loro a mantenermi padrone del mio equilibrio.”

Mettetevi nei panni dell'altro. Non trattatelo dall'alto in basso. Ed ecco il terzo passo prescritto dalla Regola Aurea: Coinvolgere le persone. Accomunatele nella vostra sfida. Chiedete il loro contributo. Incoraggiate la loro cooperazione.

Il lavoro, nella maggior parte dei casi, è una parte importantissima della loro vita come lo è della vostra. Quasi certamente vogliono essere coinvolte. Vogliono sentirsi parte in causa. Vogliono partecipare a una sfida, investirvi

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tutte le loro energie. Non vogliono che le loro opinioni vengano ignorate.

Chi è appassionato e impegnato in quello che fa, lo fa bene. Secondo l'icastica espressione di Ray Stata, "quello che la gente vuole sentire è un senso d'importanza, un senso d'impatto, un senso d'influenza.”

Come potete creare questo sentimento? Trasmettendo potere ai vostri dipendenti, proponendogli una sfida, coinvolgendoli nella pianificazione della vostra organizzazione. Precisa Stata: "Io credo che la cosa più importante sia che alle persone vengano assegnati compiti e mansioni che esse sentano proporzionati alle loro capacità o che magari vedano come uno stimolo a superare i propri limiti. Secondo me, la chiave della motivazione consiste nel cercare di collegare esattamente il compito all'individuo in modo tale che questo rappresenti per lui una vera sfida."

La Rubbermaid l'ha compreso molto presto. Quest'azienda si è posta radicalmente all'avanguardia col metodo di gestione che prevede la trasmissione di potere ai dipendenti. Quando, verso la fine degli anni ottanta, dovette far ridisegnare un macchinario per una spesa di molti milioni di dollari, non furono i dirigenti a dettar legge. La

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Rubbermaid volle invece che fossero gli operai, coloro che all'atto pratico avrebbero usato le macchine, a condurre il processo. "Formammo una squadra di sei uomini," spiega Wolfgang Schmitt. "Erano tutti addetti alla produzione, con in più un manager. Essi fecero il giro delle varie ditte che fabbricano quel genere di materiale ed eseguirono le prove di prestazione comparativa. Toccò soltanto a loro fare le raccomandazioni su quanto andava acquistato. E furono soltanto loro a venire successivamente addestrati in Europa, in questo caso in Germania, sul funzionamento delle macchine. Loro rientrarono in patria coi tecnici del fornitore e montarono le macchine. Loro le misero in piedi. Loro le programmarono. Loro ne assicurarono la qualità. Loro provvidero alla manutenzione preventiva."

I risultati di questo lavoro sono stati importanti per la Rubbermaid. L'azienda vanta uno dei più elevati tassi di conservazione del posto di lavoro del settore, e i dipendenti della Rubbermaid sono ottimi lavoratori. Dal 1982 al 1992 la Rubbermaid ha pagato agli investitori un profitto annuo medio del venticinque e sette per cento.

Bill Makahilahila descrive il processo della trasmissione di potere ai suoi impiegati come uno dei suoi

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compiti più importanti. E spesso un'impresa difficile. Implica l'instillare nei dipendenti un senso di fiducia in se stessi, "aiutandoli a elaborare i loro pensieri e le loro idee e poi a consolidarli nella loro mente così che possano sentirsi sicuri nel compimento delle loro mansioni e nell'applicazione delle loro capacità." Richiede che il dirigente si tiri indietro, appoggi le decisioni dei dipendenti, non prenda il sopravvento.

"A mio modo di vedere," continua Makahilahila, "non esiste una decisione giusta o sbagliata. E’ necessario che io deleghi la piena autorità di prendere la decisione. Poi, se quella che è stata presa non è la miglior decisione possibile, se ne discute. Ma se è la miglior decisione, io ne confermo la validità e aiuto chi l'ha presa a riconoscerlo."

E’ difficile, ma i risultati giustificano lo sforzo. I lavoratori vengono coinvolti in quello che stanno facendo. Forse la miglior definizione di questa verità è quella di Ray Stata: "Io penso che la questione più importante in assoluto, soprattutto per lavoratori istruiti, professionali, intelligenti, sia quella dell'autorealizzazione. Quindi, il miglioramento e la crescita continui nello siviluppo delle loro capacità è, alla

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fine della giornata, la cosa più importante che motiva le persone.”

Trattate bene gli altri, trattateli da uguali, e coinvolgeteli nel lavoro di squadra. Esiste un solo sistema fondamentale per creare un posto di lavoro all'insegna della dignità: Umanizzare l'organizzazione in modi grandi e piccoli.

Qui possono svolgere un ruolo importante sforzi simbolici. Per esempio, muoversi dalla propria scrivania da funzionario. Joyce Harvey ha nel suo ufficio un piccolo tavolo per riunioni, e ne fa uso. "Sediamo intorno a questo tavolo e parliamo," riferisce Harvey. "Molto spesso ho una riunione a mezzogiorno, e ho l'abitudine di far portare la colazione per tutti gli impiegati che si trattengono durante l'ora di pranzo. Questo rende il colloquio più disinvolto e informale, e mostra che noi ci preoccupiamo del loro tempo e lo rispettiamo.”

E. Martin Gibson va oltre il gesto simbolico. E’ convinto che l'umanizzazione di un'impresa sia così importante che ha perfino strutturato gli impianti dei suoi stabilimenti con questa idea in mente. "Secondo me, un posto dove lavorano gomito a gomito dieci, quindici o

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ventimila persone è un disastro," dichiara. “Non riesco proprio a vedermi mentre smonto dalla mia macchina e attraverso a piedi un'area di parcheggio con diecimila operai in un mostruoso complesso. Mi porrei di continuo la domanda: 'Se mi volatilizzassi, qualcuno se ne accorgerebbe?' Probabilmente no. Oppure direbbero soltanto: 'Che fine avrà fatto quel vecchio come-si-chiama?`

Un lavoratore che si sente sradicato non proverà un grande senso di coinvolgimento nelle attività della sua azienda. Un'impresa, la Corning Lab Services, convinta di ciò, ha trovato una soluzione. Essa possiede trentadue fabbriche: una grande, con millenovecento dipendenti, e le altre con una media fra i trecento e i seicento dipendenti.

I risultati? “Abbiamo operai che, quando vanno al lavoro ogni mattina, si chiamano per nome,” assicura Gibson. “Se uno di loro si volatilizzasse, qualcuno se ne accorgerebbe. Tu sai che qualcuno sentirebbe la tua mancanza, perché lavori in una piccola unità di produzione. Tutti quanti sanno il tuo nome di battesimo. E’ eccitante.”

Wolfgang Schmitt è d'accordo. E’ per questo che cerca di limitare i suoi stabilimenti a un organico di quattrocento-seicento elementi. Perché queste dimensioni? Per

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risparmiare denaro? Non proprio. “Quello che secondo noi è veramente d'importanza cruciale sono i rapporti interpersonali," spiega Schmitt. "Quando si supera una forza lavoro di quattrocento-seicento dipendenti, a nostro avviso l'aspetto personalizzato di questi rapporti, la comprensione, l’empatia, vanno a farsi benedire. Così devi darti da fare dall'alto per creare artificialmente un clima di comprensione invece di averlo, per così dire, organicamente presente. Quindi sia dal punto di vista umano sia da quello dei costi, è prudente e intelligente rimanere in strutture di queste dimensioni.”

Schmitt è giunto a questa conclusione attraverso inchieste tra il personale, che hanno rivelato come questo apprezzi le dimensioni contenute. "Abbiamo trovato che più ci atteniamo a questa misura più i dipendenti si sentono soddisfatti di appartenere all'organizzazione, e maggiore è il senso di coesione.”

Queste questioni sono d'importanza vitale, e non solo per i massimi dirigenti. Tutti noi, quale che sia la nostra posizione, progrediamo e realizziamo di più rispettando l'importanza e la dignità degli altri, indipendentemente dalla

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loro qualifica, dalla loro origine o dalla loro relazione nei nostri confronti.

Non si tratta di un concetto nuovo. Anni addietro Dale Carnegie lo applicava a persone di tutto il mondo. “Vi sentite superiori ai giapponesi?" chiedeva. "La verità è che i giapponesi si considerano di gran lunga superiori a voi.

“Ogni nazione si sente superiore alle altre. Questo genera nazionalismo e guerre.

"La semplice verità è che quasi tutti gli individui che incontrate sul vostro cammino si considerano superiori a voi sotto qualche aspetto. E’ un sistema sicuro per conquistare i loro cuori è quello di fargli capire in qualche modo sottile che voi riconoscete la loro importanza nel mondo e la riconoscete sinceramente.”»

IL VERO RISPETTO PER GLI ALTRI

E’ IL FONDAMENTO DELLA MOTIVAZIONE.

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9 RICONOSCIMENTO, LODE, PREMI

All'inizio del diciannovesimo secolo, un giovanotto di

Londra aspirava a diventare scrittore. Ma tutto sembrava cospirare contro di lui. Non era riuscito a frequentare la scuola per più di quattro anni. Suo padre era stato imprigionato per debiti, e il giovane conosceva spesso i morsi della fame. Alla fine ottenne un lavoro, quello d'incollare etichette su bottiglie in un magazzino infestato dai topi, e di notte dormiva in una lugubre soffitta con due monelli dei bassifondi di Londra. Aveva così poca fiducia nelle sue doti di scrittore che impostò di nascosto il suo primo manoscritto nel cuore della notte perché nessuno gli ridesse dietro. Una sequela di racconti gli furono respinti uno dopo l'altro. Finalmente venne il gran giorno in cui uno venne accettato. Certo, non gli fu pagato, ma lui aveva ricevuto l'elogio di un editore. Aveva ricevuto il suo riconoscimento. Ne rimase così elettrizzato e commosso che vagò senza meta per le strade con le guance inondate di lacrime.

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La lode e il riconoscimento che ricevette dal fatto di vedere stampato anche un solo racconto cambiò l'intero corso della sua vita. Se non fosse stato per quell'incoraggiamento, forse avrebbe passato l'intera vita sgobbando in fabbriche infestate dai topi. Avrete saputo di quel ragazzo. Si chiamava Charles Dickens.

DALE CARNEGIE Mary Kay Ash, fondatrice di una ditta di cosmetici, ha

esordito nel mondo degli affari come organizzatrice di dimostrazioni promozionali per conto della Home Products Company. Non si dimostrò una brava venditrice... Almeno non all'inizio. “Dovevamo dare alla padrona di casa che ci invitava per la dimostrazione, davanti alle sue vicine di casa riunite, un omaggio in prodotti per la pulizia della casa, quelli reclamizzati, per un valore di quattro dollari e novantanove centesimi," ricorda la Ash. “Facevo circa sette dollari a dimostrazione, e quindi, quando uscivo dalla porta, mi restavano in media un paio di dollari." Ma aveva tre figli piccoli da mantenere e non molte capacità. Così continuò a lavorare come piazzista.

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Dopo qualche settimana si rese conto che in quel modo non ce l'avrebbe fatta a sbarcare il lunario, a meno che qualcosa non fosse cambiato, e in fretta. Era arrivato il momento di una decisione drastica. “Vedevo tutta quella gente che mi diceva quanto vendeva e mi chiedevo: 'Ma come fanno? Perbacco, nessuno mi comprava quegli articoli per la casa.' Io non ero capace di vendere. Allora mi dissi: 'Bisogna che vada all'assemblea della ditta Stanley. Devo scoprire come si fa a vendere perché devo mantenere i miei tre bambini."'

A quei tempi, nel Texas, per una ragazza madre quella era una vera scommessa. La Ash non aveva denaro e nessun appoggio. “Dovetti farmi prestare i soldi per poter andare all'assemblea. Mi ci vollero dodici dollari. Questo comprese il viaggio prenotato in treno - avrà capito quanto tempo fa successe - da Houston a Dallas e ritorno, e tre notti all'Adolphus Hotel. Oggi non potresti certo metterci piede per dodici dollari. Fu un'amica a prestarmi quei dodici dollari. Persi un mucchio di amiche per aver loro chiesto in prestito quel denaro. L'unica amica che me lo prestò mi consigliò: 'Faresti meglio a startene a casa e comprare le scarpe ai tuoi bambini con questi dodici dollari. Non

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dovresti andare in quei postacci da uomini a dannarti l'anima.'"

Ma la Ash non desistette. “Non avevano accennato al vitto, e a me piaceva mangiare. Così pensai: Perbacco, meglio che mi porti dietro del formaggio e dei cracker.' Così svuotai la mia valigia di campioni della Stanley e ci misi dentro mezzo chilo di formaggio e una scatola di cracker. Era l'unica valigia che avevo. Anzi, non era neppure una valigia vera e propria. E ci ficcai dentro l'unico vestito che avevo oltre a quello che portavo addosso, insieme al formaggio e ai cracker.

"Salii su quel treno, e i passeggeri si misero a cantare ‘STANLEY' e continuarono così per tutto il viaggio. Quello slogan mi ronzava ossessivamente nell'orecchio e io pensavo: 'Oh, Gesù.' Mi sentivo così imbarazzata. 'Ma sono matti?' Fingevo di non essere una di loro. Non avevo un vestito decente, non avevo niente. Dovevo sembrare una poveraccia, comunque andai là e questo cambiò la mia vita."

Cambiò la sua vita? "Quelli della Stanley incoronarono una reginetta. Si

chiamava Livita O’Brien. Non la scorderò mai, era alta, magra, nera di capelli, di successo. Esattamente il contrario

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di me. Io assistevo dall'ultima fila in fondo alla sala, e decisi che l'anno dopo sarei stata io la reginetta della festa. Le regalarono una borsa di pelle di alligatore. Quello era il premio più grosso. Lo volevo con tutta l'anima. Volevo quella borsa di alligatore.

"Non avevano un manuale sul come vendere, ma dissero tre cose. Prima, scegli un binario su cui viaggiare. Poi, lega la tua carrozza a una stella. Be', io avevo il mio lavoro alla Stanley, e legai il mio vagone alla stella di quella donna, lo legai così forte che ho idea che se lo sentì arrivare dall'ultima fila. Per finire, consigliarono, dite a qualcuno che cosa avete intenzione di fare. Bene, mi guardai intorno. Decisi che non sarebbe servito a niente dirlo a qualcuno del pubblico. Mi sarei rivolta al presidente, che stava in piedi davanti a tutti. Mi avvicinai a Frank Sammy Beverage e gli dissi: 'Signor Beverage, l'anno prossimo sarò io la reginetta.'

“Ora, se avesse saputo chi ero si sarebbe messo a ridere. Ero negli affari da tre settimane, guadagnavo in media sette dollari a dimostrazione, e pensavo che sarei stata la prossima reginetta. Cosa mi ero messa in testa? Ma era un uomo squisito. Non so cosa vide in me, ma mi prese la mano, mi guardò fisso negli occhi e fece: 'Non so come, ma penso che

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ce la farà.' Quelle poche parole cambiarono la mia vita. Non avrei potuto deluderlo. Insomma, avevo preso l'impegno che sarei stata la reginetta l'anno dopo.” E lo fu.

Mary Kay Ash si diede da fare e fondò una ditta destinata a un enorme successo, incaricando sue rappresentanti part-time di vendere prodotti cosmetici ad amiche, vicine e colleghe. Era motivata a raggiungere il successo ancor prima di farsi assumere dalla Stanley. Doveva assolutamente riuscire: non aveva un marito, non aveva un altro lavoro, e a casa aveva tre bambini da sfamare. Inoltre, voleva la soddisfazione che si accompagna al successo. L'incoraggiamento che ricevette dal presidente della società Stanley le fornì l'incentivo di cui aveva bisogno: accrebbe la sua autostima, facendole sentire che c'era qualcun altro al mondo che aveva a cuore il suo successo.

A volte motivare le persone può essere davvero molto semplice.

Tutti quanti, dal presidente della società più affermata alla commessa di un supermercato addetta al ritiro delle bottiglie vuote, vogliono sentirsi dire che compiono un lavoro d'importanza primaria, che sono intelligenti, che sono

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bravi e che i loro sforzi sono riconosciuti. Un po' di riconoscimento, un incoraggiamento al momento giusto è spesso tutto quello che ci vuole per trasformare un buon dipendente in uno eccellente.

"Perché," chiese Dale Carnegie, “per cambiare le persone non usiamo lo stesso comune buonsenso che usiamo quando cerchiamo di cambiare i cani? Perché non usiamo la carne invece di usare la frusta? Perché non usiamo la lode invece del biasimo? Lodiamo dunque anche il più lieve miglioramento. Questo sprona l'altra persona a continuare a migliorare."

Non è per nulla complicato. Ma per qualche ragione molti trovano difficile tributare lodi anche molto meritate.

"Una volta avevo difficoltà a esprimere giudizi, positivi o negativi, sull'operato dei dipendenti," confessa Fred Sievert. “Ma dire qualche parola di lode è molto semplice, e incredibilmente fruttuoso. Non so perché mai mi trattenessi dal dire: 'Apprezzo molto quello che ha fatto. Gliene sono grato. So che le è costato un bel po' di lavoro straordinario e, mi creda, ne vedo i risultati."'

Come raccontò Sievert, gli ci vollero anni per imparare l'importanza del distribuire lodi, e in parte lo dovette al suo

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principale. "E’ un uomo straordinario e ogni giorno esterna i suoi sentimenti. Quando ha un problema o qualcosa di negativo nella mente te lo fa sapere, ma dice anche: 'Bravissimo, hai fatto un lavoro splendido.' E’ molto rassicurante sentire frasi del genere."

Non è necessario che le lodi siano sperticate. "Certe volte," continua Sievert, "si rende conto che lavoro troppo, e allora mi dice: E’ meglio che adesso te ne vada. Va' a casa. Passa un po' di tempo con la tua famiglia. Prenditi qualche giorno di vacanza.' Il semplice fatto che si accorga del mio impegno ha grande valore per me.»

Premi. Quando, oggi, questa parola viene usata nel mondo degli affari, è quasi sempre un eufemismo per la parola "soldi". Straordinari, gratifiche, indennità, mance: sono questi i tipi di premi a cui la maggior parte della gente pensa, i premi di natura finanziaria.

Ora, nessuno nega che il denaro sia importante. Nella nostra società, è estremamente importante. Ma, per dire tutta la verità, il denaro è solo uno dei motivi per cui le persone vanno al lavoro la mattina e soltanto una delle cose che si portano a casa dal lavoro.

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Protestiamo pure quanto vogliamo, ma anche al più materialista di noi stanno intensamente a cuore anche altri tipi di premi.

Due cose figurano in cima all'elenco dei premi: l'autostima e la stima che vi viene dagli altri. Sono due delle più potenti forze motivanti che esistano. “Le persone amano fare bella figura,” rammenta continuamente a se stesso Walter Green, della società Harrison Conference Services.

"Quindi, parte di quello che vuoi fare è creare un ambiente dove i dipendenti possano fare bella figura."

E’ quello che ha fatto James Houghton alla Corning. Egli cerca di creare un ambiente dove gli impiegati possano fare bella figura e sentirsi bene. La sua ricetta si compone di mille ingredienti, ma uno di essi ha a che vedere con la procedura adottata dalla Corning per i suggerimenti dei dipendenti.

Prima d'impegnarsi con vigore nella politica del miglioramento della qualità, la Corning sollecitava i consigli dei dipendenti in modo tiepido. Poche cassette per i suggerimenti erano ficcate qua e là nelle fabbriche e negli uffici della compagnia, in un angolo dove per lo più finivano per coprirsi di polvere. "Il nostro sistema per i suggerimenti

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era come quello di tutte le altre ditte: tu imbucavi là il tuo consiglio e, se veniva accettato, potevi ricavarne un po' di soldi. In realtà quello che succedeva era che tu infilavi il tuo consiglio in un buco nero, e non ne sapevi più niente. Magari venivi, a saperne qualcosa sei mesi dopo. E se venivi a saperne qualcosa, ci restavi male. O ti sentivi dire che non ti sarebbe stato dato il becco di un quattrino, oppure ti davano qualcosa e tu pensavi che non era abbastanza. Non solo ci restavi male tu, ma ci restavano male anche tutti i tuoi colleghi perché tu avevi ricevuto i soldi e loro no."

Oggi la Corning si comporta in modo molto diverso coi suggerimenti del personale. “Le cassette sono sparite," insieme con l'intero atteggiamento da esse rappresentato, "non per un ordine dall'alto. Una alla volta, semplicemente sono scomparse."

Non è solo questo che è cambiato. Secondo l'attuale programma della Corning relativo ai suggerimenti dei dipendenti, non vengono elargiti premi in denaro, ma viene accordato un riconoscimento. "Chi se lo merita viene nominato 'Impiegato della Settimana'. Ha la foto esposta in bacheca o un mazzo di fiori o un caffè oppure

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semplicemente viene ringraziato.” Questo ringraziamento è quello che fa sì che il programma funzioni.

Ma i dipendenti non sentono la mancanza dei premi in denaro? Pare di no, risponde Houghton. "Abbiamo fissato una sola regola. Se viene presentato un suggerimento, dev'esserci una risposta entro un paio di settimane. Una settimana o due, dipende, ma dev'esserci una risposta rapida. Sì o no, oppure 'ci stiamo pensando.'”

Ma adesso che il denaro è stato sottratto all’equazione, il numero dei suggerimenti è diminuito, vero? “L’hanno scorso," rivela Houghton, "il numero dei consigli è aumentato di ottanta volte. E il numero di quelli che abbiamo seguito è aumentato di circa quaranta o cinquanta volte.”

I dipendenti partecipano per parecchi motivi. Vogliono migliorare la qualità del loro lavoro, com'è ovvio, e avanzano suggerimenti perché sanno che qualcuno gli presterà ascolto. Ma, altrettanto sicuramente, partecipano perché vogliono l'autostima e il pubblico riconoscimento che li premia per aver presentato una buona idea. Houghton assicura che non è rimasto minimamente sorpreso. "Questo mi dice che a loro importa, e che vogliono essere coinvolti.

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Tutto quello che devi fare è lasciarli liberi e dire grazie. E’ stupefacente quello che può succedere."

Houghton ha ragione. Tutti quei dipendenti che sentono che i loro contributi sono riconosciuti e rispettati, realizzano effettivamente risultati sbalorditivi. Fare in modo che i dipendenti si sentano apprezzati, prestare la massima attenzione alle loro buone idee, invitarli a partecipare a presentazioni ufficiali di nuovi prodotti solitamente riservate ai quadri direttivi, dire: “Grazie. Sappiamo che lei è un impiegato modello. Apprezziamo molto lei e il suo lavoro." E’ da qui che si inizia a creare una efficace motivazione.

Oggi le società ben gestite dedicano tempo, energia e soldi all'introduzione di questi premi non monetari.

“Quello che oggi faccio," dichiara Anders Björsell, presidente dell'Elektrotryck AB, la principale fabbrica svedese di schede per computer, "è esprimere riconoscimento davanti all'intero gruppo. Questo è molto importante: encomiare qualcuno davanti al maggior numero di persone. 'Lei ha fatto un lavoro eccellente.' Non fa certo lo stesso effetto che se fosse detto in privato.”

Il piacere proviene dal ricevere il riconoscimento in pubblico. "E’ questo che permette alle persone di sentirsi

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apprezzate," è la convinzione di Björsell. "Non si dovrebbe mai smettere di farlo, e non lo si farà mai abbastanza."

Val Christiansen è proprietario del più rinomato ristorante della catena Denny's, al primo posto su ottocento sparsi in tutti gli Stati Uniti.

Nel ristorante di Christiansen, che si trova a Victorville, nel deserto californiano fra Los Angeles e Las Vegas, si servono una quantità d'insalate, minestre, panini e piatti d'altro genere. Ma Christiansen ha individuato un punto debole. Troppi clienti finivano i loro pasti e subito dopo chiedevano il conto. Quello di cui il ristorante aveva bisogno, decise Christiansen, era vendere più torte. Allora indisse una gara per vedere chi riusciva a venderne di più.

“Quando abbiamo cominciato," ricorda, "vendevamo due torte al giorno. Così ho spiegato ai miei dipendenti come secondo me avrebbero dovuto vendere le torte. Gli ho dato una piccola dimostrazione su come fare. Loro mi conoscono abbastanza bene da dirmi: 'Okay, signor C., se riusciamo a vendere tutte queste torte, a noi cosa viene in tasca?' Un branco di capitalisti incalliti, ecco quello che sono, ma noi possiamo capirlo, e ci va bene.”

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Annunciò ai suoi dipendenti che a chi a ogni turno avesse venduto più torte sarebbe stata offerta una favolosa serata in città. "Sarebbe stato condotto a Los Angeles col consorte o chi gli pareva in una berlina con autista a vedere Il fantasma dell'Opera."

Il turno di quel giorno fu vinto da una donna che non era mai stata a teatro prima di allora. Essa si fece accompagnare dal marito per quella serata indimenticabile. “Sono saliti su quell'enorme limousine e si sono divertiti un mondo. Era un venerdì sera. Domenica mattina io entro. Lei ferma al registratore di cassa mi afferra. E’ in uniforme, al lavoro. Mi getta le braccia al collo. Non mi abbraccia: mi trattiene, e continua a trattenermi.”

"Le è piaciuto il dramma?” le chiese Christiansen. Così l'uomo rievoca la scena: "C'erano una marea di

cose da fare, tutti schizzavano qua e là. Il ristorante era pieno come un uovo. E lei mi teneva fra le braccia. Quando mi lascia, vedo che ha la faccia inondata di lacrime. 'Signor C.,' mi dice, ‘le voglio bene. Grazie.' Mi comunica che sta dandomi il preavviso di licenziamento. Se ne andrà fra vent'anni."

Tutto per quel solo atto di riconoscimento.

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"Ho sollecitato la sua autostima," commenta Christiansen. “Le vendite delle nostre torte sono passate da due a settantuno al giorno. Così sono stato ricompensato economicamente e moralmente. Se mi limito a dare dei soldi a un dipendente non posso aspettarmi di ottenere questi tipi di risultati.”

Non mancano certo i programmi di premiazione da imitare: ne esistono tanti quasi quante sono le aziende saggiamente gestite. Alcuni di questi programmi sono ispirati da una fertile fantasia. Le possibilità sono limitate soltanto dalla creatività dei loro ideatori. A proposito di creatività, è doveroso citare il gruppo della SGS Thompson.

Essa introdusse un programma di premi denominato 'Premio per la Qualità delle Risorse Umane', dove i dipendenti ottengono riconoscimenti quando eccellono non nella fabbricazione o nella ricerca e sviluppo o nella produzione, ma nelle relazioni umane. Il vicepresidente Bill Makahilahila così descrive il programma da lui creato: "Abbiamo quattro premi che distribuiamo ogni trimestre a dirigenti che si distinguono per determinati comportamenti. Uno si chiama 'Premio Orecchio d'Oro', e consiste effettivamente in un orecchio d'oro applicato a una targhetta.

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E’ per chi dimostra buone capacità di ascolto. I dirigenti possono proporre un dirigente o un impiegato o chiunque altro preferiscano che dia prova di possedere queste doti. Poi abbiamo il 'Premio Lingua d'Argento'. Viene dato per la comunicazione efficace, non semplicemente per le presentazioni formali. Il vincitore riceve un'originale targhetta con una lingua d'argento che viene in fuori. Abbiamo pensato bene di rendere il sistema un po' divertente usando varie parti del corpo."

No, non c'è un 'Premio Piedi sulla Scrivania'. "Abbiamo poi il 'Premio Trasmissione del Potere',"

continua MakahJlahila. "Serve per dimostrare ai dipendenti come uno di loro abbia mutuato da noi del potere. Il quarto premio, il più importante, si chiama 'Premio per il Leader Modello'. Va a chi dimostra tutte le caratteristiche migliori: onestà, integrità, sincerità. Deve anche rivelarsi in possesso di capacità di comunicare in modo efficace, di ascoltare, di stringere rapporti interpersonali, di trattare con la gente ecc. Questa particolare targhetta del premio mostra un capo che sorregge i membri del suo gruppo su una piattaforma. Il concetto è questo: lui sta sostenendo le persone e non guardandole dall'alto in basso.”

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C'è poi la Mary Kay Cosmetics. Quest'azienda non ha uguali nella competizione per il premio più straordinario. Alla Mary Kay, le vincitrici dell'anno ricevono ciascuna una Cadillac rosa: esatto, rosa. "Circa tre anni dopo il nostro esordio, gli affari andavano a gonfie vele," spiega Mary Kay. “Avevamo fatto, in soldoni, un milione di dollari. Avevo bisogno di una macchina nuova, così sono andata da un concessionario della Cadillac e ho tirato fuori dal borsellino il mio portacipria. 'Voglio una Cadillac nuova,' gli ho detto, 'e la voglio dipinta di questo colore qua.’”

Il venditore impallidì. "Ha dato un'occhiata al portacipria e ha protestato: 'Oh, Mary Kay; non dirà sul serio. Non faccia una cosa del genere. Lasci che le dica quanto le verrebbe a costare la riverniciatura dell'auto se le venisse consegnata di quella tinta e non le piacesse.' Io ho insistito: 'Per favore, la voglio rosa.' Lui ha detto: 'Va bene, ma ricordi che l'ho avvertita. Non dia a me la colpa del disastro.'

“La macchina è arrivata, e già durante il viaggio verso casa ha suscitato scalpore fra gli altri automobilisti. Faceva proprio colpo. Come una Lincoln nera che può restare bloccata per un paio d'ore a un segnale di stop per la

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curiosità dei passanti. Provi a mettersi al volante di una Cadillac rosa. Sono strabilianti il rispetto e l'ammirazione che ottiene quella macchina."

Fu una cosa memorabile che non venne sottovalutata. Ma ormai nessuno poteva più accusare Mary Kay Ash di lasciarsi sottovalutare.

"Le mie dipendenti stravedevano per quell'auto. Per loro era un grosso trofeo su quattro ruote, e hanno voluto sapere: 'Cosa dobbiamo fare per averne una uguale?' Mio figlio è il mago della finanza dell'azienda, e ho passato a lui la domanda. 'Richard,' gli ho detto, 'ti sottopongo un problema. Dimmi un po' che cosa una persona dovrebbe essere in grado di fare per vincere una Cadillac rosa.' Lui ha fatto: 'Oh, mamma, cosa ti viene in mente?' ma poi ha risolto il problema. Ci ha detto quanto la persona avrebbe dovuto lavorare. Come lei sa, più in alto si mette il premio, più in alto la gente salta. Così il primo anno abbiamo regalato una Cadillac rosa. Il secondo anno, cinque. Il terzo anno, dieci. Il quarto anno, venti. Dopo di allora, abbiamo messo il premio a disposizione di chiunque fosse riuscito a realizzare una certa cifra, e ancora oggi il sistema è questo.

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"Così, oggi abbiamo in circolazione per l'intero paese un numero di auto per un valore di sessantacinque milioni di dollari, e anche se non sapete nient'altro della Mary Kay Cosmetics, se vedete una macchina rosa a Salem, nel Massachusetts, dovete sapere che rappresenta la Mary Kay. La gente lo sa. E’ diventata un simbolo.” Un simbolo utile per la ditta e un simbolo utile anche per le sue dipendenti. Proclama a tutti: "Tu sei superiore. Hai fatto un lavoro superbo. Continua così."

Il governo degli Stati Uniti non elargisce Cadillac rosa. Almeno, non ancora. Ma anche il governo ha affrontato la questione del riconoscimento creativo, introducendo il Federal Quality Institute.

L'istituto fa fondato nel 1988 per decreto dell'allora presidente Reagan. Il suo fine originario era quello di trovare sistemi per accrescere la produttività nell'ambito del governo. Gli esperti incaricati di compiere le ricerche e la progettazione iniziali giunsero alla stessa conclusione a cui erano arrivate aziende come la Corning e la Motorola: se volete incrementare la produttività, concentrate e mantenete un'attenzione positiva sulla qualità. La produttività ne deriverà di conseguenza. “Le persone sono la parte più

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importante dell'equazione," afferma G. Curt Jones, il direttore dell'isfituto.

Come parte integrante dei piani di Washington per il miglioramento della qualità, l'istituto iniziò un programma per la premiazione dei dipendenti meritevoli col President's Award, il premio del presidente. Si tratta di una versione applicata al settore pubblico del Baldrige Award, e suscita credetelo o no - una competizione altrettanto forte. Il premio un anno andò al centro servizi dell'ufficio delle imposte di Ogden, nell'Utah, i cui impiegati escogitarono un sistema per un più rapido disbrigo delle pratiche tributarie, nonostante alcuni gravi tagli nel bilancio.

Premi come questo rappresentano soltanto uno dei sistemi. L'American Airlines ha trovato un metodo decisamente mirato per premiare i suoi dipendenti. Vengono chiamati in causa direttamente i clienti della compagnia. Dato che gli assistenti di volo compiono la maggior parte del loro lavoro in cielo, letteralmente a migliaia di chilometri dai loro superiori, è difficile per l'aviolinea sapere con esattezza chi fa un lavoro eccellente e chi no. In base a un contratto sindacale, essa non può pagare a suo piacimento certi assistenti di volo più di altri.

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Ma il suo presidente, Robert L. Crandall, ha trovato un modo originale per aggirare questo problema. Ai passeggeri abituali di questi voli è offerto di aderire a un club, suddiviso in due categorie, "oro" e "platino”. Con l'iscrizione ricevono speciali scontrini che possono essere consegnati a degli assistenti di volo come premio per un servizio esemplare. Questi possono convertire i buoni in viaggi gratuiti o in altri vantaggi. E’ un metodo creativo che funziona per il cliente, a cui va il piacere di esprimere ringraziamenti in modo concreto, e funziona anche per il personale della compagnia.

Quest'idea di servirsi di premi e di riconoscimenti come parte integrante della conduzione degli affari non è nuova. E’ vecchia come la lettera personale di ringraziamento.

John Robinson, del gruppo finanziario Fleet, l'imparò da un vecchio amico parecchi decenni fa. “Jim Bender è stato un venditore di grande successo all'inizio della sua carriera, e mi ha raccontato come faceva a quei tempi. Andava per strada e passava di porta in porta per l'intera giornata. Poi, la sera, tornava nella sua stanza di motel, tirava fuori una bottiglia di bourbon e si metteva davanti a una pila di fogli. Scriveva sempre un messaggio personale.

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“In tutta la vita, ha scritto, a mano, un'infinità di lettere personali. E in quest'epoca di marketing altamente sofisticato, di vendite per corrispondenza e cose del genere, niente ha l'impatto di una letterina scritta a mano che dice: 'Lei ha fatto un lavoro magnifico risolvendo quella situazione,' oppure: 'Sono rimasto ammirato per il modo brillante in cui è riuscito a cavarsela."'

Le persone gradiscono questi piccoli riconoscinienti? Joyce Harvey, della Harmon Associates Corporation, ne è certa. "Noi abbiamo dei cartelli stampati con sopra scritto: ‘Grazie. Noi apprezziamo quello che lei ha fatto quest'oggi.' Quando giro per l'ufficio vedo che sono affissi al di sopra delle scrivanie degli impiegati. Prima, chi aiutava un collega non otteneva nessun tipo di riconoscimento. Adesso riceve un semplice 'Grazie', o 'Apprezzo quello che hai fatto', o 'Mi hai reso la vita un po' più facile'. Il sistema funziona a meraviglia."

Premio, riconoscimento, lode. Non importa come lo facdate; l'importante è che lo facciate, di nuovo, di nuovo e di nuovo ancora. Il dimostrare gratitudine per dei dipendenti si basa su questo. Certo, il denaro è magnifico. Ma non è l'unica ricompensa efficace. Se avete soldi da spendere,

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usateli con intelligenza. Premiate il merito. Incoraggiate i dipendenti a partecipare. Spendete il denaro in modi che le persone possano apprezzare.

E, indipendentemente dalla consistenza del vostro bilancio, seguite il consiglio della scrittrice e conferenziera Florence Littauer. Un giorno le fu rivolta la richiesta inattesa di tenere un sermone ai bambini della sua chiesa. Le venne in mente un versetto della Bibbia, difficile per la capacità di comprensione dei bambini: “Che la tua bocca non comunichi nulla di corrotto ma soltanto ciò che è buono. Buono, edificante ed elargitore di grazia a coloro che ascoltano.”

La Littauer lavorò con i bambini, decifrando quelle frasi difficili, e alla fine arrivò a un'interpretazione in grado di catturare il significato del versetto: “Le parole dovrebbero essere proprio come un dono,” spiegò, e i bambini parvero d'accordo. “Un piccolo regalo. Qualcosa che diamo agli altri. Qualcosa che loro vogliono. Qualcosa verso cui si rivolgono. Loro afferrano le nostre parole e le accolgono in loro, le amano. Perché le nostre parole li fanno sentire tanto bene."

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La Littauer continuò ancora un po' sul tema, paragonando le parole a regali. Poi riassunse il suo messaggio. "Ora,” concluse, "cominciamo dall'inizio. Le mie parole non devono essere cattive. Devono essere buone. Devono essere usate per costruire, non per distruggere. Devono essere parole che si offrono come un omaggio."

Quando ebbe finito, una bambina si alzò, uscì dal suo banco, si volse a tutti i presenti e disse, con voce forte e chiara: "Quello che intende dire," e s'interruppe per prendere fiato, "quello che intende dire è che le nostre parole dovrebbero essere come una scatolina d'argento con un fiocco in cima."

La lode non fa soltanto la felicità dei bambini. Ha un grande valore anche nel mondo degli affari.

LE PERSONE LAVORANO PER IL DENARO,

MA FANNO QUEL CHILOMETRO IN PIU PER RICONOSCIMENTO, LODE E PREMI.

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10 ERRORI, LAMENTELE, CRITICHE: CHE FARE? Poco dopo la fine della prima guerra mondiale, a

Londra, una sera imparai una lezione di valore inestimabile. Partecipavo a un banchetto dato in onore di Sir Ross Smith. Durante la cena, il commensale seduto al mio fianco raccontò un divertente episodio imperniato su questa citazione. “C'è una divinità che dà forma ai nostri piani, comunque li abbozziamo.”

Disse che era una citazione della Bibbia. Si sbagliava. Lo sapevo. Lo sapevo per certo. Non poteva esserci il minimo dubbio su ciò. E così, per sentirmi importante e dar mostra della mia superiorità, mi autonominai membro unico di un comitato non richiesto e non gradito col compito di correggerlo. Lui tenne duro.

“Cosa?” m'investì. “Da Shakespeare? Impossibile! Assurdo!” La citazione era della Bibbia, e ne era più che sicuro.

Lui sedeva alla mia destra e Frank Gammond, un mio veccbio amico, alla mia sinistra. Frank aveva dedicato anni

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allo studio di Shakespeare. Così il mio interlocutore e io decidemmo insieme di sottoporgli la questione. Frank ascoltò, mi fece il piedino sotto il tavolo e poi tagliò corto: "Dale, ti sei sbagliato. Il signore ha ragione. La frase è tratta dalla Bibbia.”

Non vidi l'ora di trovarmi da solo con Frank. Quando, più tardi, tornammo a casa, gli dissi: “Frank, tu sapevi che la citazione era da Shakespeare.”

“Sì, naturalmente,” confermò, “Amleto, atto quinto, scena seconda. Ma, Dale, noi eravamo ospiti a un banchetto di gala. Perché dimostrare a un uomo che ha torto? Credi che cambierebbe idea? Perché non dargli modo di salvare la faccia? Lui non aveva chiesto la tua opinione. Non la voleva. Perché contraddirlo?”

DALE CARNEGIE Barend Hendrik Strydom era un malvagio assassino che

uccideva a sangue freddo. Sudafficano bianco, vedeva rosso per i progressi che i neri finalmente realizzavano in quel paese lacerato dalla segregazione razziale. Un giorno, nel 1988, decise di agire. Prese una mitragliatrice e sparò

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all'impazzata su una folla di dimostranti neri, colpendone nove, fra uomini e donne, e uccidendone otto.

Fu processato e condannato alla fucilazione. Ma neanche allora diede l'impressione di pensare di aver compiuto un azione riprovevole. "Per provare rimorso,” sentenziò, “bisogna aver fatto qualcosa di sbagliato. Io non ho fatto niente di sbagliato.”

Neppure quando un cavillo legale lo salvò dal plotone di esecuzione e la sentenza fu commutata nel carcere a vita, sembrò comprendere il motivo della pubblica esecrazione suscitata dal suo crimine. "Tornerei a uccidere,” disse. “Non ho fatto niente di sbagliato."

Se un assassino così brutale non si sente colpevole della sua orrenda strage, che dire delle persone con cui la maggior parte di noi entra in contatto ogni giorno? Pensate che ammettano errori o accettino critiche volentieri.?

Ci sono due considerazioni fondamentali a proposito degli sbagli. Primo, tutti noi ne facciamo. Secondo, non ci par vero di farli notare agli altri quando sono loro a compierli, ma, caspita, quanto ci brucia quando qualcuno ci fa notare un nostro sbaglio! Il drammaturgo inglese Noel Coward era sensibilissimo alle critiche come chiunque, ma

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perlomeno aveva il senso dell'umorismo. "Adoro la critica fintanto che è lode incondizionata,” dichiarò.

Nessuno, assolutamente nessuno, ama essere dalla parte di chi riceve un rimprovero, una critica o un’osservazione sgradevole. A tutti noi si accappona la pelle quando ci viene puntato un dito contro per richiamarci alle nostre responsabilità. E’ abbastanza. facile capire perché. Niente ferisce Fego più del sentirsi dire che abbiamo preso una decisione sbagliata o fatto fallire un progetto affidato a noi o che le nostre prestazioni sono state deludenti. E’ ancora peggio quando le critiche si rivelano giustificate.

Ma si commettono errori. Sorgono controversie. Lamentele, sia legittime sia esagerate, vengono espresse giorno dopo giorno. I clienti sono insoddisfatti. Tocca a tutti prima o poi fare da capro espiatorio.

Dunque, come venire a patti con la constatazione che sebbene nessuno sia perfetto la critica è sempre dura da digerire? Con un po' di pratica e l'ausilio di alcune tecniche collaudate nel tempo riguardanti le relazioni umane. Non neghiamo l'evidenza. Non è sempre facile mantenere in aria contemporaneamente entrambe le palline. Ma non è neppure impossibile. Dopo un po' questo particolare gioco di

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destrezza può essere padroneggiato praticamente da chiunque.

Il primo passo consiste nel creare un ambiente dove le persone siano disponibili a ricevere consigli o critiche costruttive. Non stancatevi di diffondere il messaggio che gli errori sono una parte naturale della vita.

Un modo sicuro per farlo arrivare a destinazione è quello di ammettere i nostri stessi errori. "Dare l'esempio è molto importante. Non potete aspettarvi dagli altri quello che non siete disposti a esigere da voi stessi." E’ questo il consiglio di Fred Sievert. Poco dopo il suo ingresso nella sua azienda, la New York Life Insurance, ebbe l'occasione di far tacere il suo amor proprio per dar voce a questo genere di franchezza.

Così racconta: “Qui feci una cosa che generò della confusione. Io ero in Francia per frequentare una scuola di gestione aziendale, e avevamo dei dati importanti che dovevano essere sottoposti al comitato esecutivo dell'azienda. Era il nostro piano quinquennale, e ci fu un equivoco perché era la prima volta che facevo una cosa del genere. Poco prima della mia partenza, presentammo le cifre. Ero in Francia da due settimane. Naturalmente, mi

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mantenevo in contatto a voce e via fax. Ma non avevo capito i tempi del procedimento, e questo creò un grosso pasticcio. Pensavo che l'iniziale serie di dati da noi sottoposti fosse intesa come la prima parte del piano e che quindi ne sarebbe seguita un'altra. Così avremmo avuto tutto il tempo per analizzare la prima e discutere a livello manageriale delle azioni da intraprendere per migliorare i dati. Il risultato fu che i dati che furono sottoposti al comitato esecutivo e al presidente vennero visti come la nostra versione definitiva del progetto. Io questo non lo sapevo.

"Si determinò un tremendo problema perché i dati non andavano bene. C'erano delle incongruenze. C'erano delle azioni a livello manageriale su cui non avevamo riflettuto, e io ero in Francia alle prese con la posta e i fax, senza capire veramente cos'era successo, ma sapendo che c'era una situazione critica. Mi offrii di tornare, ma il mio principale disse: 'No, abbiamo messo tutto a posto.'

"Al mio ritorno negli Stati Uniti mi resi conto di quello che era successo. Dopo aver parlato con varie persone - che so che erano molto irritate - dichiarai durante una riunione: 'E’ colpa mia. E’ una questione di comunicazione. Non si è trattato di un'errata interpretazione dei dati. Si è trattato di

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una faccenda di comunicazione, e la colpa è stata interamente mia.'

“Tutti presero ad accusarsi a vicenda. Quelli del mio staff dicevano agli altri: 'Perché non ci avete detto che non ci avreste richiesto un'altra serie di dati?' E gli altri: 'Avreste dovuto capire che non l'avremmo fatto.' Allora io intervenni e ribadii: 'E’ interamente colpa mia. Me ne assumo la piena responsabilità. E’ un problema di comunicazione. Non succederà più.' Questa dichiarazione mise fine a tutte quelle accuse reciproche. Parecchi dei presenti dissero: 'No, no, no, non è stata colpa sua. Lei lo sa, è stata una combinazione di errori di più persone.'"

Ammettere prontamente le proprie responsabilità: è uno dei modi migliori per calmare le acque quando vengono mosse delle accuse. Siate i primi ad ammettere gli errori. Chiunque altro si affretterà a rassicurarvi: "No, non è così grave; no, poco importa; no, probabilmente è loro la colpa; ma sì, tutto è bene ciò che finisce bene.”

Adottate la linea di condotta opposta - gettate su altri la colpa di qualcosa - e subito gli altri cominceranno a contraddirvi, e difenderanno la giustezza delle loro azioni. Strano, vero, come funziona la psicologia umana?

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Questo è vero per tutte le relazioni: in un'azienda, una famiglia o un gruppo di amici. Ed è vero anche per i rapporti con clienti o venditori.

Quando un cliente non è soddisfatto di un prodotto o del servizio che gli viene fornito, spesso una pronta e decisa ammissione di errore può fare meraviglie. John Imlay lo scoprì quando offese inavvertitamente un cliente importante. "Nel 1987," ricorda Imlay, presidente della Dun & Bradstreet Software Services, "dovevo tenere un discorso sulla costa occidentale degli Stati Uniti a un folto gruppo di dirigenti dei media, saranno stati un migliaio. Il posto era il Laguna Beach Hotel. Aprii il discorso parlando di quello che era in e di quello che era out. 'Noriega è out, la democrazia è in.' Cose del genere. E conclusi così: 'Le tartarughe Mutanti Ninja sono in; Ken e Barbie sono out.' Tutti risero fuorché un tale, uno dei miei colleghi principali. Era il presidente della Mattel.

“Prima di tornare in ufficio, ricevetti una lettera che diceva: 'Il suo discorso mi è piaciuto, ma lei ha fatto un'osservazione che vorrei che ritrattasse per sempre.' La lettera continuava in tono offeso e si chiudeva con l'asserzione che le vendite di Barbie ammontavano a più

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delle entrate di tutte le mie ditte messe assieme. Allora gli inviai una lettera di scuse, e ne scrissi una anche a Barbie. L'uomo non trovò divertente neanche questo.”

A questo punto Imlay si rassegnò? Assolutamente no. “Per anni mi portai dietro la sua lettera, e a ogni discorso la tiravo fuori e ricordavo al pubblico che bisogna essere sensibili ai problemi del cliente. Il pubblico dei clienti trovava delizioso quell'esempio. Mostravo la lettera e spiegavo perché mi era stata inviata.

"Un giorno parlai al Waldorf-Astoria di New York, e fra il pubblico c'era il presidente della Mattel. Io non lo sapevo, ma mentre parlavo mi fu passato un bigliettino dove mi si avvertiva della sua presenza. Lo invitai ad alzarsi, e venne a stringermi la mano. Più tardi mi scrisse due righe per dirmi che tutto era perdonato, e da allora è stato un cliente fedele e soddisfatto."

La lezione qui è questa: ammettete i vostri errori prima che qualcun altro abbia la possibilità di farveli notare. Sorridetene, se potete. Non cercate mai di minimizzare l'impatto che hanno avuto. "Un leader dev'essere e deve dichiararsi responsabile dei suoi errori," fa osservare Fred Sievert. “La cosa peggiore che si possa fare è puntare il dito

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contro qualcun altro. Bisogna assumersi le proprie responsabilità.” Ovvero, per dirla con le parole di Andrés Navarro, "se un'organizzazione è capace di ammettere i suoi errori, incoraggia la creatività e incoraggia i suoi membri ad assumersi dei rischi.”

Ed ecco il secondo precetto per affrontare errori e problemi: Pensateci sopra due volte prima di criticare o d'incolpare qualcuno. Se chi è incorso nello sbaglio sa già cos'è successo, perché è successo e che cosa deve fare per non cascarci più, non c'è assolutamente niente che vada detto. Non serve a niente far sentire gli altri peggio di quanto già si sentano.

I dipendenti motivati vogliono avere prestazioni eccellenti. G. Curt Jones, direttore del Federal Quality Institute, ne è certo: "Le persone non vanno al lavoro per combinare guai. Vogliono sentirsi necessarie. Vogliono impegnarsi." I funzionari che comprendono questo comprendono quanto siano distruttive la maggior parte delle critiche.

Bisogna sfuggire alla tentazione di trovare a ogni costo dei colpevoli, come insegna Ray Stata: “La domanda che sorge istintiva quando qualcosa va storto è: 'Di chi è la

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colpa?' E’ così che è strutturata la mente umana. S i vuol trovare qualcuno da incolpare, qualcuno dei cui errori poter parlare.”

Stata sta cercando di eliminare dalla sua azienda, l'Analog Devices, ogni inutile tentazione di questo tipo. "In ditta ho dichiarato guerra ai predicozzi. Tutti noi abbiamo la tendenza a farli. Lamentarsi, biasimare, sa, quando le cose non vanno per il verso giusto. Un piccolo trucco, secondo me, è quello di dare l'esempio convertendo le lagnanze in richieste e suggerimenti.”

Uno deve chiedersi: cosa sto cercando di realizzare qui? "Alla fine della giornata," conclude Stata, "quello che sei tenuto a fare è svolgere un'attività efficace che migliori la qualità del lavoro. E non è certo quella di parlare di chi ha fatto qualcosa di sbagliato o di chi ha la colpa di qualcosa.” Il vero obiettivo è quello di migliorare la situazione.

Jack Gallagher venne a trovarsi di fronte a una grave difficoltà. Dirige il North Shore University Hospital, che ha settecentocinquantacinque letti, ed è un istituto associato alla facoltà di medicina della Cornell University. Col passare degli anni l'ospedale si era ampliato, ma aveva la stessa

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cucina che era stata approntata quando i letti erano ancora centosettantanove.

Quando finalmente venne il momento di costruire una nuova cucina, Gallagher chiese a un suo funzionario di dirigere i lavori. Gli raccomandò di assumere due esperti: uno per l'area di parcheggio e uno per le diete.

“Non ho avuto modo di seguire il progetto giorno per giorno,” ricorda Gallagher, "e, per qualche motivo, lui non si è servito né del consulente per il parcheggio né del dietologo. Così ci siamo trovati intrappolati fra l'apertura della nuova cucina e la chiusura di quella vecchia."

Quando Gallagher fece questa brutta scoperta, i lavori erano già in corso ed erano già stati spesi milioni di dollari. Era decisamente troppo tardi per cambiare il progetto. La nuova cucina era troppo piccola, la qualità del vitto era sempre più scadente, e questo nuoceva alla reputazione del nosocomio. Gallagher avrebbe potuto licenziare il funzionario. Avrebbe potuto sottoporlo a una reprimenda in pubblico. Ma con quali benefici concreti? Una lavata di capo di fronte a tutti avrebbe migliorato le costolette d'agnello o i polli arrosto? Avrebbe tenuto al caldo i fagiolini lessati?

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“Inutile dare addosso a qualcuno, rimproverargli continuamente la sua colpa," commenta Gallagher. "Quello che dovevamo fare era aggiustare quanto finora fatto. Migliorarlo. Dovevamo fare un passo indietro e chiederci: 'Come possiamo migliorare la situazione?' Incolpare qualcuno non ci avrebbe minimamente avvicinati alla soluzione.”

Quasi sempre, distribuire critiche o rimproveri induce gli altri ad abbassare la testa e a nascondersi. E’ molto difficile che chi è oggetto di dure critiche si assuma dei rischi, sia creativo o si esponga prendendo un'iniziativa personale. Di colpo, l'organizzazione ha perso una parte importante del potenziale di questo dipendente.

Questo concetto si è fatto strada nell'intero processo di revisione della politica relativa al personale nell'impresa di Mary Kay Ash. L'obiettivo è il miglioramento, non l'esternazione di giudizi. "Noi non parliamo di valutazione delle prestazioni, ma di sviluppo delle prestazioni," puntualizza il presidente dell'azienda, Richard Bartlett. Perché questo? “Io non voglio starmene là a sedere e a dare giudizi. Voglio sapere in che modo posso aiutarvi a essere migliori. La cosa fantastica è che siamo seduti a discutere

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della vostra carriera alla Mary Kay. Com'è che dovete migliorare per poter raggiungere gli obiettivi della vostra Carriera? Considerando i vostri progressi dal vostro punto di vista.” E’ questo il tipo di atteggiamento aziendale che invita e incoraggia i dipendenti all’innovazione.

“Gli elementi che accettano meglio le critiche sono quelli che sono sinceramente interessati a migliorare”, dice David Luther. “A volte i più facili da correggere sono quelli che si sforzano di primeggiare. Sono quelli che cercano di ottenere il cinque per cento in più di quanto è loro richiesto e accolgono di buon grado le critiche costruttive. Uno dei punti a favore dei giapponesi è la loro filosofia del far tesoro degli errori. Per loro scoprire un errore significa dissotterrare un tesoro perché è una chiave per ulteriori miglioramenti.”

Siamo tutti d'accordo: quasi nessuno ama essere bersaglio di critiche, e sono decisamente in troppi quelli che adorano somministrarle. E’ raro che il fatto di biasimare qualcuno migliori da solo la situazione.

Esistono eccezioni, naturalmente. A volte è necessario che qualcuno sia criticato in modo costruttivo. Se l'urgenza è abbastanza pressante, se il pericolo è abbastanza grave, se l'errore è compiuto abbastanza di frequente, allora bisogna

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dire qualcosa. Se, dopo una ponderata riflessione, decidete che dovete discutere una situazione, criticate in tono rispettoso.

Questo è il passo numero tre. Muovetevi con delicatezza e lasciate a casa il bastone. Trattenetevi, osservate alcune tecniche basilari, e sarete certi che le vostre parole troveranno orecchie ben disposte.

Create un ambiente ricettivo per quello che avete da dire. Gli altri, anche se non sempre amano sentire osservazioni negative sul loro conto, saranno più ricettivi se vi soffermerete sulle cose che fanno bene oltre che su quelle che non fanno a dovere.

"Il processo di critica dovrebbe iniziare con la lode e l'onesto apprezzamento," è l'insegnamento di Dale Carnegie. Mary Poppins certo pensava più o meno questo quando cantava: “Un cucchiaino di zucchero aiuta la pillola ad andar giù.”

Andrés Navarro ha trovato un sistema per istituzionalizzare un approccio più gentile e garbato alla critica. Nella sua azienda vige oggi una regola, quella del "tre-per-uno”. "Noi cerchiamo di criticare il meno possibile. Abbiamo una norma. Se entri in questa ditta e trovi qualcuno

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che non ti piace e che secondo te non fa il suo lavoro come dovrebbe, non dire niente. Scrivilo su un foglio di carta. Una volta che scopri tre buone cose sul collega di cui stai parlando o di una politica o normativa o consuetudine dell'azienda allora hai il diritto di esprimere una critica.” Questa è una tecnica formidabile.

Un altro, sistema consiste nel ricorso all'incoraggiamento. Fate in modo che gli errori appaiano facilmente correggibili. E’ lo stesso principio adottato da Fred Sievert per la sua agenzia di assicurazioni. La chiama “tecnica del sandwich" e serve per dar voce alle critiche. “Io comincio parlando di ciò che di positivo è stato realizzato dal dipendente," spiega. "Poi, a metà del colloquio, parliamo delle questioni dello sviluppo e del miglioramento. E concludiamo con una discussione sul valore del suo contributo per l'azienda. Il sistema funziona sempre. Una volta avevo un principale che l'usava con me, e io uscivo dalla stanza grattandomi la testa e dicendo a me stesso: 'Gesù, quello mi sgrida e io mi sento benone.'"

Altrettanto importante è sapere che cosa evitare. Mai venire a diverbio con qualcuno, mai umiliarlo, mai alzare la voce con lui. Se bisticciate con qualcuno, avete già perso.

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Avete perso il controllo di voi stessi, avete perso la vostra giusta prospettiva e, cosa più importante, avete perso di vista il vostro scopo: quello di comunicare, di persuadere, di motivare.

Come predicò Dale Carnegie, "c'è un solo modo su questa terra per avere la meglio in un diverbio ed è quello di evitarlo. Evitatelo come evitereste serpenti a sonagli e terremoti. Nove volte su dieci, una disputa termina con ciascuno dei contendenti ancora più fermamente convinto di prima di avere assolutamente ragione.”

Che l'altro salvi la faccia a ogni costo. Questo può significare doversi tirare indietro in una discussione, richiamare l'attenzione sui suoi errori in modo indiretto o porre interrogativi invece d'impartire ordini. O può significare tenere in serbo qualche critica per un altro giorno. Comunque si scelga di farlo, lo scopo è lo stesso: essere gentile, adottare un gioco morbido, non attaccare. Anche se qualcuno non è d'accordo col vostro punto di vista, con sufficiente tatto potete ancora indurlo a riconoscere qualche merito alla vostra posizione. Ma se adottate una linea troppo energica e dura, se usate parole come ragione e

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torto, intelligente e stupido, non riuscirete mai a convincere nessuno di qualcosa.

“Noi riceviamo lamentele," ammette Woligang Schmitt. "In circa la metà dei casi, provengono da consumatori che acquistano un prodotto convinti che sia nostro, mentre è di un nostro concorrente. Così ci scrivono. La nostra politica è semplicemente di scrivere una lettera personale per avvertire: 'Possiamo comprendere come lei abbia potuto fare l'errore perché abbiamo questi concorrenti che imitano i nostri prodotti. Lei ha sbagliato in tutta onestà, ma desideriamo che si renda conto direttamente della differenza di qualità. Quindi provi gratuitamente uno dei nostri modelli.'

“E gli mandiamo, in sostituzione di quale che sia l'oggetto della loro lamentela, il nostro prodotto corrispondente. E pensiamo che sia un modo ottimo e quanto mai credibile per comunicare il messaggio della qualità Rubbermaid."

La gentile opera di persuasione funziona sempre meglio degli urlacci e delle dita puntate. Quando avete bisogno di rammentarvelo, ripensate all'antica favola di Esopo della gara fra il vento e il sole. Il vento e il sole ebbero un giorno

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una discussione su chi dei due fosse il più forte. Il vento propose una gara e, vedendo un vecchio avvicinarsi lungo la strada, pose così i termini della scommessa: il primo che fosse riuscito a indurlo a togliersi la giacca avrebbe vinto. Il sole accettò e il vento partì per primo. Soffiò sempre più forte finché le sue raffiche raggiunsero la forza di un ciclone. Ma più il vento soffiava, più l'uomo teneva stretta a sé la giacca.

Quando il vento cedette, toccò al sole. Il sole si profuse sull'uomo gentilmente, e diventò sempre più caldo finché questi, detergendosi il sudore dalla fronte, si tolse la giacca. Il sole rivelò al vento il suo segreto: la delicatezza e la cordialità sono più forti della forza e della furia. La stessa regola vale per clienti, dipendenti, collaboratori e amici.

Dale Carnegie ebbe fra i frequentatori dei suoi corsi Frederick Parsons, un consulente fiscale. Parsons aveva un contenzioso aperto con un ispettore del fisco. Si trattava di come classificare un debito di, novemila dollari. Il fiscalista sosteneva fermamente che il denaro era un debito che non era stato pagato e che quindi non costituiva reddito imponibile. L'ispettore era altrettanto irremovibile nel ritenerlo tassabile.

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Parsons non riusciva a cavare un ragno dal buco. Allora volle tentare un approccio diverso. "Decisi di evitare la discussione, cambiare argomento ed esprimergli la mia stima. Dissi: 'Suppongo che questa sia una faccenda di ben poco conto rispetto alle decisioni realmente importanti e difficili che le viene chiesto di prendere. Sono anch'io un esperto di tasse, ma quello che so ho dovuto impararlo dai libri. Lei il suo sapere lo ricava continuamente dall'esperienza, stando in prima linea. Certe volte vorrei avere un lavoro come il suo. M'insegnerebbe un mucchio di cose.' Ogni parola mi era uscita sincera.”

Il risultato? "L'ispettore si raddrizzò sulla sedia, si appoggiò allo schienale e parlò a lungo del suo lavoro, raccontandomi delle astute frodi che aveva scoperto. Gradualmente il suo tono si fece cordiale, e di lì a poco mi parlò dei suoi figli. Prima di andare mi avvertì che avrebbe preso ancora in considerazione il mio problema ed entro pochi giorni mi avrebbe comunicato la sua decisione. Tre giorni dopo mi telefonò per informarmi di aver deciso di accettare quella dichiarazione dei redditi così come era stata compilata."

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Che cosa aveva indotto l'agente delle tasse a cambiar parere? “L'ispettore diede prova di una delle più comuni debolezze umane," scrisse Carnegie. "Aveva bisogno di sentirsi importante. Finché il signor Parsons discusse con lui, ebbe questa sensazione imponendosi d'autorità. Ma non appena la sua importanza venne riconosciuta, diventò un essere umano benevolo e generoso."

SIATE RAPIDI NEL RICONOSCERE

GLI ERRORI E LENTI NEL CRITICARE. SOPRATTUTTO, SIATE COSTRUTTIVI.

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11 STABILIRE OBIETTIVI

All'età di ventitrè anni ero uno dei giovani più infelici

di New York. Per sbarcare il lunario vendevo camion. Non avevo idea di come funzionasse un camion. Non solo: non volevo saperlo. Disprezzavo il mio lavoro. Disprezzavo il fatto di dover abitare in una sordida camera ammobiliata della Cinquantaseiesima Strada infestata dagli scarafaggi. Ricordo ancora cbe avevo un fascio di cravatte che pendeva da una parete, e quando ogni mattina allungavo una mano per prendere una cravatta gli scarafaggi scappavano in tutte le direzioni. Disprezzavo di dover mangiare in sudici ristorantini economici anch'essi probabilmente infestati dagli scarafaggi.

Ogni sera tornavo nella mia stanza solitaria afflitto da un tremendo mal di testa: un mal di testa generato e alimentato da delusione, preoccupazioni, amarezza e ribellione. Mi ribellavo perché i sogni che avevo accarezzato ai tempi dell'università si erano trasformati in incubi. Era quella la vita? Era quella l'appassionante

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avventura che mi ero prefigurato con tanta impazienza? Tutta la vita non avrebbe significato altro per me che un lavoro che disprezzavo, senza nessuna speranza per il futuro? Bramavo del tempo libero per poter leggere. Bruciavo dal desiderio di scrivere i libri cbe avevo sognato di scrivere da studente.

Sapevo cbe avevo tutto da guadagnare e niente da perdere lasciando il lavoro cbe disprezzavo. Non minteressava arricchirmi in termini di soldi: m'interessava arricchirmi in termini d'intensità di vita. In breve, ero arrivato al Rubicone, al momento di prendere una decisione, come accade alla maggior parte dei giovani quando cominciano ad affrontare la vita. Così, presi la mia decisione ed essa trasformò completamente il mio futuro. Essa ha reso la mia vita felice e gratificante oltre le mie più utopistiche aspirazioni.

La mia decisione era questa: avrei piantato il lavoro che detestavo e, dato che avevo frequentato per quattro anni l'istituto magistrale statale di Warrensburg, nel Missouri, mi sarei guadagnato da vivere tenendo corsi serali a classi di adulti. Così avrei avuto le mie giornate libere per legg ere

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libri, preparare conferenze, scrivere romanzi e racconti. Volevo “vivere per scrivere e scrivere per vivere”.

DALE CARNEGIE Dale Carnegie non scrisse mai il grande romanzo

americano, ma il suo straordinario successo come insegnante, uomo d'affari e scrittore di libri sulle relazioni umane, ha fatto di lui una fonte d'ispirazione per persone di tutto il mondo. Ottenne tutto questo fissandosi degli obiettivi, modificandoli a seconda delle circostanze e cercando di non perdere di vista la direzione successiva da prendere.

Mary Lou Retton era una semplice studentessa delle medie del West Virginia, uno stato da cui non era mai uscito un ginnasta di levatura mondiale.

"Non ero nessuno, ricorda, "ma ero la numero uno dello stato." Era una minuta quattordicenne che si presentava a una competizione a Reno, nel Nevada. Quel giorno il grande Bela Karolyi, l'allenatore di ginnastica rumeno che aveva guidato Nadia Comaneci all'oro olimpico, si avvicinò a Mary Lou.

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“Era il re della ginnastica. Mi batté un colpetto sulla spalla. E un colosso, sul metro e novanta. Mi disse, con quel suo spiccato accento rumeno: 'Mary Lou, vieni da me e farò di te una campionessa olimpionica.'”

Il primo pensiero che attraversò la mente della Retton fu: "Figurarsi. Impossibile."

Ma fra tutte le ginnaste che si erano esibite in quel campo sportivo del Nevada, Bela Karolyi aveva notato proprio lei. “Così ci mettemmo a sedere e parlammo. Poi lui parlò con i miei genitori e disse: 'Sentite, niente garantisce che Mary Lou riuscirà mai a entrare nella squadra olimpionica, ma io credo che abbia la stoffa necessaria."'

Che obiettivo era quello! Fin dalla più tenera infanzia avevo sognato di poter un giorno partecipare alle Olimpiadi. Ma furono le parole di quel mostro sacro a concretizzare l'obiettivo.

“Era un grossissimo rischio per me. Stavo per allontanarmi dai miei genitori e dalle mie amicizie, andare ad abitare con una famiglia che non avevo mai conosciuto, allenarmi con ragazze che non conoscevo. Com'ero emozionata! E impaurita. Non sapevo che cosa aspettarmi. Ma ero anche elettrizzata. Quell'uomo voleva allenarmi. Io,

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quella piccina di Fairmont, nel West Virginia. Ero stata scelta."

E non aveva intenzione di deludere Karolyi. E così fu: due anni e mezzo dopo Mary Lou Retton, grazie a una serie di volteggi perfetti, vinse la medaglia d'oro olimpica per gli Stati Uniti e con essa un posto nel cuore di molti sportivi di tutto il mondo.

Gli obiettivi ci danno qualcosa a cui tendere con tutte le nostre energie. Mantengono polarizzati i nostri sforzi. Ci permettono di misurare il nostro successo.

Dunque, fissatevi degli obiettivi: scopi che rappresentino una sfida ma siano anche realistici, finalità che siano chiare e misurabili, obiettivi per il breve termine e obiettivi per il lungo termine.

Quando raggiungete un obiettivo, concedetevi un momento per darvi una pacca di congratulazioni sulla spalla. Poi passate all'obiettivo successivo, incoraggiati, rafforzati, stimolati da quanto avete già conseguito.

Eugene Lang, un filantropo di New York, un giorno tenne un discorso per la consegna dei diplomi agli alunni di una scuola elementare. Questa classe aveva un gruppo di bambini che non avevano la minima speranza di poter un

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giorno accedere all'università. Anzi, ben poco lasciava sperare che la maggior parte di quegli scolari potesse arrivare fino al diploma di scuola media. Ma alla fine del suo discorso Lang fece una stupefacente offerta: “A ciascuno di voi che otterrà il diploma di scuola media metto a disposizione una borsa di studio per l'università."

Dei quarantotto allievi di quella classe, quarantaquattro conseguirono il diploma di scuola media e quarantadue andarono all'università. Per considerare l'episodio nelle sue giuste proporzioni, ricordate che il quaranta per cento del corpo studentesco del centro di New York non ottiene mai il diploma di scuola media, per non parlare della prosecuzione degli studi fino all'università.

Quell'offerta di denaro non fu sufficiente da sola a garantire un tale successo. Lang si assicurò anche che gli studenti ricevessero durante l’iter scolastico il sostegno di cui avevano bisogno. Essi furono seguiti e consigliati durante i loro ultimi anni di scuola. Ma quel singolo obiettivo-sflda, chiaramente espresso e alla portata di tutti gli studenti; fornì loro l'opportuni tà di visualizzare un futuro che non avevano mai ritenuto possibile. E, visualizzandolo, furono in grado di tradurre i loro sogni in realtà.

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Come si espresse Harvey Mackay, autore di libri di ampia diffusione su come giungere al successo, "un obiettivo è un sogno con una scadenza precisa."

Howard Marguleas, presidente della Sun World, è uno dei coltivatori della California più all'avanguardia. E’ arrivato a questo risultato fissandosi e raggiungendo un obiettivo dopo l'altro. Per anni ha osservato gli alti e bassi del settore dell'agricoltura - vacche grasse, vacche magre - impossibili da prevedere come da controllare. Perlomeno era così che a detta di tutti andava il mercato ortofrutticolo.

Ma Marguleas si era prefisso un obiettivo: quello di sviluppare un nuovo tipo di prodotti che potessero reggere agli sbalzi della richiesta. "Questa branca del commercio in realtà non è diversa dalla compravendita degli immobili," ragionò Marguleas. "Quando la richiesta è bassa, a meno che tu non abbia qualcosa di veramente diverso, unico, sei nei guai. Lo stesso succede in agricoltura. Se sei soltanto un produttore fra tanti di lattuga, carote o arance, e non hai niente di diverso da quello che hanno tutti gli altri concorrenti, vai bene soltanto se c'è penuria di scorte. Se le scorte sono cospicue, non vai bene. Ed è a questo che abbiamo cercato di adeguarci per creare una nostra nicchia

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nel mercato, aprendoci le opportunità che vengono dall'essere diversi.”

E’ da qui che nacque l'idea di un pepe migliore. Sì, un pepe migliore. Se avesse potuto sviluppare un pepe più saporito delle qualità di pepe prodotte da altri, Marguleas si convinse che gli ortolani dell’intero, paese avrebbero voluto averlo in magazzino sia nei tempi buoni che in quelli cattivi.

Così fece, creando il pepe Le Rouge Royal. "E’ un pepe allungato, 'trilobato'," illustra Marguleas. "Ci avevano detto: 'Dovete avere un pepe a forma di campana o un pepe quadrato, per poter vendere.' Ma non appena abbiamo esaminato questo pepe - colore, sapore, forma ecc. - abbiamo capito che avevamo qualcosa di valido. Abbiamo capito che, se gli avessimo fatto una promozione adeguata, se l'avessimo pubblicizzato, se l'avessimo lanciato sul mercato con un suo nome, avremmo convinto la gente a mangiarlo. Chi l'avesse assaggiato avrebbe continuato a comprarlo.”

La lezione che ne ricavò Marguleas è questa: “Non smettere mai di ricercare l'occasione di creare qualcosa di diverso. Non sentirti mai soddisfatto di quello che stai facendo. Cerca sempre un sistema per apportare migliorie al

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tuo operato, anche se è considerato contrario alle tradizioni di un'industria."

Chi non riesce a porsi obiettivi indipendenti diventa, nelle parole di Marguleas, un "uomo anch'io" qualsiasi. Gli “uomini (e donne) anch'io”, quelli che seguono ma non guidano, se la cavano bene nei tempi buoni. Ma quando i tempi si fanno difficili, rimangono indietro.

Marguleas era riuscito a mettere le mani su qualcosa di nuovo, di diverso. Le persone che si pongono degli obiettivi - obiettivi che costituiscano una sfida, ma che siano anche raggiungibili - sono le uniche con una solida presa sul futuro, le uniche che finiscono col compiere cose straordinane.

La Reebok International, che fabbrica calzature per sportivi, s'impose come azienda un importante obiettivo: assicurarsi Shaquille O'Neal. Non sarebbe stato facile avere il campionissimo della Orlando Magic. Una quantità di altre prestigiose firme erano in lizza per assumerlo come loro portavoce.

"Si trattava di convincerlo che avevamo da offrirgli l'impegno più appassionante, che eravamo disposti a fare qualcosa per creare per lui un programma che non fosse alla

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portata di nessun altro," racconta Paul Fireman, il presidente della Reebok.

L'intera società si mise al lavoro. “Prima che venisse, abbiamo creato una campagna pubblicitaria. L'abbiamo creata esclusivamente per lui. Abbiamo speso del denaro per crearla. E’ stato un grosso sforzo. Il nostro impegno assoluto era teso al compito di assicurarcelo. Era un rischio, l'abbiamo accettato. Abbiamo messo a disposizione il denaro, il tempo e l'impegno." A volte fissare obiettivi significa semplicemente questo.

“Sarebbe stata una grossa sconfitta, sotto l'aspetto emotivo, se non ce l'avessimo fatta," ammette Fireman. "Se non ci fossimo dati da fare per averlo qua, non avremmo corso questo rischio emotivo, ma non avremmo neppure avuto il campione.”

Gli obiettivi non sono importanti solo per le imprese commerciali. Sono i mattoni con cui si costruiscono le carriere di successo.

Jack Gallagher lavorava nella fabbrica di copertoni di famiglia, dove provvedeva praticamente a ogni mansione: contabilità, fatturazione, fabbricazione e vendita. Tutta

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questa esperienza in questo settore gli insegnò un'unica certezza: lui non voleva lavorare nel ramo degli pneumatici.

Un giorno s'imbatté in un vecchio compagno della scuola media che lavorava come amministratore aggiunto in un ospedale locale. “E’ quello che mi piacerebbe fare,” Gallagher pensò fra sé. “Mi piacerebbe aiutare gli altri. Mi piacerebbe fare qualcosa di grande, e mi piacerebbe essere alla guida di un gruppo per iniziative interessanti." C'erano molti ed enormi ostacoli fra lui e un posto di amministratore di un ospedale: una specializzazione in amministrazione ospedaliera, per prima cosa, e poi un lavoro in un ospedale. Ma Gallagher si era posto il suo obiettivo, e cominciò a eliminare subito dalla sua strada gli ostacoli.

Fu abbastanza convinto da riuscire a iscriversi all'università di Yale. Ottenne uno stipendio dalla Fondazione Kellogg. Ebbe un prestito da una banca locale. Lavorò di notte nell'uffido del North Shore University Hospital. E, dopo aver conseguito la laurea, fece domanda per essere assunto come amministratore interno al North Shore.

"Ebbi un colloquio con Jack Hausman, il presidente del consiglio di amministrazione dell'ospedale," ricorda. “Sarò

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stato con lui per tre minuti, e in tre minuti lo convinsi. Mi fece una strana domanda. Sapeva che ero sposato e avevo tre bambini. 'Pensa di poterselo permettere?' mi chiese. A quel tempo a un amministratore interno davano tremilanovecento dollari."

Gallagher gli rispose: "Senta, signor Hausman. Ci ho riflettuto a lungo prima di venire da lei. Ho dovuto sistemare le cose in modo da potermi mantenere con la mia famiglia durante questo periodo per poi passare a una vera carica amministrativa.”

Aveva un obiettivo. Aveva pianificato ogni singolo particolare. Lavorò instancabilmente per compiere ogni passo necessario. Oggi è direttore generale del North Shore.

Il cantautore Neil Sedaka, la cui carriera nel campo della musica leggera ha abbracciato più di tre decenni, imparò a fissarsi degli scopi quand'era ancora un ragazzino.

Crebbe in una zona turbolenta di Brooklyn, ma non fu mai un ragazzo violento. Il suo primo obiettivo fu subito perfettamente comprensibile: conquistarsi le simpatie dei coetanei e così salvare la pelle durante gli anni duri della scuola media.

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"Non mi andava di battermi,” spiegò Sedaka di recente. "Dunque, dovevo rendermi simpatico. Ho sempre voluto essere simpatico agli altri. Sa com'è, avevo sempre paura di farmi pestare." E il giovanissimo Neil trovò quello che si rivelò un metodo geniale per raggiungere il suo obiettivo personale: la musica.

"Vicino alla scuola media Lincoln c'era una gelateria, con in fondo un Juke-box," ricordò. "Tutti i bulletti, quelli coi giacconi di cuoio, ciondolavano là dentro e ascoltavano Elvis e Fats Domino. Erano gli inizi del rock and roll. Così scrissi una canzone rock e la cantai, diventando una specie di eroe per quei teppistelli coi giacconi di cuoio. Mi permisero perfino l'accesso alla loro parte del locale."

La cosa più importante qui non è se a Sedaka avrebbe dovuto importare o meno di essere accettato da quei rappresentanti della "gioventù bruciata". Cose del genere possono essere tremendamente importanti negli anni della scuola media. Comunque, egli capì istintivamente come raggiungere quei ragazzi diversi da lui e come ottenerne quello che allora era importante per lui. Per Sedaka, quell'obiettivo dei tempi della media si tradusse nella meta della sua vita, e quel primo successo adolescenziale gli

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infuse la fiducia necessaria per la sua successiva scalata al successo come star della musica leggera.

Più o meno lo stesso processo si verificò nella prima parte della vita di Arthur Ashe. Quasi senza aiuto, egli abbatté la barriera razziale nel tennis professionistico, uno sport che prima della sua affermazione era stato quasi esclusivamente riservato ai bianchi. Nei suoi ultimi anni, condusse una battaglia coraggiosa contro il virus dell'AIDS, cercando di sensibilizzare la gente sul problema, agli angoli delle strade dei ghetti e nei salotti di ricche dimore.

La sua fu una vita tutta dedicata a determinati obiettivi, a come stabilirli e a come raggiungerli. Tutto iniziò per lui, da ragazzo, su un campo da tennis. Fu là che imparò a farsi strada, ponendosi un obiettivo alla volta.

"Quando tu abbatti quella barriera, quando ti sei fissato un obiettivo e lo raggiungi, questo, per così dire, porta alla luce qualsiasi latente fiducia in te stesso tu possa avere," dichiarò Ashe in un'intervista per questo libro poco prima della sua morte.

Fu così che egli agì fino all'ultimo giorno della sua vita. Si pose un obiettivo, e quando raggiunse quest'obiettivo se ne pose un altro. Perché? "La fiducia in se stessi, ne sono

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certo, di per sé trasforma l'individuo. E si diffonde anche in altri settori della vita. Non solo ti senti sicuro di te stesso in qualunque campo in cui tu abbia esperienza, ma probabilmente ti senti in generale capace di poter fare anche altre cose, magari applicando gli stessi principi a un altro compito o a un altro complesso di obiettivi.”

Questi scopi devono essere realistici e devono essere realizzabili. Non fate l'errore di pensare di dover o poter compiere una qualsiasi impresa nell'immediato. Può darsi che non possiate arrivare sulla luna in questo stesso anno, e allora pianificate un viaggio più breve. Ponetevi un obiettivo provvisorio.

Seguendo questo approccio graduale, Ashe s'inserì nel circuito del tennis professionisfico di livello mondiale. "I miei primi allenatori mi hanno fissato obiettivi precisi per cui ho profuso tutto il mio impegno. Non consistevano necessariamente nel vincere tornei di tennis. Erano semplicemente cose che si presentavano come difficili, che richiedevano un lavoro duro e una certa pianificazione. E, se raggiungevo quegli obiettivi, c'era un premio implicito di qualche tipo. Anche qui, l'obiettivo non consisteva necessariamente nel vincere questo o quel torneo. E così, a

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forza di progressi successivi, prima che me ne rendessi conto, dopo aver raggiunto uno dopo l'altro quei mini-obiettivi, tutt'a un tratto ho potuto dire: 'Ehi, ormai ho il grande premio a portata di mano.'"

Era con questo spirito che Ashe si apprestava sempre ad affrontare dure partite di tennis. “In un torneo, ti prefiggi di arrivare ai quarti di finale. E in una partita cerchi di non sbagliare un certo numero di passanti di rovescio. O magari ti proponi di migliorare la tua resistenza in modo da non sentirti senza forze quando fa troppo caldo. Sono questi i tipi di mete che ti aiutano a distogliere parte della tua concentrazione da quell'obiettivo a lungo termine ed elusivo: quello di diventare il numero uno o di vincere l'intero torneo."

La maggior parte delle grandi sfide viene affrontata in modo migliore con una serie di obiettivi provvisori. E’ un processo molto più incoraggiante e anche molto più stimolante.

James D. Watson, direttore del Cold Spring Harbor Laboratory, ha impegnato tutta la sua vita nella lotta per trovare una cura per il cancro. E’ questo il suo unico scopo? Naturalmente no. Sarebbe troppo scoraggiante per chiunque

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perseguire una meta così difficile. Watson ha fissato una serie di obiettivi graduali per sé e i suoi colleghi di laboratorio, obiettivi che raggiungono ogni anno proseguendo sulla strada verso la cura finale.

“Esistono numerosissimi tipi di cancro, spiega Watson, vincitore del premio Nobel per aver scoperto la struttura del DNA. "Noi saremo in grado di curarne alcuni. E speriamo di poterne curare altri ancora.

"Ma bisogna scegliere obiettivi temporanei," aggiunge. “L'obiettivo non è quello di debellare il cancro al colon domani. E’ quello di comprendere la malattia. E ci sono molti passi da compiere. Nessuno vuole andare incontro a una sconfitta. Si è felici di poter raggiungere un piccolo obiettivo alla volta.”

E’ così che funziona. Ponetevi piccoli obiettivi. Raggiungeteli. Ponetevene di nuovi, leggermente più impegnativi. Raggiungeteli. Riusciteci.

Molto tempo prima che Lou Holtz diventasse allenatore della squadra di calcio Notre Dame, il suo più ardente desiderio era diventare lui stesso un giocatore. Ma quando, ai tempi delle medie, entrò nella squadra di calcio della scuola, pesava soltanto cinquantadue chili.

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Sapeva che era decisamente troppo poco. Nonostante ciò, voleva disperatamente giocare, e così escogitò un piano. Memorizzò tutte le posizioni degli undici giocatori. Così, se uno di loro s'infortunava lui era immediatamente pronto a scendere in campo. Questo gli dava undici probabilità invece di una.

"Oggi le cose vanno così anche nel mondo degli affari," avverte lo scrittore Harvey Mackay. "Se lavorate in un ufficio, imparate di vostra iniziativa come funziona il sistema telefonico. Dedicate del tempo a conoscere l'informatica. Se siete nel reparto vendite, vi conviene interessarvi anche ai computer." In questo modo, quando si presenteranno delle occasioni avrete molte più probabilità di avvalervene. Fissate obiettivi che vi rendano più preziosi per la vostra squadra, come fece Lou Holtz, o per la vostra azienda.

Il principio basilare è quello di fissare obiettivi e di lottare per conseguirli. A volte riuscirete a raggiungerli rispettando la vostra tabella di marcia, a volte ci vorrà più tempo di quanto abbiate previsto, altre volte ancora non otterrete quanto vi eravate prefissati. Certe cose semplicemente sfuggono di mano. L'importante è continuare

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a pianificare e impegnarsi indefessamente. Arriverete al traguardo, non desistete.

Come sottolinea Adriana Bitter, "forse a volte mettiamo troppo in alto i nostri obiettivi e non sempre raggiungiamo l'ultimo piano, ma sicuramente possiamo cominciare a salire quella scala."

In mancanza di scopi specifici è fin troppo facile lasciarsi semplicemente andare, senza mai prendere le redini della propria vita. Il tempo va sprecato perché nulla sembra essere urgente. Non c'è una scadenza precisa. Niente dev'essere fatto oggi stesso. Si può rimandare qualsiasi cosa all'infinito. Sono gli obiettivi che possono darci una direzione e mantenerci concentrati.

David Luther è profondamente consapevole di questa odierna propensione alla mancanza di un fine. Si preoccupa dell'influenza che questo potrebbe esercitare sui suoi figli, e quindi gli parla continuamente di obiettivi.

“A volte," li ammonisce, “finiamo per trovarci invischiati nelle situazioni.” Facile a dirsi, naturalmente, ma come evitare questo tranello? "L'importante," secondo Luther, "è conoscere se stessi. Cosa sapete? Cosa volete fare? Pensateci bene. Scordate il denaro, almeno per un

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attimo. Cosa vi proponete come traguardo importante per quando avrete raggiunto l'età che hanno adesso i vostri genitori?"

In che modo si creano obiettivi intelligenti? In genere ti chiedono semplicemente un po' di riflessione, ma esistono alcune tecniche utili per concentrare la mente sul compito prefissato. Potete provare a porvi lo stesso interrogativo che Luther propone insistentemente ai suoi figli: "Chiedetevi: 'Che cosa realmente voglio diventare? Che genere di vita voglio realmente condurre? E adesso mi sto dirigendo nella giusta direzione?"' Questo consiglio è valido indipendentemente da quanto possiate essere avanti nella vostra carriera.

Una volta che avete stabilito quali sono i vostri obiettivi, scegliete le priorità. Non può essere fatto tutto in una volta, e quindi dovete chiedervi: cosa viene prima di tutto? Quale obiettivo è più importante per me adesso? Poi cercate di organizzare il vostro tempo e le vostre energie in modo che riflettano queste priorità. Questa, spesso, è la parte più impegnativa.

Per classificare in ordine d'importanza i suoi obiettivi, Ted Owen, direttore del San Diego Business Journal, segue

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il consiglio che ricevette da un amico psicologo. "Mi ha detto. 'Prendi un foglio di carta e dividilo a metà con una riga verticale. A sinistra, metti il numero che vuoi.' Ho messo un dieci. 'Adesso scrivi le dieci cose principali che vuoi realizzare prima di andare in pensione all'età che preferisci: cento, sessanta o cinquant'anni.

"'Metti per iscritto queste dieci cose. Dunque, vuoi avere una buona pensione. Vuoi avere una bella casa. Vuoi avere un matrimonio felice. Vuoi mantenerti in buona salute. Dieci desideri, quali che siano. Poi, sulla parte destra del foglio, mettili in ordine di priorità. Uno di quei dieci diventa il numero uno, e così via.'"

Semplicistico? Forse. Ma anche utile. Con questo sistema, Owen scoprì delle cose su se stesso che non aveva mai saputo. "Ho trovato che un lavoro, un lavoro solido e ben pagato, un lavoro che mi faceva sentire soddisfatto, era al settimo posto." Una volta che avete compilato questa graduatoria, creare obiettivi intelligenti diventa enormemente più facile.

E’ bello se, con l'andare degli anni, questi obiettivi si sviluppano e cambiano. "Prima di sposarmi, quando durante i fine settimana andavo a casa, non mi restava che leggermi

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il giornale," ricorda Ronald Evans, professore ricercatore presso l'Istituto, Salk per gli studi biologici. “Non avevo nient'altro da fare. Amavo stare in laboratorio, dove mi sentivo a casa mia più di quando ero veramente a casa, per così dire. La ricerca è una specie di droga. E’ incredibilmente stimolante, è una sfida che stimola al massimo il tuo intelletto. Fai delle scoperte, è qualcosa d'incomparabile."

Ma la vita cambia, le pressioni cambiano e anche gli obiettivi dovrebbero essere riveduti. “Adesso che ho una famiglia," continua Evans, “ho cambiato le mie abitudini, anche se è stato molto difficile. E’ necessario arrivare alla conclusione che non si può fare tutto.”

Le aziende hanno bisogno di obiettivi quanto ne hanno bisogno gli individui, e quando esse cominciano a definire i loro intenti valgono le stesse regole fondamentali: fissare obiettivi chiari, mantenerli basilari e non stabilirne troppi in una volta.

Quel colosso dell'industria automobilistica che è la Motorola è stata gestita nel corso di un anno sulla base di tre soli obiettivi specifici, espressi in termini precisi, matematici: "Continuare miglioramento 10-X" ogni due

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anni, “sentire la voce" del cliente, “ridurre il ciclo temporale del processo produttivo secondo fattore 10” in cinque anni.

Lasciate perdere quello che si intende con questo linguaggio. Può valere o meno per la vostra azienda. Quello che è importante è che l'impresa ha i suoi obiettivi. Essi sono chiaramente compresi all'interno dell'impresa stessa. Rappresentano una sfida ma sono raggiungibili. Il progresso è facilmente misurabile. E se questi obiettivi verranno raggiunti, i vantaggi per l'azienda saranno straordinari.

Questi tre obiettivi specifici offrono una visione sufficiente a guidare un'intera impresa. Immaginatevi che cosa possono fare per la vita di una persona tre obiettivi altrettanto chiari, altrettanto realistici.

FISSATE OBIETTIVI CHE SIANO CHIARI,

CHE RAPPRESENTINO UNA SFIDA E CHE SIANO RAGGIUNGIBILI.

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12 FOCALIZZAZIONE E AUTODISCIPLINA

Nel lontano 1933, il famoso floricultore di Filadellia

David Burpee ebbe l'idea che la bruttina, ordinaria figlia di nessuno del mondo dei fiori avrebbe potuto essere resa attraente. Questa derelitta era la calendula, una trascurata trovatella con una caratteristica estremamente infelice: un odore sgradevole.

Così, David Burpee si accinse a selezionare una calendula che accarezzasse le narici invece d'irritarle. Sapeva che c'era un solo modo per ottenere questo risultato: trovare ciò che i botanici chiamano “mutazione”, un fiore singolo che, per caso, non avesse quell'odoraccio. Si fece arrivare semi di calendula da tutte le parti del mondo e ottenne seicentoquaranta coltivazioni distinte. Quando le pianticelle crebbero e fiorirono, vi affondò il naso e aspirò. Puzzavano tutte. Anche se scoraggiato, Burpee continuò a cercare, e alla fine un missionario gli spedì dal remoto Tibet alcuni semi di una calendula che era inodore ma aveva un fiore piccolissimo.

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David Burpee la incrociò con una varietà dal fiore più grande e mise a coltura centoquaranta ettari di terreno. Quando le piante cominciarono a essere rigogliose, chiamò il suo giardiniere e gli diede un ordine apparentemente folle. Disse all'uomo di mettersi carponi e di annusare ogni singola pianta in tutti i centoquaranta ettari della piantagione. Se fosse stato possibile trovare una sola pianta inodore con fiori grandi, sarebbe bastato per assicurare il successo di quegli sforzi. “Mi ci vorrebbero trentacinque anni per annusarle tutte una per una,” protestò il giardiniere. Allora le agenzie d'intermediazione della zona ricevettero una richiesta senza precedenti: si cercavano duecento annusatori di fiori.

Questi annusatori arrivarono da tutte le parti e si misero al lavoro. Non si era mai visto niente di più bizzarro, ma David Burpee sapeva il fatto suo. Finalmente, un giorno, uno degli "annusafiori” corse a grandi balzi dal giardiniere.

“L’ho trovata!” gridò. Il giardiniere lo seguì nel campo fino al punto che era contrassegnato da un paletto. Ma sicuro, non c'era la minima traccia di odore sgradevole.

DALE CAMRMNEGIE

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Margaret Thatcher governò la Gran Bretagna durante

gli anni più difficili dell'impero britannico: un periodo che comprese la guerra delle Falkland, una recessione mondiale e una quantità di sconvolgimenti sociali sufficiente per uno o due secoli. Quegli anni significarono la rovina d'innumerevoli carriere politiche promettenti, e come primo ministro (nonché come prima donna mai assurta a quella carica) la Thatcher si prese più della sua parte di gatte da pelare. Eppure ci fu una cosa che i rappresentanti di tutti gli ambienti politici inglesi dovettero ammettere: la Signora di Ferro non perse il sangue freddo una sola volta. Come riuscì a mantenere una tale forza pur sotto una tale pressione?

“Per essere a capo di un paese come la Gran Bretagna," spiegò poco dopo essersi ritirata dalla politica, "un paese forte, un paese che ha assunto un ruolo di guida negli affari mondiali, in tempi buoni e in tempi difficili, un paese che è sempre affidabile, bisogna possedere un carattere ferreo."

In realtà, non è molto complicato, osservò l'ex primo ministro. Dovete rimanere focalizzati sull'obiettivo. Siate autodisciplinati. Abbiate una volontà disperata di riuscire. “Non conosco nessuno che sia giunto alla vetta senza un

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duro lavoro," continuò. “La ricetta è questa. Non vi farà sempre arrivare proprio alla vetta, ma vi ci porterà molto vicino.”

Maggie Thatcher aveva capito. Avere un obiettivo chiaro nella mente, qualcosa che si vuole davvero, credere in se stessi ed essere tenaci, e fare di tutto per non lasciarsi distrarre dallo scopo. Negli affari, nella vita familiare, nello sport, nella politica, seguite queste semplici regole, e le vostre probabilità di successo saranno astronomicamente alte.

Ivan Stewart era un uomo con un obiettivo. Fin da piccolo sognava di poter gareggiare un giorno alla guida di un fuoristrada: corse su lunghi percorsi, fino a mille miglia su terreni spesso impervi, per ore e ore d'intensa concentrazione e di tormentoso mal di schiena. Ma Stewart era un supervisore generale nel campo dell'edilizia, con una moglie, un'ipoteca da pagare e tre figli piccoli da crescere. Aveva responsabilità. Aveva impegni. Come avrebbe potuto sperare di raggiungere quell'obiettivo? Sembrava che non avesse nessuna probabilità di farcela. Ma aveva dalla sua un progetto ed enormi riserve di energia per perseguirlo.

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“Volevo entrare nel mondo delle corse, e così mi sono messo a lavorare alle macchine da corsa dopo il lavoro e durante i sabati e le domeniche. Poi ho avuto l'occasione di correre, giusto per cimentarmi, senza pensare allora minimamente che sarei diventato un professionista,” riferisce Stewart.

Un giorno, arrivò la sua grande occasione. Un pilota con cui Stewart aveva lavorato si ruppe una gamba pochi minuti prima di una gara. L'auto era pronta sulla linea di partenza. All'infortunato non rimase che lasciare il volante a Stewart.

Così, col suo amico Earl Stahl seduto a fianco, Stewart affrontò la competizione. Ne successero di tutti i colori. La macchina andò a sbattere contro un argine. Fece un testacoda. S'impantanò. Le altre auto sfrecciavano via rombando. La sua unica occasione per mettersi alla prova sembrava irrimediabilmente perduta.

"Ormai eravamo l'ultima macchina. Tutti gli altri se n'erano andati. In quella corsa fanno partire un'auto ogni trenta secondi, e ci saranno state sessanta o settanta macchine. Tutti partiti. Ed Earl e io eravamo ultimi. Avremo fatto altri venti, trenta chilometri, non ricordo bene, quando

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il cavo dell'acceleratore - la macchina aveva un motore Volkswagen -, il cavo che va dal piede del guidatore al carburante, si è spezzato. Adesso non potevo più neanche guidare. Ho detto: Tarl, tira fuori una chiave a mezzaluna.' Lui ha preso dalla cassetta degli attrezzi una chiave a mezzaluna e io ho strappato via una parte del cavo, e ne è restato quanto bastava per avvolgerlo intorno alla mezzaluna. L'abbiamo fatto in quattro e quattr'otto. In capo a cinque o dieci minuti avevamo un cavo dell'acceleratore che potevo far funzionare con una mano, azionando la frizione col piede e guidando con l'altra mano. Ma non potevo sterzare con sufficiente energia. Comunque ero deciso: volevo guidare.

"Ho detto a Earl: 'Bisogna che alle marce ci pensi tu,' e le marce erano quattro. 'Ogni volta che voglio che cambi marcia ti tiro una gomitata.' Eravamo messi male. Io azionavo l'acceleratore e la frizione, e lui metteva la marcia sbagliata. A ogni modo, ce la stavamo facendo. Spingevo l'acceleratore, mollavo la frizione. Ci davo dentro con l'acceleratore, gli davo una gomitata e lui mi dava una marcia più veloce. Ha capito quasi subito cosa dovevamo fare. Ogni tanto non ingranavamo perché mi dava una

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marcia bassa e io ne volevo una alta o viceversa. Ma per il resto ci siamo affiatati benone. Non ci abbiamo messo molto a cominciare a raggiungere gli altri: era una corsa di cinquecento chilometri. Ne raggiungiamo uno, poi un altro ancora. Lavoro di squadra. Già, siamo diventati bravi. Di li a poco eravamo dei veri piloti. Correvamo da campioni e, per farla breve, abbiamo vinto quella gara. Vinto quella gara di cinquecento chilometri." Questo tipo di focalizzazione e di autodisciplina è quello che ci vuole per vincere la propria gara, in tutti i settori della vita.

Stewart continuò la carriera, diventando il massimo pilota di fuoristrada d'America. Vinse il prestigioso trofeo Iron Man (Uomo di Ferro) sponsorizzato dalla Valvoline pari per importanza, in questo sport, al premio Heismann e al Super Bowl messi insieme - tante di quelle volte che oggi i suoi fan lo chiamano semplicemente Iron Man. E all'età di quarantasette anni - vecchio per uno sport così massacrante - ha firmato un altro contratto triennale con la Toyota.

“Lo sanno che sto invecchiando, e ci sono un mucchio di giovani che si stanno facendo avanti.” Ma è semplicemente un'altra sfida, non un motivo per cedere le armi. Chissà, probabilmente l'Uomo di Ferro correrà ancora

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a sessant'anni. E’ questo tipo di focafizzazione - quale che sia il campo dove si esercita lo sforzo -che divide le persone di successo da quelle non di successo.

"Questo è il vero segreto per fare molti soldi," dichiara Thomas A. Saunders della Saunders Karp & Company. "Quando stavamo raccogliendo quel grosso fondo per la Morgan Stanley," ricorda, “fummo incaricati di raccogliere per la nostra banca d'affari duecento milioni di dollari. Noi raccogliemmo due miliardi e trecento milioni di dollari. Fu la seconda fra le più ingenti somme di denaro che siano mai state messe assieme per un fondo azionario. Credo che il successo sia stato dovuto in grande misura alla nostra perseveranza, al fatto che non eravamo disposti a essere respinti. Non essere disposti ad accettare una risposta negativa, la volontà di tornare all'attacco. La volontà di continuare a insistere. La volontà di scoprire perché mai qualcuno diceva di no: e magari di convincerlo a dire di sì.”

Fred Sievert ha imparato,a essere perseverante da suo padre, che si chiama anche lui Fred. “L'unica passione della sua vita era suonare la tromba,” racconta di suo padre. "Ha suonato con alcune fra le migliori delle grandi bande,

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compresa quella di Harry James, Artie Shaw e Jack Teagarden. E’ un trombettista'assolutamente eccezionale."

Eppure suo padre non smise mai di eseguire gli esercizi di base. “Suonava le scale,” testimonia suo figlio. “E' già uno dei migliori trombettisti del paese, e cosa fa? Non suona un nuovo motivo di una certa lunghezza per impararlo. Suona le scale. Ora dopo ora, giorno dopo giorno. Mi dice che se conosce le scale e riesce a suonarle alla svelta, è in grado d'imparare qualsiasi canzone.”

La stessa inflessibile concentrazione su un obiettivo è quello che proiettò due governatori del sud, a sedici anni di distanza, fino alla Casa Bianca. Uno era un coltivatore di noccioline dalla voce pacata della Georgia, Jimmy Carter. L'altro veniva da un puntolino sulla carta geografica chiamato Hope, nell'Arkansas: Bill Clinton.

Quando Carter iniziò la sua campagna, nel 1976, pochi dei grandi professionisti della politica di allora gli davano qualche probabilità di vittoria. Quasi nessuno fuori dalla Georgia aveva mai sentito parlare di lui, aveva contro un campo affollato di democratici di alto livello, e l'osso più duro della campagna era il New Hampshire, a nord quanto la Georgia era a sud.

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Quando Clinton presentò la sua candidatura, nel 1992, si riteneva che le sue probabilità fossero altrettanto scarse, e i motivi erano per lo più gli stessi. Era più noto di quanto lo fosse stato Carter, ma non molto di più, e il presidente repubblicano ancora in carica aveva appena vinto una guerra enormemente popolare.

Secondo i primi pareri degli esperti, nessuno di questi due governatori aveva molte probabilità. Alla fine del primo turno delle primarie, si presunse che questi due figli del sud fossero ormai fuori gara. Le cose andarono diversamente, come sappiamo, e per molti motivi. I più importanti furono la concentrazione degli sforzi e lo spirito di disciplina che caratterizzarono queste due campagne.

Nel corso di queste estenuanti maratone, entrambi gli uomini avrebbero avuto molte ragioni per arrendersi. Per Carter, oltre alla sua condizione d'illustre sconosciuto, c'erano la minaccia rappresentata da Ted Kennedy e la deprimente sensazione che Kennedy, non Carter, fosse la scelta giusta dei "veri democratici". Per Clinton, c'erano le affermazioni di Gennifer Flowers, gli editoriali che lo davano per spacciato, il potere di un presidente in carica e un tizio di nome Perot.

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I pronostici avversi non fermarono Carter nel 1976. Non fermarono Clinton nel 1992. E il motivo principale entrambe le volte fu che entrambi gli uomini avevano focalizzato il loro obiettivo. Sapevano con esattezza dove volevano arrivare. Lavoravano tesi verso un obiettivo specifico, un sogno che ciascuno di loro aveva accarezzato fin dallInfanzia. Ne risultava che avevano una motivazione sovrumana. Lavorarono come pazzi e non persero mai di vista il loro scopo, e vinsero il premio.

La tenacia è l'altra componente dell'equazione. Per ottenere quello che volete nella vita, dovete credere in voi stessi e avere la volontà di persistere negli sforzi. Ritentate e continuate a ritentare.

Burt Manning, della J. Walter Thompson, iniziò come copywriter. E’ diventato l'unica “persona creativa” che nella storia di questa società sia riuscita ad accedere alla sua direzione. E parliamo di una delle più grandi agenzie di pubblicità del mondo, che ha prodotto campagne per clienti importanti come Ford, Lever Brothers, Nestlé, Kellogg, Kodak, Goodyear e Warner-Lambert.

Certo, il talento e la creatività sono d'importanza vitale in un settore competitivo come la pubblicità, ma senza un

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lavoro indefesso, ben diretto e tenace, tutto questo talento e tutta questa creatività possono finire col valere zero. E’ una lezione che Manning imparò in prima persona, all'inizio della sua carriera.

Progettò quella che considerava una grande campagna per il suo primo cliente importante. Il cliente era la birra Schlitz, e lo slogan che Manning proponeva sarebbe diventato famoso come l'altro che diceva: "Mmm-mmm buona." Ecco lo slogan: “Quando rimani senza Schlitz, rimani senza birra.” Manning era entusiasta della campagna, ma, per quanto sia difficile oggi crederlo, la ditta Schlitz non lo era. I suoi funzionari giudicavano l'intera idea negativa. Volevano che Manning trovasse qualcosa di più spumeggiante.

Manning aveva tutt'altra intenzione che arrendersi. Tornò dal cliente ripresentandogli la campagna per ben sei volte. Così rievoca la sua reazione finale: "Sono stato in grado di ripresentargliela così tante volte soprattutto perché avevo un rapporto con questo cliente che mi consentiva di farlo, e che a lui non permetteva di buttarmi fuori dalla stanza. La sesta volta ha detto: 'Va bene. Io non sono

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convinto che vada bene, ma se voialtri ci credete, mettetela alla prova da qualche parte.'”

Il resto, naturalmente, è storia della pubblicità. Il talento e la creatività di Manning diedero vita a una campagna di primo piano, ma furono soltanto il suo duro lavoro e la sua perseveranza che permisero di presentarla al pubblico. Dale Carnegie elaborò questo principio: "La pazienza e la perseveranza," scrisse, "realizzano in questo mondo più di quanto possa fare uno scatto folgorante. Ricordatelo quando qualcosa non va per il verso giusto.

“Non lasciate che qualcosa vi scoraggi. Insistete. Non arrendetevi mai. E’ stata questa la politica della maggior parte di coloro che hanno avuto successo. Naturalmente, si farà sentire lo scoraggiamento. L'importante è superarlo. Se riuscite a fare questo, il mondo è vostro."

Questo significa, in termini pratici, che dovete ricordare qual è l'obiettivo fondamentale: che si tratti di vendere una campagna pubblicitaria, di vincere una gara automobilistica o di farsi eleggere presidente degli Stati Uniti. Poi lavorate senza farvi distrarre da altre cose in direzione di quest'obiettivo.

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E badate bene a perseverare. Non è sempre facile. Dovete esercitarvi a compiere ogni passo, a completare ogni particolare del lavoro, sempre. E questo che rende i dipendenti più preziosi per un'azienda, più importanti per un'organizzazione, più affidabili per i loro colleghi e amici: perseverare su ogni dettaglio.

“Quando entro in un ufficio e vedo un elenco di telefonate di risposta da fare - sa, una lunga lista - penso fra me: 'Questo impiegato ha perso il controllo della situazione,'” afferma E. Martin Gibson, direttore della Corning Lab Services. "Se non risponde neppure alle sue telefonate, fa sorgere dei dubbi sulla sua affidabifità. Sono piccole cose, ma contano."

A chi si dimostra affidabile vengono concesse maggiori opportunità di provare fino a che punto può essere veramente tale. "Gli altri sanno che possono fidarsi di te,” continua Gibson. “Ti chiedono di fare qualcosa, e non ti lasciano un appunto per ricordartelo. Sanno che lo farai. Questa è affìdabilità. Non come quegli impiegati buoni a nulla che non rispondono alle telefonate, che ricevono un promemoria dal principale e non sanno che cosa fare e,

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messolo da parte, se lo scordano. Finisce che il principale pensa: 'Cos'ha per la testa questo imbecille?"'

E in questi particolari che si rivela l'autodisciplina, centinaia e centinaia di piccoli particolari, e ogni giorno ci si imbatte nel successo o nel fallimento. "Si tratta di vecchi valori, come arrivare in anticipo a un appuntamento, ricordarsi di mantenere una promessa, provare orgoglio per il proprio lavoro," raccomanda Joyce Harvey. "Se devi conipilare una lettera di credito, devi procedere dal punto uno al punto quattro. Non puoi saltare il punto tre. Gli errori costano. Non andare troppo in fretta. Controlla i particolari e mantieni alta l'attenzione."

Ross Greenburg scoprì l 'importanza dell'autodisciplina e della concentrazione in quella serata del 1990 in cui Mike Tyson fu messo Ko da Buster Douglas. Tyson era allora l'indiscusso campione mondiale dei massimi. Douglas era un poderoso picchiatore, ma allo squillo della prima ripresa non erano in molti a scommettere su di lui.

Greenburg è produttore per la HBO Sports. Al tempo del match Tyson-Douglas, aveva già prodotto per la televisione più di cento incontri per il titolo. Ma anche per

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un veterano come Greenburg, la concentrazione a volte può essere scossa da eventi drammatici.

Come Greenburg ricorda, "intorno alla seconda ripresa, è apparso evidente che qualcosa girava bene in Douglas e molto male in Tyson. Tyson aveva incassato quattro jabs destri e i miei commentatori e io abbiamo capito immediatamente che si stava per scrivere un capitolo importante nella storia del pugilato." Fin qua, tutto bene.

“Nella quarta ripresa, Douglas ha sferrato una combinazione che ha scosso Tyson e si è sentito un boato sulla nostra linea di comunicazione. Tutti quanti nella nostra postazione abbiamo cominciato a renderci conto di quello che stava succedendo davanti ai nostri occhi. Come avveniva molto di rado, stavamo venendo coinvolti dall'evento sportivo anziché dai nostri compiti individuali. Posso ricordarlo vividamente, e tutti quelli che lavorano con me le racconteranno la stessa storia. Quando me ne sono accorto, ho detto: 'Okay, ciascuno si rilassi. Ricordiamoci che qua abbiamo un lavoro da fare. Se ci lasciamo troppo trascinare dall'evento, perdiamo di vista il lavoro che dobbiamo fare.' Non ho dovuto aggiungere altro. Immediatamente ciascuno ha abbandonato quel modo

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irrazionale, viscerale di reagire all'evento, e tutti siamo tornati al lavoro fornendo dei replay di quelle tremende combinazioni."

Non c'è molto spazio per momenti di distrazione quando si fa televisione in diretta. "Vede, se a quel punto mi fossi lasciato andare, se avessi inchiodato la mia attenzione su Douglas, non sarei stato in grado di badare alle mie telecamere e ai miei annunci pubblicitari. I miei colleghi non avrebbero potuto cogliere i momenti culminanti in modo da mandarne in onda il replay alla fine della ripresa il nostro lavoro è questo.”

Ma Greenburg ammette che perfino lui per poco non perse la concentrazione in quella serata memorabile. "Non dimenticherò mai, mai in vita mia, il momento in cui Tyson è andato al tappeto. In quella frazione di secondo è stato come se stessi leggendo un libro di storia sul campionato di boxe dei pesi massimi, ho visto la pagina voltarsi: ero arrivato al capitolo successivo e al nuovo campione dei massimi. E’, un ricordo che mi porterò nella tomba: Tyson-Douglas. Magari ci sarà un altro evento del genere nel resto della mia vita. Intanto potrò sempre dire: 'C'ero anch'io.'”

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Un'adamantina capacità di concentrazione non è importante solo nelle telecronache sportive. Nel caso del dottor Scott Coyne, lo stesso tipo di focalizzazione e di autodisciplina fu letteralmente una questione di vita e di morte.

Coyne, un radiologo con un passato di studi teologici, fu il primo medico a presentarsi sulla scena del disastro quando un Boeing 727 dell'Avianca precipitò nei pressi di casa sua a Long Island, in una funesta notte di gennaio. Per più di un'ora, Coyne fu l'unico medico sul posto. Dovette soccorrere uno per uno i passeggeri feriti. Dovette anche calmarli. E dovette fare tutto questo dedicando solo un minuto o due a ciascun infortunato, e senza usare la sua lingua, dato che la maggior parte dei passeggeri venivano dalla Colombia e ignoravano completamente l'inglese. Lo spagnolo di Coyne non andava molto oltre la parola “doc-tor, doc-tor”. Come lui stesso riferì, si fece comprendere concentrando sul compito ogni fibra del suo essere. Trovò un sistema per farsi capire.

“Avevo al collo uno stetoscopio," racconta, ricordando quella notte tremenda. “Continuavo a dire: 'Doc-tor’, e alcuni di loro piangevano e gridavano. Non sapevo se

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urlavano perché erano spaventati o perché avevano il corpo fracassato. Ero in grado di comunicare toccando i volti. Potevo capire quanto gravemente fossero rimasti feriti da come mi guardavano.

“Dovevo bisbigliare nelle loro orecchie. Dovevo mantenere la calma e prenderli fra le braccia e cercare di rassicurarli semplicemente con la mia espressione e col contatto delle mie mani e accarezzando i loro volti. Non riuscivo a farmi dire da nessuno come si sentiva. Non potevi chiedergli dove gli faceva male, se gli faceva molto male, se era la schiena. Ho dovuto letteralmente visitare ogni paziente dalla testa ai piedi, e ho trovato fratture spaventose. Mai visto fratture come quelle. Gambe che penzolavano, quasi staccate. Passavo da un paziente all'altro ripetendo l'operazione di controllo con la mano. Poteva essersi sfondata la cassa toracica. Provavo a toccare. Loro non potevano dirti niente. Io non potevo neanche dire: 'Indichi col dito.' E’ stata un’esperienza surreale, un'esperienza che ha mandato alle stelle il mio tasso di adrenalina nel sangue.”

Concentrazione. Concentrazione intensa al cento per cento. Fu essa a permettere a Coyne di prestare la sua opera di soccorso.

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La concentrazione di Coyne fu così intensa che tutto ciò che esisteva di estraneo a ciò venne semplicemente bloccato al di fuori della sua mente. Egli scoprì fino a che punto la sua attenzione era rimasta concentrata quando, in seguito, parlò a un seminario sulla gestione dello stress. Gli altri partecipanti descrissero tutto il bailamme che ci si sarebbe potuti aspettare in una circostanza come quella: ambulanze, autopompe, radio gracchianti, superstiti che urlavano e uomini delle squadre di soccorso che gridavano ordini e richiami. Coyne non udì niente di questo.

“Quello che ricordo è quanto fossi calmo. Tutto sembrava sommamente quieto e ordinato. Ero così concentrato che non sentivo niente. Era una specie di trance. Ricordo soltanto che camminavo nel silenzio più completo. Non ho udito il minimo rumore. L'unico che ho sentito è stato quello degli elicotteri circa un'ora dopo. Quegli elicotteri venivano a prendere alcuni dei feriti."

La capacità di concentrarsi, d'ignorare le distrazioni e di compiere soltanto quello che è importante, è ciò che quella notte ebbe un'importanza decisiva e contribuì a salvare tutte quelle vite.

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I LEADER NON PERDONO MAI LA LORO CONCENTRAZIONE. MANTENGONO LO SGUARDO SUL QUADRO IMPORTANTE.

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13 RAGGIUNGERE L'EQUILIBRIO

L'esercito degli Stati uniti ha scoperto mediante test

ripetuti che anche uomini giovani - uomini induriti da anni di addestramento militare - possono marciare meglio e resistere più a lungo se ogni ora depongono i loro zaini e si riposano per dieci minuti. Perciò l’esercito li obbliga a farlo.

Il vostro cuore è saggio proprio come l'esercito degli Stati Uniti. Ogni giorno pompa abbastanza sangue da riempire un vagone-cisterna. Sprigiona ogni ventiquattr'ore un'energia sufficiente a spalare venti tonnellate di carbone su una piattaforma alta una decina di metri. Compie questa incredibile quantità di lavoro per cinquanta, sessanta, novant'anni. Come può sopportarlo? Il dottor Walter B. Cannon, della facoltà di medicina di Harvard, me l'ha spiegato così: “La maggior parte delle persone è convinta che il cuore lavori di continuo. In realtà, invece, c'è un preciso periodo di riposo dopo ogni contrazione. Quando batte al ritmo moderato di settanta pulsazioni al minuto, il

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cuore lavora in realtà soltanto nove ore su ventiquattro. In totale, si riposa per periodi completi di quindici ore piene al giorno.”

Durante la seconda guerra mondiale, Winston Churchill, alla fine dei sessant'anni e agli inizi dei settanta, fu in grado di lavorare sedici ore al giorno, anno dopo anno, dirigendo lo sforzo bellico dell'impero britannico. Un record fenomenale. Il suo segreto? Lavorava a letto ogni mattina fino alle undici, leggendo relazioni, diramando ordini, facendo telefonate e tenendo colloqui importanti. Dopo pranzo andava a letto di nuovo e dormiva per un'ora. Alla sera andava a letto ancora una volta e dormiva per due ore prima di cenare alle otto. Non curava la fatica. Non aveva bisogno di farlo. La preveniva. Dato cbe si riposava di frequente, era in condizioni di continuare a lavorare, fresco ed efficiente, fino alle ore piccole.

DALE CARNEGIE Monsignor Tom Hartman è stato sacerdote per più di

vent'anni. Tutta la sua vita è stata dedicata al servizio di Dio e del prossimo. Ogni giorno, consola i bisognosi, assiste gli

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infermi, consiglia le anime turbate e cerca di portare le persone più vicino a Dio. Ma le affaccendate giornate del monsignore accusavano un lamentevole vuoto.

Una mattina suo padre telefonò in canonica. A quell'epoca, Hartman era stato assegnato alla parrocchia di St. James a Seaford, a Long Island. Suo padre aveva una rivendita di liquori a Farmingdale. In tutta la sua infanzia e adolescenza e in tutti i suoi anni di sacerdozio, Hartman non ricordava che i suoi genitori avessero mai fatto un'osservazione negativa su di lui. Ma quella mattina, al telefono, la voce di suo padre aveva un tono lievemente irritato.

"Tom, vorrei mettermi a sedere con te e parlare di una cosa," annunciò.

“Ma certo,” assentì Hartman, e quindi i due fissarono un incontro.

Quando alla fine si incontrarono, suo padre manifestò immediatamente il suo pensiero: "Tom," confessò, “tua madre e io ti ammiriamo. Sentiamo sempre parlare del buon lavoro che fai e siamo molto fieri di te. Ma penso che trascuri la tua famiglia. Capisco che hai aiutato una quantità di persone nella tua vita, ma molte di loro vanno e vengono.

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I tuoi genitori invece non ti abbandoneranno mai. Quello che non va è che quando ci telefoni, ci chiedi sempre di fare qualcosa per te. Sembri semplicemente troppo preso per avere il tempo di parlare.”

Sul momento Hartinan si sentì preso alla sprovvista. “Be', papà," obiettò, “da ragazzo ti ho preso a modello.

Quando facevi l'agricoltore, lavoravi settanta ore alla settimana. E devo dire che ti ammiravo. Così, vedi, ho cercato di fare come te."

Ma suo padre non sembrava convinto. “Quello che non capisci, Tom, è che il tuo lavoro è più duro di quanto fosse il mio. Il mio era fisico. Si trattava di produrre frutta e ortaggi. E poi tornavo a casa ed ero presente per la mia famiglia." Il sacerdote non sapeva che dire e si sentì sollevato quando suo padre aggiunse che in realtà non chiedeva nessuna risposta lì su due piedi. "Voglio soltanto che tu ci rifletta sopra," precisò suo padre.

Monsignor Hartman rimase così turbato dalla conversazione che cancellò il resto dei suoi appuntamenti per la giornata. Poi decise di telefonare ai suoi parrocchiani. Riferì in seguito quello che scoprì con quelle telefonate. "Con ciascuno di loro il colloquio è stato all'incirca di tre o

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quattro minuti, e tutti hanno detto più o meno la stessa cosa: 'Che cosa vuole?' E’ stato allora che ho dovuto ammettere che mio padre aveva ragione."

Anche un uomo con una vocazione che gli richiede di mantenere una giusta visione delle cose e l'equilibrio, ebbe bisogno di qualcuno che gli ricordasse che - almeno in una piccola parte della sua vita - non metteva in pratica quello che predicava. Questo è un errore che tutti compiono di tanto in tanto.

E d'importanza vitale per tutti noi dare equilibrio alla nostra esistenza, fare posto a cose diverse dal lavoro. Questo non ha come unico risultato una vita più felice e più soddisfacente. Quasi inevitabilmente, rende le persone anche più ricche d'energia, più concentrate sul loro obiettivo e più produttive sul lavoro.

Walter A. Green, il presidente della Harrison Conference Services, paragona una vita equilibrata e produttiva a uno "sgabello con parecchie gambe”. Sono in troppi, è convinzione di Green, ad avere una vita a una sola dimensione. Sono concentrati dodici ore su ventiquattro sulle loro carriere.

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“Nella mia esperienza, troppo spesso quest'ottica unidimensionale continua per l'intera vita,” deplora Green. "Quello che io raccomanderei è che la vostra vita sia uno sgabello con parecchie gambe, con una dimensione per la vostra famiglia, un'altra per i vostri amici, le vostre occupazioni, la vostra salute. Ho visto molti esempi di persone sulla trentina, sulla quarantina e sulla cinquantina le cui professioni avevano deluso le loro aspettative. Questo significa grossi dispiaceri per coloro che hanno avuto una vita simile a uno sgabello a una sola gamba.”

Questo è un problema anche per persone baciate dal successo. “A un certo punto della tua vita,” continua Green, "hai bisogno di qualcos'altro. E’ possibile cominciare a sviluppare amicizie e interessi dopo la mezza età. Ma guarda un cinquantenne che impara ad andare in bicicletta!" E’ uno spettacolo pietoso.

Soltanto oggi si è arrivati a comprendere pienamente l'importanza dell'equilibrio per le persone e per le aziende per cui lavorano. Attualmente, imprese gestite bene di tutto il mondo cercano di aiutare i loro dipendenti a dare alle loro vite un autentico equilibrio.

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Nella sede newyorchese della Tiger Management Corporation, una finanziaria con filiali in tutto il mondo, una palestra perfettamente attrezzata è stata installata proprio accanto all'ufficio del presidente. Tutti gli impiegati della Tiger sono incoraggiati a servirsene.

"Adesso la palestra la rifacciamo, tre volte più grande," annuncia con fierezza il presidente della Tiger, Julian H. Robertson Jr. "A quanto pare, tutti i giovani vengono qui dopo il lavoro. Il fatto che vengano qui invece che nei centri sportivi sparsi per la città è per noi motivo di enorme soddisfazione. Qui dialogano fra loro. Si scambiano idee. Tutto questo è senz'altro una buona cosa per noi.” E ovviamente è una buona cosa anche per loro: dal punto di vista fisico e da quello psicologico.

“Non credo che sia possibile essere un grande manager o un grande dirigente senza essere una persona completa," osserva Andrés Navarro, il presidente della SONDA. Egli fa un paragone calzante: “Per essere un atleta, poniamo un lanciatore di giavellotto, non basta avere un braccio fortissimo. Bisogna che l'intero corpo sia forte."

E se volete essere un grande leader, è necessario che tutte le parti della vostra vita siano forti e integre. "Vede,"

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prosegue Navarro, "un bravo dirigente che prende decisioni importanti e che fa una barca di soldi nell'azienda ma non va d'accordo con sua moglie, con i suoi figli e col prossimo in generale, è privo di una parte d'importanza cruciale della vita. Se vuoi crescere ed essere un buon leader, devi essere un uomo completo o una donna completa. E la parte più importante è la tua famiglia.”

Richard Fenstermacher della casa automobilistica Ford sostiene la stessa idea con i suoi dipendenti. “Noi diciamo alle nostre maestranze: 'Le vostre vite sono bidimensionali.' Se trovate tutta la vostra identità alla Ford, questo vi crea un problema perché avete una responsabilità anche verso la vostra famiglia.”

Innegabilmente, la maggior parte dei moderni dirigenti non raggiungono sempre un equilibrio perfetto. Non è facile far volteggiare in aria tutte le palle quando sono tante. La tendenza consueta per gli ambiziosi è di mettere il lavoro al primo posto. Esso semplicemente sembra molto più urgente, molto più pressante, molto più importante.

Fred Sievert della New York Lifè Insurance Company deve vedersela con una serie diversa di pressioni, ma ammette candidamente che anche lui trova difficile venire a

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patti con tutti gli interessi contrastanti della sua vita. “Ogni giorno lotto per trovare un equilibrio nella mia vita," confessa. “Potrei letteralmente passare tutte le mie ore di veglia al lavoro e dopo un anno non avrei ancora imparato tutto quello che vorrei. E’ molto difficile.”

Certo, lo è. Arrivare a una ragionevole spartizione del tempo fra lavoro e tempo libero “è la grande sfida”, è convinto Ray Stata, della Analog Devices. Ma è una sfida che vale la pena di affrontare.

John B. Robinson Jr. del gruppo finanziario Fleet si è reso conto dei vantaggi che provengono da una felice vita familiare. "Non c'è mai stato il minimo dubbio nella mia mente su quello che è più importante per me," assicura. Un titolo altisonante? Un lauto stipendio? Opzioni in borsa? Una casa in campagna? "Quello che è più importante per me, a lungo termine, è la mia famiglia: me stesso, mia moglie e i miei figli."

Che cosa significa questo in pratica? “Io cerco di mantenere un senso di quello che è giusto ed equo, e se mi accorgo che dò troppo al lavoro e troppo poco alla famiglia, mi dico: 'No, non accetterò di andare a quella colazione d'affari, non voglio sacrificare la mia vita familiare."'

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La maggior parte delle persone, se venissero interpellate, probabilmente farebbero eco ai sentimenti di Robinson. La famiglia è più importante. Avere tempo per lo svago è d'importanza essenziale. Ma la maggior parte di loro non traduce questo concetto in pratica. Non considerano l'equilibrio come una priorità assoluta. Prendono l'abitudine di rispondere alla pressione immediata del lavoro e d'ignorare il piacere quotidiano e duraturo che nasce da una vita personale soddisfacente.

Dopo aver avuto la sua rivelazione sulla propria vita familiare, monsignor Hartman volle imparare a “sprecare” del tempo. "Adesso cerco per un'ora al giorno di non fare niente," spiega. "Spreco tempo con Dio, con gli altri, con la natura, col mio lavoro. Questo ha trasformato il mio sguardo. Ora vedo il rapporto che abbiamo gli uni con gli altri. E immensamente importante non forzare le cose ma apprezzarle.” Apprezzare la vostra famiglia, i vostri amici, il vostro ambiente, voi stessi, qualsiasi cosa distacchi la vostra mente dal lavoro.

Nella casa di Michael e Nancy Crom, nei dintorni di San Diego, i sabati sono sempre riservati a questo. Mentre Nancy si concede ancora qualche minuto di sonno, Michael

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e la figlioletta Nicole preparano frittelle, la passione della bimba. Poi i due escono in giardino, dove passano in rassegna le pianticelle di fragole, innaffiano i fiori e danno il becchime agli uccelli. Lui le racconta storie tratte dalla vita di Nicky-Nicole e Belinda McIntosh, i personaggi fantastici inventati da loro due.

“Lo facciamo ogni sabato, sia che io abbia fatto un viaggio sia che sia stato in ufficio. Guardare la gioia che è nei suoi occhi infonde gioia anche a me,” si compiace Michael.

Wolfgang Schmitt della Rubbermaid fa una passeggiata con la sua famiglia quasi tutte le sere. "E’ insolito che non esca a fare quattro passi. Se i nostri figli maggiori sono in casa, vengono con noi. Il piccolo viene sempre con noi perché vive in famiglia. Stiamo fuori per quaranta minuti, un'ora, quanto ci pare, semplicemente andando in giro. Lo facciamo quali che siano le condizioni del tempo."

Schmitt si fa anche un dovere di passare del tempo da solo. “Il semplice fare qualcosa di fisico è una terapia. Rastrellare foglie, tagliare legna, piantare alberi. Qualsiasi attività fisica è terapeutica.”

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Bill Makahilahila dedica ogni giorno un po' di tempo a se stesso: anche se ciò significa alzarsi alle tre di mattina. Così spiega questa sua pratica del risveglio antelucano: “Sono indaffaratissimo tutto il giorno. Di solito mi trattengo qui fino alle sette o alle otto di sera, e so che devo essere qui la mattina. Non so come, ma ho preso l'abitudine di entrare in uno stato di meditazione profonda di prima mattina. C'è un tale silenzio che posso rilassarmi, creare, leggere o riflettere sulla mia giornata."

I benefici sono immediati. “Quando ho fatto questo," confida, “mi sento inondare dalla pace della mente e dalla fiducia in me stesso, anche in mezzo ai problemi più impegnativi che, come so, dovrò affrontare quel giorno.”

David Luther fa Jogging. Inoltre va in vacanza con sua moglie e i suoi figli quattro volte all'anno. Si dedicano allo sci o alla vita all'aria aperta su una spiaggia. Egli bada bene di leggere cose che non abbiano niente a che fare col lavoro, e quando tutto il resto non lo placa completamente, "esco, vado a sedermi sul ponte e osservo il volo degli sparvieri."

Una volta che avete analizzato in che modo riuscite a godere il vostro tempo libero, portate un po' di questo spirito

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nel lavoro. Chi ha detto che l'ufficio dev'essere un luogo deprimente?

Non alla Ford, di sicuro. Là è stato consentito alla frivolezza di salire fino agli uffici della dirigenza. "Quando assumiamo qualcuno,” spiega il direttore del marketing Richard Fenstermacher, "gli regaliamo un orologio con l'immagine di Topolino. In ufficio facciamo una festicciola, e qualcuno tiene un discorso. In sostanza dice: 'Non c'è bisogno che lei passi venticinque anni in questa azienda per avere in dono un orologio. Ecco qua il suo orologio. Quando lo guarda, vogliamo che le ricordi che deve divertirsi mentre lavora. Ecco perché c'è sopra Topolino."'

Tom Saunders fa del diletto un'altra priorità della sua banca d'affari internazionale, la Saunders Karp & Company. “Noi ci permettiamo di perdere un po' di tempo per rilassarci, ci facciamo quattro risate raccontandoci delle storie o prendendoci in giro a vicenda. Io sfotto loro, loro mi sfottono ancora di più. Non facciamo che stuzzicarci. Ce la spassiamo. Non ci prendiamo troppo sul serio."

Il giornalista televisivo Hugh Downs ha fatto suo il venerando metodo di churchilliana memoria di rilassarsi di tanto in tanto durante la giornata lavorativa e gli ha dato la

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sua impronta personale. "La cosa che ho in comune con i grandi uomini - l'unica - è che riesco a dormire per periodi brevissimi e poi sentirmi riposato," assicura. "Posso sedermi su una sedia e mettermi a dormire per tre, cinque minuti, e svegliarmi come se mi fossi fatto una notte di sonno. Spesso, quando per il resto sono completamente pronto, dico: 'Svegliatemi due minuti prima del momento di andare in onda,' e vado a ritirarmi nel mio camerino. E loro entrano a svegliarmi due minuti prima dell'inizio della trasmissione. Io esco e faccio lo show.

“Questo fa ridere mia moglie. Dice: 'Se tu fossi condannato a morte e il plotone di esecuzione ti aspettasse fra due ore' ti faresti un pisolino nella prima ora e affronteresti il problema nella seconda.' Probabilmente è vero. Se non potessi farci niente in quella prima ora, riterrei opportuno schiacciare un pisolino.”

Quello che è sempre opportuno - in ufficio, in casa, per strada, dovunque vi capiti di trovarvi - è mantenere un reale equilibrio nella vostra vita. Come avverte John B. Robinson Jr. del gruppo finanziario Fleet: “Ci sono molti modi di farsi coinvolgere in attività esterne. Ogni volta che vi fate coinvolgere in interessi estranei al lavoro, il senso di

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equilibrio è importante, che essi riguardino la chiesa, la comunità o la scuola. Io semplicemente cerco di evitare gli estremi, credo."

Il cantautore Neil Sedaka aveva a Brooklyn due amici, una giovane coppia che aveva una grande ambizione ma amava anche divertirsi. Col passare degli anni raggiunsero entrambi un enorme successo professionale ed economico, ma persero qualcosa durante il cammino. Persero l'equilibrio che una volta dominava le loro vite. Sedaka s'ispirò a loro quando scrisse la canzone, che diventò un formidabile successo, The Hungry Years (Gli anni famelici).

"Essi lottarono per arrivare alla vetta," ricorda Sedaka. "Successo e denaro. Ma quando finalmente furono arrivati, scoprirono che provavano nostalgia dei tempi degli inizi, quando abitavano in un vecchio quartiere e ponevano le basi per una vita in comune.

“Uno pensa: 'Voglio quella casa da cinque milioni di dollari.' Ma poi, quando finalmente riesce ad averla e vi si trasferisce, dopo un paio di mesi si chiede: 'Tutto qua?' Si sente la nostalgia di quegli anni, di quando si facevano quelle cose insieme. Si è perso parte del piacere e dell'equilibrio che si avevano nella vita." Non c'è niente di

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sbagliato nel successo materiale, ma esso da solo non basta a rendere la vita felice.

Come potete cominciare a dare equilibrio alla vostra vita? Il primo passo consiste nel cambiare il vostro atteggiamento. Dovete smettere di pensare al tempo dedicato alla vostra famiglia, all'attività fisica o al tempo libero come a del tempo sprecato. Le persone di successo spesso sentono il bisogno di scusarsi per il tempo libero. Cercano di sbarazzarsi di questo pensiero. Rilassamento non è unà brutta parola.

Questo porta al secondo passo nel processo: dovete trovare tempo per attività ricreative. La maggior parte di noi è decisamente troppo impegnata nel lavoro. Forse è venuto il momento di rivedere le priorità. Prendete la decisione di dedicare tanta energia alla pianificazione del vostro tempo libero quanta ne dedicate alla pianificazione delle vostre giornate lavorative.

Il terzo passo è agire. Fate qualcosa. Fatevi coinvolgere in attività che non siano correlate al lavoro. Esse vi renderanno più felici, più sani, più concentrati, e, di conseguenza, dei leader migliori.

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PRESTAZIONI COSTANTEMENTE ELEVATE DERIVANO

DA UN EQUILIBRIO FRA LAVORO E SVAGO.

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14 CREARE UN ATTEGGIAMENTO MENTALE

POSITIVO Una volta mi fu chiesto in un programma radiofonico

di esporre in tre frasi la lezione più importante cbe avessi mai imparato.

Fu decisamente facile. “La lezione più importante che abbia mai imparato,” dicbiarai allora, “è la straordinaria importanza di quello che pensiamo. Se sapessi quello che tu pensi, saprei che cosa sei, percbé sono i tuoi pensieri a renderti quello che sei. Cambiando i nostri pensieri, noi possiamo cambiare le nostre vite.”

Io oggi sono convinto oltre ogni dubbio che il massimo problema che voi e io dobbiamo affrontare - anzi, quasi l'unico problema che dobbiamo affrontare - è quello di scegliere i pensieri giusti. Se possiamo fare questo, siamo sulla buona strada per giungere alla soluzione di tutti i nostri problemi. Marco Aurelio, il grande filosofo che governò l'impero romano, compendiò questa verità in dieci parole, dieci parole cbe possono decidere il nostro destino:

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“La nostra vita è quella cbe viene creata dai nostri pensieri.”

Sì, se abbiamo pensieri felici, saremo felici. Se abbiamo pensieri tristi, saremo tristi. Se abbiamo pensieri dominati dalla paura, saremo dominati dalla paura. Se abbiamo pensieri malsani, probabilmente ci ammaleremo. Se pensiamo al fallimento, certamente falliremo. Se ci crogioliamo nell'autocommiserazione, ciascuno vorrà evitarci.

Sto forse esortando a un atteggiamento alla Pollyanna verso tutti i nostri problemi? No. Purtroppo, la vita non è semplice come nella storia di Pollyanna. Ma io esorto - e con la massima energia - ad assumere un atteggiamento positivo anziché uno negativo.

DALE CARNEGIE Denis Potvin era l'uomo più odiato del Madison Square

Garden. Dal momento in cui, quella sera, il capitano dei New York Islanders cominciò a pattinare sul ghiaccio, fu assalito da una bordata di buuu. E non solo.

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Al Madison Square Garden, la squadra di hockey dei New York Rangers, i rivali degli Islanders, giocava in casa. La potenza di Potvin sul ghiaccio, il suo temperamento grintoso e il suo pirotecnico stile di pattinatore avevano fatto di lui il giocatore che i tifosi dei Rangers più amavano odiare.

"La situazione si era fatta così preoccupante che i miei compagni di squadra non sapevano che fare,” ricorda Potvin. "Negli spogliatoi, prima dell'ingresso in campo, alcuni di loro cercavano di dire: ‘Be', usciamo e battiamoli stanotte.' Vedevo che stavano per dire qualcosa. Ma poi stavano zitti. Cosa si può dire a uno che è il personaggio più odiato del palazzo dello sport e lo resterà ancora per due ore e mezzo?” La maggior parte dei compagni di squadra di Potvin non disse nulla.

"Ricordo quella serata," racconta Potvin. "Io ero in piedi sulla linea azzurra, pochi istanti prima dell'inizio della partita. A quei tempi era consuetudine che il palazzo venisse oscurato per l'inno nazionale. Facevano uscire un cantante e dirigevano il fascio di luce di un riflettore su di lui e sulla bandiera.” Non lo fanno più prima delle partite di hockey al

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Madison Square Garden. Il motivo va ricondotto a quella serata.

“Ero là in piedi. Mi ero tolto il casco, come facevo sempre. E i tifosi dell'altra squadra hanno cominciato a lanciare oggetti. Ho sentito qualcosa sfiorarmi l'orecchio. Mi ha mandato brividi per tutto il corpo. Non sapevo cosa fosse, ma avevo paura. Avevo davvero paura. Quando le luci sono tornate, mi sono mosso sui pattini e ho guardato. Era una pila da nove volt, quelle grosse, tonde, scagliata da qualcuno sugli spalti.” Per poco non aveva colpito Potvin sulla testa.

In quel momento, l'asso dell'hockey aveva due possibilità di scelta. Avrebbe potuto arrendersi di fronte a tanta ostilità. C'erano letteralmente migliaia di scalmanati che gli urlavano il loro odio. Avrebbe potuto abbandonare il campo per la paura e per la collera, oppure avrebbe potuto giocare davanti a quella folla inferocita e forse pericolosa.

Scelse di giocare. Affrontò coraggiosamente l'arena nemica e trasformò quelle vili minacce in una sfida personale. Convertì quel l'energia negativa e la usò per alimentare un'incredibile forza positiva. Fu questo che scattò nella mente di Potvin.

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"E’ stata quasi una benedizione,” commenta, ripensando a quella serata campale. "Quella sera ho giocato al meglio. E, da allora in poi, ho sempre giocato al meglio al Garden. Ero incredibilmente motivato perché il mio unico modo di rispondere a quegli invasati era quello di vincere proprio al Garden.

“Quando mi sono impadronito del disco, è stato un coro di buuu. Tiro in rete, coro di buuu. Vado a sbattere contro un giocatore, buuu. E la cosa ha cominciato a piacermi. A piacermi molto. Di colpo, è diventato qualcosa di più grande di me. E il Madison Square Garden è diventato l'unico posto nell'intera Lega nazionale di hockey dove, nello stesso istante in cui entravo nel palazzo, ero pronto a giocare.

"Avevo di fronte Golia e io ero il piccolo Davide, là in mezzo al campo di ghiaccio. Ma avevo il controllo della situazione più di chiunque altro nell'intero palazzo. Avrei sfruttato questa condizione. Ogni volta che fossi stato al Garden avrei giocato mettendocela tutta.”

L'atteggiamento mentale. Il potere che abbiamo nelle nostre menti. Il modo in cui la realtà può essere cambiataa drammaticamente da un unico, solitario pensiero.

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Sembra un po' difficile da credersi. “Formula pensieri felici, e sarai felice. Formula pensieri di successo, e avrai successo." Ovvero, come insegna il messaggio che scivola fino a noi dal campo di ghiaccio del Madison Square Garden, “trasforma l'alto muro di ostilità in una fonte di energia positiva.” Dale Carnegie e Denis Potvin non pattinarono mai insieme, ma entrambi compresero il potere dell'atteggiamento mentale. No, noi non siamo quello che mangiamo, come vorrebbe un antico adagio. Noi siamo quello cbe pensiamo.

Contrariamente a quello che la maggior parte delle persone vuole credere, di solito non sono le influenze esterne a determinare la felicità personale. Ciò che conta è come reagiamo a tali influenze, buone o cattive.

Marshall e Maureen Cogan raggiunsero un grande successo finanziario e professionale. Lui era socio di una grande banca d'investimenti di New York. Lei era una stella nascente del giornalismo e sarebbe diventata caporedattore della rivista Art & Auction. I loro tre figli frequentavano scuole private, dove si facevano onore. I Cogan avevano uno splendido appartamento in un condominio in città e si erano appena costruiti una casa per l'estate a East Hampton. Era un

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grande e moderno edificio in riva al mare, e per la sua originalità attirava visitatori letteralmente da ogni parte del mondo. La casa vinse parecchi premi di architettura e design e figurò sulle copertine di più di una rivista americana. E sembrava che piacesse immensamente ai piccoli Cogan non meno che ai loro genitori.

Poi arrivarono i guai. Marshall, sempre più stufo del suo lavoro in banca, a un certo punto decise di mettersi in proprio. Nonostante le grandi aspettative e l'incoraggiamento da parte di colleghi e amici, la sua nuova attività commerciale non decollò mai. Il suo ingresso nel mondo degli affari si dimostrò per niente tempestivo: proprio all'inizio, di una recessione. Quasi dalla sera alla mattina, l'iniziativa in cui Marshall aveva investito tutti i suoi risparmi si rivelò un fallimento. In quanto ai profitti sperati: zero. Per colmo di sfortuna, il colpo finale. Proprio nel momento più critico della sua lotta per salvarsi dal disastro, si prese l'epatite, che l'inchiodò al letto, a casa, per più di un mese.

I direttori delle banche di cui Marshall era cliente si mostrarono pieni di comprensione personale, ma furono irremovibili nella loro richiesta: "Deve vendere la casa

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nuova.” Egli non riusciva a sopportare questa prospettiva, e non sapeva come comunicare la notizia a sua moglie. Non aveva idea di come lei avrebbe reagito o di come avrebbero reagito i figli.

Non avrebbe dovuto preoccuparsi. "Allora venderemo la casa, ecco cosa faremo,” decise Maureen.

Così, i Cogan vendettero la loro casa, con tutti i mobili che conteneva, fino all'ultimo. Non gli restava che fare i bagagli con la biancheria e i giocattoli dei bambini, spegnere le luci e chiudere a chiave la porta.

"Dovremmo portare là i bambini," Maureen suggerì a Marshall il giorno prima dell'arrivo dei nuovi proprietari. "Possiamo dare a ciascuno una grossa borsa per l'immondizia per metterci dentro tutti i loro giocattoli, così ci riportiamo in città tutta quella roba.”

Marshall non pensava che fosse opportuno. “Non voglio che i bambini assistano al trasloco," obiettò. “Loro devono starne fuori. Ci penseremo noi due."

"Invece devono venire a East Hampton," ribattè Maureen, “così vedranno cosa significa essere a terra. Bisogna che capiscano, perché dovranno essere testimoni

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della tua ripresa, e devono capire che se un giorno gli capiterà la stessa cosa anche loro potranno riprendersi."

Messisi d'accordo, i due montarono in macchina coi figlioletti e tornarono a East Hampton. I piccoli svuotarono le loro stanze e i loro genitori raccolsero gli abiti e pochi altri effetti personali. Quando venne il momento di partire, rimasero insieme per un attimo sui gradini e poi Marshall chiuse a chiave la porta.

La famiglia risalì in macchina per rientrare in città. Fu allora che Maureen parlò in tono pacato a Marshall: "Guardiamo pure in faccia la situazione," disse. "Non andremo in vacanza ai Caraibi. Non andremo più nella nostra casa di East Hampton. La vita continua.”

E poi parlò anche ai bambini: “Ecco, non abbiamo più la nostra casa. Però abbiamo un bell'appartamento. Siamo insieme. Papà sta di nuovo bene e fra poco si rimetterà in affari. Tutto andrà a posto."

E fu così infatti. I bambini non dovettero cambiare scuola. Quell'anno riuscirono perfino ad andare al campeggio estivo. Poco dopo Marshall iniziò una nuova attività, con buoni risultati. Ma la cosa più importante di

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tutte risultava che era stata impartita una lezione, una lezione che tornò preziosa quasi vent'anni dopo.

Spiega Maureen: "Il mio figlio maggiore fece uno scivolone. Iniziò un'attività commerciale che dovemmo interrompere per impedirgli di fallire. Fu un duro, pubblico scacco per lui, e lui era giovane, aveva soltanto venticinque anni. Ricordo che gli chiesi: 'Come ti senti?' E lui rispose: 'Sono a terra. Fra qualche mese sarò obbligato a chiudere.' Non voleva affrontare il fallimento; voleva saldare i suoi debiti, chiudere l'esercizio e mollare tutto.

"Ma poi aggiunse: 'Ricordo quando è successa la stessa cosa a papà, e me la caverò bene. Supererò questo. So che posso farcela perché ho osservato voi, e ricordo.'”

Dunque, come potete sviluppare questo tipo di atteggiamento? Come potete mutare le vostre reazioni di fronte a queste forze esterne?

Rendetela consapevolmente una priorità. Pensateci ogni giorno. "Quando posiamo i piedi a terra la mattina," avverte Stanley R. Welty Jr., presidente della Wooster Brush Company, “determiniamo una buona o una cattiva giornata controllando i nostri processi psicologici. In questa giornata ci godremo la vita oppure no.

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"E con tutto il dovuto rispetto per le forze esterne che tutti noi dobbiamo affrontare nella vita e nel lavoro, anche nelle situazioni più frustranti sta a noi in larga misura stabilire che tipo di giornata sarà. Dunque, ridiamo della situazione in cui siamo, se è il caso di farlo. Ci sono delle volte in cui non rimane che alzare le mani e mettersi a ridere.”

Il buonumore è d'importanza vitale. Non dirnentichiamo mai che questo semplice elemento aiuta a mantenere l'ottica giusta. Welty è dello stesso avviso: “Guardate le cose in prospettiva," consiglia. "Quando sembra che non vadano bene, rilassatevi, prendete tempo. Pensate a quello che sta succedendo e alla vostra reazione del momento. Assumete un certo distacco dalla situazione e pensate alla prossima mossa da fare."

Ci sono centinaia di cose che possono irritarci, preoccupard o turbarci. Non permettiamo che abbiano il sopravvento. Non lasciamoci abbattere dalle piccole cose.

"Quando sull'autostrada hai davanti a te un tizio che non ti lascia passare, ci sono solo due cose che puoi fare," osserva Ted Owen, direttore del San Diego Business Journal, che come la maggior parte dei sudcaliforniani passa

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un'enorme quantità di tempo al volante. "Puoi inveire contro quell'automobifista e fargli qualche gesto osceno, Oppure puoi stringerti nelle spalle e dirti: 'Ma quello è pazzo! Se continua a guidare così finirà male.' Nessuno dei due approcci avrà un grande effetto sul tempo che ci metterete per raggiungere l'ufficio. Il fare spallucce per questo banale motivo d'irritazione vi farà arrivare là con un atteggiamento mentale più lieto e più produttivo. Potrebbe addirittura aggiungere un paio di anni alla vostra vita."

Owen non nacque con questo atteggiamento distaccato, tollerante e positivo nei confronti della vita. Una volta, anzi, aveva un temperamento teso e irritabile, ma con l'andare degli anni si rese conto del suo potenziale autodistruttivo. Quando gli fu chiesto di dirigere il Business Journal, dove avrebbe dovuto esprimere spesso commenti sull'operato di altri giornalisti, decise che avrebbe fatto meglio a superare le sue difficoltà caratteriali.

“La maggior parte di noi tende a reagire, a volte in modo esagerato," fa notare Owen. “Da quando ho comindato questa attività, non sono mai stato irritato sul lavoro. Mi è capitato d'irritarmi altrove, ma mai sul lavoro." E gli altri reagiscono come non hanno mai reagito prima.

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Dopo anni di lotte, le cose stavano finalmente andando per il verso giusto per Mary Kay Ash. Si era risposata. I figli erano diventati grandi. Lei e suo marito avevano risparmiato abbastanza da poter avviare una piccola casa di cosmetici, un sogno che essa aveva accarezzato per anni.

Poi il suo sogno per poco non svanì. “Il giorno prima dell'apertura di quest'azienda," ricorda la Ash, "mio marito è morto per un attacco di cuore al tavolo da pranzo. Avrebbe dovuto badare lui all'amministrazione della ditta. Io non so assolutamente niente di amministrazione, neppure oggi. Ogni singolo centesimo era impegnato. Avevamo soltanto cinquemila dollari, i miei risparmi personali. Sembra molto poco, ma probabilmente equivale a cinquantamila dollari di oggi.

“Il giorno del funerale non avevamo tempo da perdere. Mi sono seduta al tavolo coi miei due figli maschi e con mia figlia per decidere sul da farsi. Dovevo piantare tutto quanto o continuare? Tutti i miei sogni sembravano infranti."

Ma Mary Kay Ash credeva troppo in se stessa per arrendersi. Suo figlio Richard, che aveva solo vent'anni, si offrì di fare quello che poteva. "Mamma.” annunciò, "mi trasferisco a Dallas per aiutarti."

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Lei aveva i suoi dubbi. "'Sai che affare!' ho pensato. Adesso dovrei consegnare i risparmi di una vita a un ventenne? Magari sarebbe riuscito a sollevare casse troppo pesanti per me. Non sapevo neanche se fosse capace di vedersela con un'ordinazione. Insomma, prima di allora era stato soltanto uno dei ragazzini che avevo dovuto tirare su da sola."

Ma non era da lei lasciarsi sopraffare dai dubbi. Non è una che si lasci sconfiggere facilmente. Così, procedette nell'impresa. "La ditta ha aperto i battenti. Proprio il giorno dopo, come aveva promesso, Richard si è trasferito a Dallas tenendo al braccio quella che da due mesi era la sua sposina. Gli avvocati mi ammonivano: 'Perché non va direttamente al bidone della spazzatura per buttarci i quattrini? Tanto, non ce la farà mai.' E delle pubblicazioni che venivano da Washington ci dicevano quante ditte di cosmetici fallivano ogni mattina."

Il suo atteggiamento positivo le fece superare tutte le difficoltà. Essa semplicemente continuava a dirsi: “Sono convinta che i miei collaboratori mi aiuteranno a creare quest'impresa. Sono convinta di potercela fare e sono decisa

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a tentare." Non sorprende che la Ash, con un atteggiamento del genere, abbia avuto successo.

Questi sentimenti positivi e fiduciosi non solo ci aiutano a ottenere di più. Fanno anche sì che altre persone vogliano associarsi a noi. Tutti noi reagiamo agli atteggiamenti degli altri. E’, per questo che la gente si sente attratta da chi affronta la vita con un atteggiamento positivo. Noi vogliamo circondarci di amici o collaboratori che siano felici e produttivi e che non si lascino scoraggiare facilmente dalle difficoltà. Un fatto altrettanto prevedibile, in qualsiasi gruppo, è che chi non fa che lamentarsi si crea il vuoto intorno.

Perché questo? L'atteggiamento mentale si comunica agli altri, sia esso buono o cattivo. Questo è un concetto fondamentale, che chiunque oggi voglia essere un leader di successo deve ricordare. Esistono pochi altri fattori stimolanti più potenti di un atteggiamento positivo.

Tutti noi conosciamo organizzazioni dove un'ampia percentuale di dipendenti è infelice: come mai si sono ridotti così? Lentamente, un dipendente alla volta. Un leader deve lottare contro il propagarsi di questo scontento, sostituendo

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continuamente i sentimenti e gli atteggiamenti negativi con altri positivi.

David Luther imparò l'importanza del concentrarsi sul positivo e dell'ignorare il negativo da un intelligente esponente sindacale di Detroit, un uomo che rappresentava i lavoratori in uno stabilimento che produceva automobili Lincoln e Thunderbird.

"Un impianto gigantesco, con una produzione qualitativamente di prim'ordine,” riferisce Luther. “Questo uomo si è alzato e ha detto: 'Ho fatto il cambiamento quando ho cominciato a occuparmi del novanta per cento che diceva sì invece che del dieci per cento che diceva no.' Questa considerazione è molto saggia perché gran parte del contenzioso sindacale ha al centro quel dieci per cento che è sempre contro. La gente dice sempre: 'Bene, convinciamoli.' Lui invece la sapeva più lunga. Ha deciso: 'Questo sistema è sbagliato. Io voglio lavorare con quel novanta per cento che vuole progredire.' Ed è questo che ha fatto: un approccio quanto mai razionale.”

Luther ha sviluppato questa filosofia alla Corning. “Alla fine," argomenta, "posso tirare dalla mia alcuni degli altri, certo. Ma intanto quel novanta per cento è pronto a

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seguirmi. Stanno là fuori disposti a tutto. Sono in attesa, e il motore è acceso. Non ha senso stare bloccato qua cercando di convincere gli altri quando la grande maggioranza è fuori in attesa, pronta a salire a bordo.”

Uno dei compiti più importanti di un leader, quindi, è quello d'instaurare un clima positivo e fidudoso, mostrando agli altri che il fallimento non è neppure una possibilità.

Quando Giulio Cesare attraversò la manica dalla Gallia e sbarcò nell'odierna Inghilterra, che cosa assicurò il successo del suo esercito? Una mossa assai scaltra: egli fece fermare i suoi soldati sulle bianche scogliere di Dover. Essi abbassarono lo sguardo fino ai flutti, oltre trecento metri più in basso, e videro che ciascuna delle navi che li aveva trasportati attraverso il braccio di mare era stata incendiata.

Così, erano là, completamente isolati nel paese del nemico: il loro ultimo legame col continente era stato reciso, e i loro ultimi mezzi di ritirata se ne stavano andando in fumo. Cos'altro avrebbero potuto fare se non avanzare? Cos'altro avrebbero potuto fare se non vincere? Cos'altro se non battersi con tutte le forze che nutrivano i loro cuori? Ed è precisamente questo che fecero.

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Un atteggiamento positivo non è importante solo in situazioni di conflitto come questa, dov'era questione di vita o di morte e dove l’atteggiamento dei soldati venne determinato dalla disperazione. E’ anche il segreto per costruirsi una vita felice e una carriera di successo. E’ la pietra angolare dell'attitudine al comando.

Questo è perlomeno quello che il giornalista veterano della ABC Hugh Downs crede. "Non c'è bisogno di venir meno all'obbligo della gentilezza," ammonisce. Ricorda un uomo con cui lavorò in televisione: un tipo aggressivo ed esageratamente ambizioso. Tra quasi un caso patologico. Cercava di fare la sua scalata approfittando degli altri e, come io dico, 'aprendo a calci porte aperte'."

L'uomo fece in effetti dei progressi iniziali nella sua carriera, ma durante la sua scalata monomaniacale si alienò le simpatie dei colleghi, trattandoli come pezze da piedi, e loro se la legarono al dito. Il loro risentimento fu unanime e forte. Quando lui fece uno scivolone, come capita a ciascuno di noi di tanto in tanto, semplicemente si fecero da parte e lasciarono che sbattesse il grugno.

“Io non ho mai sfondato, a calci una porta che mi apriva delle opportunità,” avverte Downs. E allora come ha fatto ad

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arrivare così lontano? Invece della via dell'ambizione aggressiva, ha scelto quella della pazienza e dell'attenzione concentrata. “Devi stare bene all'erta," consiglia, "così che se la porta si apre tu possa precipitarti dentro. Se cerchi di aprirla a furia di calci, è facile che rimbalzi indietro di scatto e ti spacchi la faccia. Questo è successo due o tre volte all'uomo di cui parlavo. Ho sempre pensato che non sia questo il sistema giusto. Bisogna invece stare in campana per approfittare di qualsiasi occasione si presenti."

A lungo termine, questo atteggiamento si è dimostrato enormemente vantaggioso per Downs, e ha indotto i suoi collaboratori a lavorare con impegno per il suo successo. “Una delle cose che mi sono più care mi è stata regalata da Toni Murphy." Murphy era presidente della Capital Cities ABC. "Non ricordo in quale occasione me l'abbia data. Credo che sia stato per il mio cinquantenario di attività per la radio. Mi ha donato un orologio con un'iscrizione che diceva - suona scandalosamente adulatoria -, comunque diceva: 'Le persone gentili non finiscono ultime.'

"Non avrei potuto ricevere un complimento più lusinghiero. Il sentimento è sincero, e mi spiace per chi è convinto di dover abbandonare un approccio civile al mondo

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per poter giungere al successo. Se quel genere di tattica porta in una qualsiasi misura al successo, di solito esso è temporaneo. Alla fine le sue conseguenze sono molto dolorose, e durante l'arrampicata ci si procura una tremenda quantità di nemici."

E non ci si può godere la scalata.

TRAETE FORZA DA CIO’ CHE E’ POSITIVO E NON FATEVI INTRALCIARE

DA CIO CHE E’ NEGATIVO.

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15 IMPARARE A NON PREOCCUPARSI

Una sera di molti anni fa, un vicino suonò il

campanello di casa mia e raccomandò a me e alla mia famiglia di farci vaccinare contro il vaiolo.

Era soltanto uno delle migliaia di volontari che andavano di porta in porta nell'intera New York. Cittadini terrorizzati facevano la coda per ore per farsi vaccinare. Le vaccinazioni venivano praticate non solo in tutti gli ospedali ma anche nelle caserme dei pompieri, nei commissariati e nei grandi complessi industriali. Più di duemila fra medici e infermieri lavoravano febbrilmente giorno e notte, vaccinando moltitudini di persone. A New York si erano registrati otto casi di vaiolo: due mortali. Due decessi su una popolazione di quasi otto milioni di abitanti.

Ora, io ero vissuto a New York per moltissimi anni, e nessuno era mai venuto a suonare il campanello di casa mia per mettermi in guardia da quella malattia emotiva che è l'ansia: una malattia che, nello stesso lasso di tempo, è stata diecimila volte più nefasta del vaiolo.

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Nessuno mi ha mai avvertito che una persona su dieci tra quelle che attualmente vivono negli Stati Uniti soffrirà di esaurimento nervoso, provocato nella gran maggioranza dei casi da preoccupazioni e problemi emotivi.

Così, ora scrivo questo capitolo per suonare il campanello di casa vostra e avvertirvi.

Vi prego d'incidere nei vostri cuori queste parole di Alexis Carrel. “Coloro che non sanno combattere l'ansia muoiono giovani.”

DALE CARNEGIE Negli anni trascorsi da quando Dale Carnegie fece

queste considerazioni, abbiamo imparato a curare e anche a prevenire molte delle malattie che maggiormente preoccupavano l'umanità. Senza dubbio negli anni a venire cureremo molte delle malattie che ci preoccupano oggi. Ma, in quanto a quella malattia paralizzante che è l'ansia, non abbiamo fatto, a quanto pare, quasi nessun progresso. I suoi effetti devastanti non hanno fatto che peggiorare.

Questo è vero soprattutto nell'odierno e tumultuoso mondo degli affari. Scorpori, fusioni, acquisizioni e

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ristrutturazioni aziendali. Ridimensionamenti, licenziamenti, prepensionamenti, tagli alle spese e improvvisi inviti a liberare le scrivanie. Messa in liquidazione, mobilità lunga, cassa integrazione. Riduzioni dell'organico, riduzioni d'orario. La produzione che tira di più è quella delle ulcere.

Aziende che una volta erano considerate solide come sequoie vengono a trovarsi squassate fin dalle radici. Innumerevoli altre, grossi nomi negli annali della storia degli affari, sono state tagliate a pezzi e portate via. Interi livelli medi di management volaftilizzati: quale manager di livello medio non se ne preoccuperebbe? Società che si disfano di divisioni allo stesso modo in cui i serpenti si disfano della pelle vecchia: quale capo divisione non se ne darebbe pensiero? Una nuovissima genia di pirati aziendali, bramosi di mettere le mani su aziende con capitali disponibili: quale funzionario, in precedenza certo della sua inamovibilità, non si sentirebbe correre un brivido lungo la schiena?

Certo, i cambiamenti sono stati necessari. Di alcuni se ne avvertiva da tempo l'esigenza. La lampante verità è questa: le aziende che non si mantengono agili e competitive, che non sono creative e flessibili, che non si

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muovono più rapidamente della concorrenza, sono i dinosauri del nostro tempo. E sono destinate alla stessa fine.

Ma il cambiamento provoca ansietà e stress. Rende nervosa la gente. La rende preoccupata. E questo è naturale. Molte delle convinzioni che una volta erano considerate incrollabili - convinzioni su cui gli individui costruivano le loro vite professionali - si rivelano non più tali. Certamente è naturale sentirsi un tantino insicuri.

La maggior parte dei pazienti che una volta entrava nello studio del dottor Marvin Frogel, uno psichiatra, voleva parlare di problemi familiari: dissidi coniugali, difficoltà coi figli, risentimenti per il modo in cui venivano educati. Ovviamente, le persone si preoccupano ancora di questo genere di disagi. Ma oggi un numero molto maggiore dei pazienti di Frogel è tormentato da preoccupazioni attinenti al lavoro.

"La gente è terrorizzata dalla prospettiva di perdere il lavoro," nota il dottor Frogel, che ha lo studio a Great Neck, a New York. “E’ un fenomeno che non avevo mai riscontrato. I pazienti vengono da me letteralmente tremando per la paura di perdere il posto.

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“E i posti effettivamente vengono meno, uno dopo l'altro, a raffica. Le teste cadono. Arrivano i programmi di prepensionamento. Poi i licenziamenti. Chi ha un posto non sa se l'avrà ancora il giorno dopo.”

"Prendiamo la IBM,” spiega Earl Graves, direttore della rivista Black Enterprise. Negli ultimi anni il colosso dell'informatica, un tempo invincibile, ha subito drastici cali delle ordinazioni, poiché il suo primato è stato messo in pericolo da piccole aziende in America e altrove. “Non significa che non supererà mai più la crisi. Ma se la IBM licenzia personale qua e là per il paese, significa che non sarà mai più la stessa azienda. Le acque sono tempestose, e così la gente si chiede: 'Dove devo cercare la mia felicità?' Chi lascia la IBM scopre che la vita non è finita. Prima pensa di aver avuto le ali tarpate, ma poi scopre di poter volare ancora.

Nel lasciare l'IBM pensa di non poter volare fuori dal nido, invece può farlo."

Quando Dale Carnegie cominciò a rivolgere la sua attenzione al problema dell'ansietà, il mondo era ancora nella morsa della Grande Depressione. Poteva vedere rughe di apprensione segnare i volti dei suoi allievi e amici.

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“Col passare degli anni," scrisse, "mi sono reso conto che l'ansia era uno dei problemi più gravi che gli adulti dovevano affrontare. Un'ampia maggioranza dei miei allievi erano uomini d'affari - funzionari, venditori, tecnici, amministratori, uno spaccato di tutte le attività commerciali e professionali - e la maggior parte di loro aveva dei problemi. Ai corsi partecipavano anche donne: donne in carriera e casalinghe. Anche loro avevano alcuni problemi. Chiaramente, quello che mi serviva era un manuale sulla lotta all'ansietà. Cercai di trovame uno.

“Andai nella grande biblioteca pubblica fra la Quinta Avenue e la Quarantaduesima Strada e scoprii con stupore che aveva in catalogo solo ventidue libri sotto la voce ansia. Notai anche, divertito, che aveva ottantanove volumi sotto la voce vermi. I libri sui vermi superavano di quasi nove volte i libri sull'ansia. Sbalorditivo, non vi pare?

"Dato che l'ansia è il più grave problema che l'umanità deve affrontare, non vi sembra logico, vi chiedo, che ogni scuola secondaria e ogni università del paese tengano un corso sui metodi per debellare l'ansia? Eppure, se esiste anche un solo corso del genere nell'intero paese, io non ne ho mai avuto notizia."

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Carnegie dedicò sette anni alle letture e agli studi sull'ansia. Intervistò tutti i principali esperti del tempo. Lesse ogni libro sull'ansia su cui poté mettere le mani, la maggior parte dei quali si rivelarono densi trattati di psichiatria o testi per altri motivi inadatti come guide pratiche. Non si limitò a leggere e a studiare. Si affidò a quello che definì il suo "laboratorio per vincere l'ansia": le lezioni per adulti che teneva quasi tutte le sere.

Da tutto questo lavoro di ricerca scaturì un libro sull'ansia e sullo stress: How to Stop Worrying and Start Living (Come vincere lo stress e cominciare a vivere), pubblicato nel 1944. Per la prima volta in assoluto, le tecniche fondamentali per superare l'ansia venivano esposte in modo semplice e diretto. Esse sono state aggiornate e rivedute molte volte nel corso degli anni, tenendo conto del sorgere di nuove cause di ansia.

Imparate queste tecniche. Applicatele ogni giorno. Quasi certamente, otterrete un maggior controllo sulla vostra vita. Proverete meno stress, meno ansia. Alla fine, vi troverete mentalmente e fisicamente più sani.

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Vivere in comparti a dimensione giornaliera I servizi finanziari della filiale di San Diego, in

California, della Chase Manhattan Bank erano in fase di stanca. L'ufficio prestiti aveva già un disavanzo di nove milioni di dollari per quell'anno. La tensione cresceva fra gli impiegati della sezione. E Becky Connolly, la capufficio, era così preoccupa ta che faceva fatica a dormire la notte.

Allora, decise di provare a introdurre un sistema di vita a comparti a dimensione strettamente giornaliera. “Sentite,” chiarì al personale, "questo è sempre stato un settore ad andamento ciclico. I prestiti sono sempre affluiti a ondate. Limitatevi a concentrarvi sulla vostra attività quotidiana, sulle telefonate dei clienti, sul servizio ai clienti e sulla promozione. Ci tireremo tutti fuori da questa crisi." I risultati? Una forza lavoro più felice, più produttiva e ben presto l'attività dell'ufficio prestiti riprese vigore.

E sconcertante pensare a quanta energia va sprecata per il futuro e il passato. Il passato è chiuso e il futuro non è ancora arrivato. Per quanti sforzi possiamo fare, siamo nella totale incapacità d'influire sull'uno o sull'altro. C'è soltanto

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un tempo in cui possiamo veramente vivere. Questo tempo è il presente. Questo tempo è l'oggi.

"Voi e io," scrisse Dale Carnegie, "siamo situati in questo preciso secondo al crocicchio e punto d'incontro fra due eternità: il vasto passato che dura da sempre e il futuro proiettato verso l'ultima sillaba del tempo. E’ escluso che noi possiamo vivere nell'una o nell'altra di queste eternità: no, neppure per una frazione di secondo. Se cerchiamo di farlo, possiamo andare incontro alla rovina dei nostri corpi e delle nostre menti. Dunque, accontentiamoci di vivere l'unico tempo che ci è concesso di vivere: quello che va da adesso all'ora di andare a letto.”

Rammentatevi questo e non tormentatevi per quello che avrebbe potuto essere. E non lasciatevi prendere dall'ansia per quello che potrà o non potrà succedere in qualche spazio futuro del tempo. Concentrate invece la vostra attenzione sull'unica dimensione in cui potete fare qualcosa di positivo: la realtà della vita d'oggi.

Allora, basta coi piagnistei, basta col pessimismo. Certo, pensate al domani e imparate dall'ieri. Fate i vostri progetti e cercate di migliorare facendo tesoro delle esperienze passate. Ma, mentre fate questo, ricordate che il

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futuro e il passato sono le due cose che nessuno può minimamente cambiare.

Neil Sedaka imparò questa verità lapalissiana da sua madre. "Diceva sempre: 'Prendi ogni giorno come un dono. Cerca di convivere col buono e col cattivo, dando la precedenza al buono.'"

E’ facile? “E’ una lotta costante," ammette Sedaka, “ma io credo che si possa fare. Tutti noi abbiamo i nostri problemi, e ogni giorno porta la sua pena. Sforziamoci di rimuoverla. Dobbiamo farlo.” Lavorare nell'ambito del presente. Mettere la propria energia, la propria attenzione, il proprio impegno dove tutto questo conta: l'oggi.

E poi, mettersi al lavoro. Forse non immaginate quanto può essere fatto in un singolo comparto a dimensione giornaliera.

Come scrisse Robert Louis Stevenson, “chiunque può portare il suo fardello, per quanto pesante possa essere, fino al calar della sera. Chiunque può compiere il suo lavoro, per quanto possa essere duro, per un giorno. Chiunque può vivere dolcemente, pazientemente, con atteggiamento amorevole, con purezza, fino al tramontar del sole. Ed è questo l'unico vero significato della vita.”

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Trarre conforto dalla legge delle probabilità

Theo Bergauer poté rendersi conto immediatamente che

qualcosa non andava. E’ il direttore generale della Karl Bergauer & Co., la maggiore compagnia nel settore dell'edilizia della Baviera settentrionale. La signora che da molti anni gli faceva da segretaria sembrava trattenere a stento le lacrime.

"C'è qualcosa che la turba?" le chiese. Essa gli disse che suo figlio si era arruolato da poco. "Il

suo battaglione sarà il primo a essere inviato in terra straniera per una missione umanitaria." Aveva cominciato a divampare la guerra civile nella ex Iugoslavia, ed essa era angosciata al pensiero che suo figlio potesse partire e rimanere ucciso.

Bergauer non sapeva che dire, ma pensò per un attimo alle probabilità. “Quante probabilità ci sono che il suo battaglione venga mandato nella ex Iugoslavia?”

Circa una su cento, decisero. Allora strinsero un patto. “Se questo uno per cento si

fosse realizzato," spiega Bergauer, "essa avrebbe potuto

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preoccuparsi un po'. Ma fino ad allora non ci sarebbe stato nessun motivo di preoccuparsi.”

Ponendovi semplicemente un solo interrogativo e prestando attenzione alla risposta, qualunque possa essere, allontanate una grossa porzione di ansietà dalle vostre vite. L'interrogativo è questo: "Quanto è probabile che questo succeda, a ogni modo?”

La maggior parte delle persone sprecano decisamente troppo tempo preoccupandosi di cose che non succedono mai. In effetti, gran parte di quello di cui la maggior parte della gente si preoccupa non avviene. Vale la pena di ricordarlo. "La mia vita," scrisse il filosofo francese Montaigne, “è stata piena di terribili disgrazie, la maggior parte delle quali non sono mai avvenute.»

Un utile espediente è quello di considerare le probabilità matematiche che le cose che vi preoccupano di più avvengano. E’ questo che l'autore di libri sul successo Harvey Mackay ha fatto per la maggior parte della sua vita. "Una volta che conoscete i fatti e stabilite le probabilità," insegna Mackay, "potete vedere la situazione nelle sue giuste dimensioni."

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Le probabilità che l'aereo su cui viaggiate precipiti: forse una su centomila. Le probabilità che siate licenziati quest'anno: forse una su cinquecento, una su mille. Le probabilità sono presumibilmente ancora minori di queste. Le probabilità che rovesciate una tazza di caffè sulla vostra scrivania: va be', forse una su cento, ma chi se ne preoccupa realmente?

Mackay fa un esempio: “Se qualcuno apre un negozio concorrente proprio di fronte a voi, sembra terribile, vero? Ma aspettate un minuto. Gli ci vorranno tre anni per assestarsi completamente. Voi siete lì da trentadue anni, avete tutta quell'esperienza, tutta quell'abilità e tutta quella buona volontà. Dunque, quanto pensate che sia probabile che quelli possano davvero danneggiarvi? Forza, fate il calcolo delle probabilità. Probabilmente sono minori di quanto avete immaginato in un primo tempo.

"Potete fare queste previsioni su ogni singola cosa," sottolinea Mackay. "Il taldeitali dovrà ritirarsi dagli affari? Il talaltro riuscirà a tirarsi fuori? Cosa sta per succedere qua? Chi sarà sindaco? Chi sarà eletto? Chi sarà nominato assessore? E’ un gioco appassionante in cui cimentarsi. Non vi fa scommettere i vostri soldi, ma vi aiuta a vedere le cose

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nella giusta luce. Esercita la vostra acutezza di giudizio. Può anche rendervi molto umili."

Cooperare con l'inevitabile

Per sei anni David Rutt era stato un funzionario della

Expediters International, un'agenzia d'import-export della costa occidentale degli Stati Uniti. Poi si rese vacante il posto di direttore del reparto importazioni.

"Purtroppo,” ricorda Rutt, "non ottenni la promozione.” Avrebbe potuto reagire a questo scacco con l'amarezza. Avrebbe potuto perdere interesse per la sua posizione. Ma non lo fece. "Decisi di non crucciarmi per il passato e di convertire questa perdita in un guadagno. Decisi di aiutare il nuovo direttore in tutti i modi possibili durante i suoi primi mesi difficili in quel reparto.”

Il guadagno? "Sono stato nominato da poco vicedirettore delle importazioni.”

Seguite il consiglio di Rutt: non sprecate tempo ed energia preoccupandovi delle cose che non potete controllare.

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“Chissà quante volte ho avuto preoccupazioni e motivi di tensione e non avevo soluzioni per toglierli di mezzo,” confessa Andrés Navarro. “Che fare quando da giovane t'innamori di una ragazza che non ti ama? Non c'è una soluzione per questo. Ti senti triste, ti senti respinto, ma dopo un po' il problema semplicemente scompare. Non trovi una soluzione. Semplicemente convivi con l'esperienza.”

Ogni giorno la nostra vita viene ostacolata da realtà spiacevoli di vario genere. Alcune di esse siamo abbastanza fortunati o abbastanza abili da cambiarle. Ma ci saranno sempre problemi al di là della nostra portata.

Il crimine e la povertà, il numero delle ore in una giornata, il fatto che altri esercitino un controllo su parti importanti delle nostre vite: questi sono decisamente fatti immutabili. Nonostante i nostri più energici sforzi, nonostante le nostre idee più originali, nonostante tutta l'assistenza di cui possiamo giovarci: malgrado tutto questo, certe cose semplicemente non possiamo controllarle.

Che peccato, vero, che non siamo tutti padroni dell'universo? Ed è un peccato che gli altri non facciano sempre esattamente quello che noi vorremmo. Ma così è la

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vita, e più presto impariamo ad accettare questo fatto, più saremo felici e avremo successo.

Come sentenziò Mamma Oca: Per ogni guaio dell'umanità Ci sta un rimedio, oppure non ci sta. Se c'è, vedi di trovarlo tu; Se non esiste, non pensarci più. Il vero trucco consiste nel saper distinguere i guai

riparabili da quelli irreparabili. Ovviamente, non sono le circostanze a renderci felici o

infelici. E’ come noi reagiamo a esse. Ma, in realtà, non abbiamo molta scelta circa l'accettare l'inevitabile. L'alternativa è di solito una vita di delusione e di amarezza.

E’ quando cessiamo di lottare con l'inevitabile che abbiamo il tempo, l'energia e la creatività di affrontare i problemi risolvibili con le nostre forze. "Accetta di buon grado le cose così come stanno," ammonisce Henry James. "L'accettazione di quanto è successo è il primo passo per superare le conseguenze di qualunque sfortuna.”

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Dare un ”ordine di cessazione della perdita" per l'ansia Come molti ospedali, lo Sharp Cabrillo ha attraversato

tempi difficili. La specialista Lori England si trovava nel pieno di una grande ondata di licenziamenti ed era sicura che presto sarebbe toccato a lei. L'intera situazione lavorativa stava cominciando a renderla depressa.

Ma la dottoressa prese una decisione che impresse una nuova svolta alla sua vita: non si sarebbe più preoccupata del clima d'incertezza che regnava nell'ospedale. Avrebbe invece cominciato a divertirsi con il suo lavoro.

Cominciò a insegnare tecniche riabilitative. Profuse un maggior entusiasmo in altri aspetti del suo lavoro. Gli altri cominciarono ad accorgersi dei suoi sforzi, specie perché contrastavano con la depressa atmosfera circostante.

"A chi pensa che toccherà il prossimo licenziamento?" chiede la England. "A qualcuno che è depresso e preoccupato? Oppure a un elemento valido del personale, che dà prova di entusiasmo in tutto quello che fa?"

Provate a porvi l'interrogativo che gli investitori di Wall Street si pongono quando la borsa è in discesa: quanto sono disposto a perdere in questo investimento? Nel caso di un

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improvviso cedimento del mercato, fino a che punto lascerò scendere questo titolo? A che punto mi deciderò a incassare la punizione e a ritirarmi?

A Wall Strect questo è chiamato "ordine di cessazione della perdita”. Il messaggio all'agente di borsa è questo: vendi le azioni se il loro prezzo cala oltre la quotazione tot. Accetterò la perdita, ma non ho intenzione di gettar via la mia fortuna per una singola richiesta sbagliata.

Potete applicare lo stesso sistema all'ansia. Chiedetevi: quanto vale in termini di ansia questo particolare problema? Vale una notte insonne? Vale una settimana di ansia? Vale per me un'ulcera? Dovrebbero essere ben pochi i problemi che valgono questi gradi di ansia. Decidete in anticipo quanta ansia vale la pena di sopportare per un determinato problema.

Un lavoro in un'azienda mal diretta, un impiegato che si rifiuta d'impegnarsi in un lavoro di gruppo, un fornitore che presta un servizio scadente: ciascuna di queste situazioni vale dell'energia, vale dell'ansia. Ma quanta? Questo sta a noi deciderlo. Alla fine, potrà forse venire il momento in cui direte semplicemente: "Chiediamo all'agenzia

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d'intermediazione un rimpiazzo,” o: “Concediamogli un periodo di prova," oppure: "Mi passi la lista dei fornitori."

Nessun problema vale tutta l'ansia del mondo.

Vedere le cose in prospettiva Per certe cose non vale assolutamente la pena

preoccuparsi. Sono semplicemente troppo insignificanfi. Il vento mi scompiglierà i capelli? Il mio prato sarà verde come quello del vicino? Oggi il mio principale mi ha sorriso? La maggior parte delle volte semplicemente non hanno la minima importanza. Eppure tutti noi conosciamo persone che si sono amareggiate la vita per simili inezie. Che spreco!

Certe cose nella vita rivestono una reale importanza. Certe no. Potete - dimezzare le vostre preoccupazioni imparando a distinguere le une dalle altre. E giocatore di golf Chi Chi Rodriguez vedeva le cose in quest'ottica.

Al Northvifle Senior Classic, circa duecentocinquanta spettatori si erano radunati per vederlo vibrare il colpo iniziale. Le sue esibizioni erano sempre entusiasmanti.

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Dietro il tee, il punto da cui inizia la gara di golf, c'era un ragazzino su una sedia a rotelle. Nessuno gli prestava molta attenzione, men che meno i giocatori professionisti che avevano preceduto Rodriguez al tee. Le loro menti erano rivolte probabilmente al premio in palio di quattrocentocinquantamila dollari.

Qualche minuto prima del colpo d'inizio, Rodriguez notò il ragazzo e gli si avvicinò per rivolgergli un saluto. Prese dalla sua tasca un guanto da golf e lo posò sulla mano del ragazzo. Questi lo prese con molta cautela, poiché la sua mano era gravemente malformata. Poi Rodriguez tracciò il suo autografo sul guanto e diede al ragazzo una palla. Il volto del ragazzo s'illuminò di eccitazione e di gioia per l'attenzione che quella star del golf gli aveva dimostrato.

L'atto di gentilezza di Rodriguez fu salutato da un forte applauso da parte del pubblico. Questo, come fil evidente, mise in imbarazzo il giocatore. Egli sollevò le mani e volse gli occhi al cielo come per dire: “Non sono io a meritare applausi. Qui i veri eroi sono questo ragazzo sofferente e i suoi genitori.”

Anche se Rodriguez era concentrato sul torneo di golf, si rendeva conto di quali possono essere le poste in gioco più

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importanti nella vita. Farsi avanti per aiutare gli altri: è una tecnica formidabile per combattere l'ansia.

Per finire: darsi da fare

Nulla distoglie la mente dalle preoccupazioni più del

fatto di tenerla occupata con qualcos'altro. E’ una tecnica che gli attori di professione devono imparare in fretta.

“Quando vogliono affidarti una parte in un film importante," è la testimonianza di Annette Bening, che ha interpretato ruoli di rilievo in Bugsy, The Grifters e altri film, "il periodo di attesa può durare mesi. Loro s'incontrano con te. Poi se ne vanno. S'incontrano con altre attrici. Poi tornano. S'incontrano di nuovo con te. Una cosa che ho trovato utile è stata incominciare a lavorare sulla parte. Mettermi realmente al lavoro. Una volta la sceneggiatura da leggere era particolarmente lunga. Per combattere l'ansia che mi veniva dal non sapere se sarei stata scelta oppure no, ho deciso di lavorare su quella parte, e basta. Quella volta non ho avuto la parte.”

Ma ne ottenne molte altre, e continuò a lavorare con molta meno ansia di quanta ne provino molti attori. "Quando

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non ottengo una parte, cerco semplicemente di passare oltre psicologicamente, di non fissarmi su quella, di passare all'interpretazione successiva."

Se vi accorgete che vi state preoccupando di qualcosa, dedicatevi a un nuovo progetto. Sviluppate un nuovo interesse. Fate qualcosa in cui credete. Concentratevi sulle necessità altrui. Dandovi da fare, distoglierete la mente dai vostri guai. Inoltre vi metterete al servizio degli altri, e questo vi farà sentire più soddisfatti di voi stessi.

E se c'è un buon motivo per preoccuparsi?

Nonostante tutte queste belle tecniche per far cessare

l'ansia, avrete ancora problemi nella vostra vita. Succede a tutti. Potete porre un ferreo "ordine di cessazione della perdita" alle vostre preoccupazioni. Potete rammentare a voi stessi come può risultare devastante tutto questo arrovellarsi.

Ma malgrado tutto avrete ancora dei problemi e dovrete affrontarli in modo intelligente.

Ecco un utile approccio in tre fasi. Seguitele: è straordinario come vi aiuteranno a vedere molto più chiaramente i problemi che avete di fronte.

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1. Chiedetevi: qual è la cosa peggiore che potrebbe

capitarmi? Per fortuna, all'atto pratico, la maggior parte dei nostri problemi non sono questioni di vita o di morte. Quindi, forse la cosa peggiore che vi capiterà sarà di perdere un contratto importante. O di arrivare in ritardo a una riunione. O di farvi rimproverare aspramente dal principale. O di farvi sopravanzare da qualcuno e così farvi sfuggire una promozione in cui speravate. Spiacevole? Decisamente sì. Motivo di profonda ansietà per milioni di vostri simili? Senza dubbio. Causa di morte? Probabilmente no.

2. Preparatevi mentalmente ad accettare il peggio, se necessario. Ciò non significa essere proni e accettare di buon grado il fallimento. Significa semplicemente che vi diciate: sì, suppongo che potrei affrontare ques to evento se proprio ci fossi costretto. E la verità è che possiamo quasi sempre riprenderci anche dal "peggio”.

Non è divertente. Non c'è motivo di fingere che lo sia. Ma, nello stesso tempo, perdere una promozione o essere sgridati non è per nulla la fine del mondo. Quando ci ricordiamo di questo - "Ehi, qual è il peggio che può

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capitare?" - siamo certi di affrontare i veri problemi con un atteggiamento molto meno nevrotico.

3. Poi lavorate con calma e con metodo per apportare dei miglioramenti al peggio. Chiedetevi: cosa posso fare per migliorare la situazione? Con quanta rapidità dovrei agire? Chi potrà essermi di aiuto? Dopo che avrò fatto la prima mossa, quale sarà la seconda, la terza, la quarta e la quinta da compiere? Come posso valutare il successo delle mie mosse?

Patty Adams, rappresentante del marketing per la TRW REDI Property Data, si servi di questo metodo in tre fasi per affrontare il terrore della sua vita. "Un giorno è squillato il telefono,” ricorda la Adams, "era il peggiore dei miei incubi. Il mio medico voleva che tornassi nel suo studio per rifare e confermare le analisi." Cancro all'utero.

“Ero terrorizzata dalla paura dell'ignoto. Avrei perso la mia femminilità o, peggio ancora, la vita stessa? Migliaia di situazioni agghiaccianti mi sono passate per la mente. La morte per ultima. Ho avuto conferma del tremendo verdetto, e naturalmente ho accusato un completo crollo psicologico."

Chiamando a raccolta tutte le forze, affrontò le sue paure e chiese al medico cosa sarebbe potuto capitarle di

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peggio con una prognosi come la sua. La risposta fu: "Intervento chirurgico con conseguente sterilità irreversibile."

La Adams senti un tuffo al cuore. “A ventisette anni,” confessa, "ero troppo giovane e piena di vita per accettare una simile menomazione. Ma se non fossi stata operata sarei morta."

Per non lasciarsi prendere dall'angoscia, considerò i fatti. "L'intervento offriva un tasso di guarigione del novantanove per cento. A questo punto ho riconosciuto che anche se fossi stata operata, non sarei stata meno viva.”

Per diciotto mesi prese farmaci per combattere la malattia: inutilmente. "Quando è venuto il giorno fissato per l'operazione, mi sono rassegnata alla necessità di avere fiducia e di non lasciarmi distruggere dalla paura. Mi sono posta nell'atteggiamento mentale secondo cui avrei potuto affrontare qualsiasi cosa la vita mi avesse portato.”

Venne operata. Fortunatamente, con una piccola perdita di tessuto, guarì. "Quattro anni dopo," riferisce, “non ho più nessuna cicatrice o cellula anomala. Ogni giorno affronto la vita di nuovo."

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CALMATE LE VOSTRE PREOCCUPAZIONI E DATE ENERGIA ALLA VOSTRA VITA.

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16 IL POTERE DELL'ENTUSIASMO

Il mio primo corso lo tenni a New York, alla sede

dell'YMCA della Centoventicinquesima Strada. Era una piccola classe di meno di dieci uomini. Uno degli allievi, un venditore della National Cash Register Company, fece un discorso stupefacente. Disse che era nato e cresciuto nella metropoli. Ma quell'autunno aveva acquistato una casa in campagna. Era appena stata costruita, e non aveva né un prato né un giardino. Decise cbe voleva un prato di gramigna.

Durante l'inverno bruciò nel suo camino legno di noce americano e ne sparse le ceneri sul terreno che aveva destinato a prato. “Pensavo che bisognasse seminare per ottenere questo tipo di erba. Invece no. Non c'è cbe da buttare cenere di legno di noce americano in autunno, e in primavera spunta la gramigna.”

Io rimasi sconcertato. “Se questo fosse vero,” gli feci notare, “lei avrebbe scoperto quello per cui gli scienziati banno lavorato invano per secoli. Avrebbe scoperto il modo

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di utilizzare la materia morta e farle produrre materia vivente. Ma questo semplicemente non lo si può fare. Forse è stato il vento a trasportare sul suo terreno semi di quell'erba. O forse c'era già cresciuta prima. Ma una cosa è sicura: la gramigna non cresce da sola dalla cenere di noce americano.”

Ero così sicuro del fatto mio che annunciai questa verità in tono pacato e neutrale. Ma l'altro era eccitato. Si alzò in piedi di scatto ed esclamò: “So quello che dico, signor Carnegie. In fondo, l'ho fatto!”

E si profuse ampiamente sul tema, parlando con entusiasmo, animazione e vigore. Quando finì, chiesi alla classe: “Quanti di voi credono che questo signore possa fare quello che dice di poter fare?”

Con mio stupore, ciascuno dei presenti alzò la mano. Quando chiesi loro perché gli credessero, praticamente tutti risposero: "Perché sembra assolutamente convinto di quello che dice, per il suo tono entusiastico.”

DALE CARNEGIE

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Se l'entusiasmo può indurre un gruppo d’intelligenti uomini d'affari a ignorare le basilari leggi della scienza, figuratevi quello che può fare se qualcuno dice cose sensate.

E’ questa l'essenza dell'entusiasmo: è contagioso e produce una reazione negli altri. Ciò è vero in un'aula scolastica, in una sala di consiglio e durante una campagna elettorale. Lo è anche nel campo di ghiaccio dove si cimentano i giocatori di hockey. Se non siete entusiasti di un'idea o di un progetto, nessun altro lo sarà mai. Se i leader non credono entusiasticamente nella direzione di un'azienda, non aspettatevi mai che ci credano gli impiegati o i clienti o Wall Street. Il miglior modo per rendere qualcuno entusiasta di un'idea o di un progetto o di una campagna è quello di esserne noi stessi entusiasti. E di mostrarlo.

Tommy Draffen aveva da poco cambiato lavoro ed era stato assunto come venditore dalla società californiana Culver Electronics Sales, che importa citofoni. Secondo una vecchia consuetudine dell'azienda, questo significò una cosa precisa: a Draffen fu consegnato un elenco di possibili clienti che si mostravano ossi incredibilmente duri. C'era una ditta in particolare che era stata una grossa cliente della Culver ma poi, anni prima, l'avevano perduta.

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"Avevo deciso di fare del suo recupero una sfida personale," racconta Draffen. "Perciò dovevo convincere il presidente della mia impresa che avremmo potuto riavere il contratto. Lui non ne era così sicuro come me, ma non voleva soffocare il mio entusiasmo, e quindi mi ha permesso di far visita all'ex cliente.”

Draffen fece della stipula di questo contratto una sfida personale. Offrì prezzi garantiti, consegne più rapide e migliore assistenza. Assicurò al direttore dell'uffido acquisti di quella ditta: “La Culver farà tutto quello che si renderà necessario per soddisfare le vostre esigenze.”

Al suo primo incontro a quattr'occhi con questo funzionario riuscì a sfoderare un irresistibile entusiasmo. Entrò nell'ufficio con il sorriso dipinto sul volto e annunciò: "Lieto di rifarmi vivo. Mettiamoci subito al lavoro insieme."

Non pensò una sola volta che non avrebbe concluso quell'affare. Ignorò quasi il fatto che la sua ditta avesse già perso quella commessa. Con un fare allegro, entusiastico, convinse il cliente che la Culver era di nuovo pronta a prestare i suoi servigi.

“Come ho saputo in seguito, il direttore dell'ufficio acquisti ha rivelato poi al nostro presidente che l'unico

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motivo per cui avevano preso in considerazione la nostra offerta era stato il mio entusiasmo. Ci hanno fatto l'ordinazione per mezzo milione di dollari all'anno.”

Prima di continuare sul tema dell'entusiasmo, chiariamo una volta per tutte un diffuso malinteso. Parlare a tutto volume non equivale a entusiasmo. Né battere i pugni sul tavolo, o muoversi come, in preda al ballo di San Vito, o comportarsi come un pazzo. Questa è scena. E si vede. Non inganna nessuno. Quasi sempre è controproducente.

L'entusiasmo è uno stato d'animo che deve sgorgare dall'infimo. Questo concetto è estremamente importante: vale la pena di ribadirlo. L'entusiasmo è uno stato d'animo che deve provenire da dentro. Non va confuso con l'istrionismo o la declamazione oratoria.

Certo, l'accentuazione dei movimenti corporei e l'elevazione del tono di voce accompagnano a volte un senso interiore di entusiasmo. Ma chi indulge al piglio sovreccitato quello di chi proclama: "Io sono fantastico, lei è fantastico, noi siamo assolutamente fantastici quest’oggi!” – tanto vale che si metta un distintivo con la scritta: “Sono un impostore”.

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“L’attitudine al comando si basa essenzialmente sull’integrità e sulla credibilità,” sottolinea Ray Stata, “Quindi devi essere creduto ed essere credibile. Devi essere una persona che onora la parola data, una persona in cui gli altri possano riporre fiducia. Sono convinto che questi sono i presupposti indispensabili per un dialogo aperto; in loro assenza, si ricava un’impressione di simulazione, di manipolazione, di falsità o d’insensibilità.”

I veri entusiasti della storia hanno compreso istintivamente questa verità. Negli anni cinquanta Jonas Salk era entusiasta del fatto di aver creato un vaccino contro la poliomielite? Certo che lo era. Aveva dedicato anni della sua vita a questo obiettivo. Chiunque si incontrava con Salk poteva leggere immediatamente il suo entusiasmo nella luce che gli risplendeva negli occhi quando parlava della sua ricerca, durante le sedute di dodici ore di fila che teneva nel suo laboratorio. Salk è diventato forte d’ispirazione per due generazioni di scienziati. Sì, l’uomo decisamente irraggiava entusiasmo, ma non per questo si comportava da esaltato. Ora dedica lo stesso entusiasmo alla ricerca di un vaccino contro il virus HIV, quello che provoca l’AIDS.

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Nel 1969 Neil Armstrong era altrettanto entusiasta della sua passeggiata sul suolo lunare. Neppure il suo forte accento dell’Ohio poté nascondere l’entusiasmo. “E’ un piccolo passo per l’uomo,” annunciò, “ma un passo gigantesco per l’umanità.” Non ebbe bisogno di urlare la frase o di fare qualche passo di danza prima di tornare a bordo dell’Apollo. Ma fu evidente che le sue profonde parole traboccavano di entusiasmo.

Nel 1991, quando il generale Norman Schwarzkopf capeggiò le truppe americane nella Guerra del Golfo, dava forse un’impressione d’indifferenza? Tutt’altro. Non aveva bisogno di sbraitare ai suoi soldati per fargli capire che credeva nella loro missione. Chiunque poteva accorgersene vedendo le notizie flash di cinque secondi trasmesse dalla CNN.

Nessuno di questi grandi entusiasti era particolarmente esagitato o vociante. Ma essi non hanno lasciato il minimo dubbio sul loro atteggiamento emotivo nei confronti del loro lavoro.

Il vero entusiasmo ha due componenti: ardore e sicurezza. Dovete essere elettrizzati per qualcosa ed esprimere fiducia nella vostra capacità di venirne a capo. Di

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questo e nient’altro è fatto l’entusiasmo. Nutrite questi due sentimenti verso un’azienda, un progetto o un’idea, e il vostro entusiasmo sarà particolarmente contagioso. Voi l’avrete. Altri capiranno che l’avete. Ben presto, anche loro l’avranno. Garantito.

“L’entusiasmo è qualcosa che mi sorge sempre naturalmente,” dichiara la ginnasta Mary Lou Retton. “Semplicemente, sono una persona molto positiva e mi sono sempre circondata di persone positive. Questo è importante per me.”

Questo atteggiamento positivo è stato parte del segreto della Retton quando, da giovane ginnasta di livello mondiale, dovette sostenere cicli di allenamenti massacranti. “Certe volte il mio allenatore, Bela Karolyi, era di cattivo umore e molto severo in paestra. Io cercavo di mantenere un’atmosfera positiva nella nostra squadra composta da quattro o cinque ragazze. Ma se ce n’era anche una sola che si sentiva depressa e diceva: ‘Non mi va di fare questo esercizio,’ metteva a terra tutte le altre. Questo lo detestavo. Si potevano avere dieci atleti nelle migliori condizioni di spirito possibili, ma si aveva quell’unica ragazza, il morale

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di tutta la squadra si abbassava. Quindi io cerco di tenermi alla larga da persone del genere.”

“Circondatevi sempre di persone felici, di successo,” concorda Harvey Mackay. “Io non mi lego a individui negativi. Se i vostri amici e colleghi, e le persone che conoscete o di cui leggete sono ottimisti, entusiasti, fiduciosi e pieni di autostima, questo diventerà anche parte di voi.”

E’ quasi impossibile sottovalutare il potere dell’entusiasmo. “Ogni grande e rispettato movimento rappresenta il trionfo dell’entusiasmo,” disse una volta Ralph Waldo Emerson. "Niente di grande è mai stato compiuto senza di esso." Questo è stato vero per il movimento per i diritti civili. Fu vero per la fondazione degli Stati Uniti. E’ vero anche per tutte le grandi aziende di oggigiorno.

L'entusiasmo è importante come le grandi capacità, importante come il duro lavoro. Tutti noi conosciamo persone che sono intelligenti e non combinano niente. Tutti noi conosciamo persone che lavorano duro e non ottengono nessun risultato. Ma altre lavorano indefessamente, amano le loro occupazioni e trasmettono entusiasmo: esse sole hanno successo.

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Dale Carnegie chiese una volta a un amico, Frederick D. Williamson, presidente della ferrovia centrale di New York, come sceglieva i suoi quadri direttivi, i funzionari da cui dipendeva il successo o il fallimento della sua impresa. La risposta potrà sembrare a qualcuno sorprendente: "Le differenze in fatto di efficienza, abilità e intelligenza fra coloro che riescono e coloro che falliscono non sono né ampie né straordinarie. Ma se due persone sono più o meno ugualmente dotate, quella ricca di entusiasmo avrà maggiori probabilità di riuscita. E quella con capacità di seconda categoria ma con al suo attivo l'entusiasmo spesso ne supera un'altra con capacità di prim'ordine ma priva di entusiasmo."

Il principale difetto dei test per la valutazione del quoziente d'intelligenza è sempre stato che non misurano l'entusiasmo o la spinta emotiva del soggetto. Quando questi test furono introdotti, due generazioni fa, furono salutati come un formidabile strumento di analisi. Misurando il “quoziente d'intelligenza" di un soggetto, sarebbe stato possibile prevedere con grande precisione che cosa avrebbe potuto realizzare nella vita, o almeno questo sostenevano le agenzie che fornivano tali test.

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Ma la vita, purtroppo, non è così semplice. L'idea era seducente specie in un'epoca in cui il mondo riponeva una fiducia estrema nella scienza. Il business dei test standardizzati prese piede. Le commissioni delle università si affidavano pedissequamente ai test per decidere quali candidati dovessero essere ammessi. Gli esperti di capacità attitudinali delle scuole li usavano per indirizzare gli studenti a lavori specializzati oppure più semplici. Negli ambienti militari erano impiegati per decidere quali coscritti avessero la stoffa per fare carriera nell'esercito e quali andassero assegnati alle pulizie delle latrine.

Certo, l'intelligenza conta. C'è chi ne è dotato più di altri, e questo gli facilita determinate cose. Lo stesso dicasi per il talento creativo, o le capacità atletiche, o il timbro di voce perfetto, o qualsiasi altra dote preziosa nella vita. Ma questo talento grezzo e innato costituisce in realtà solo la metà del quadro totale. L'altra metà dobbiamo crearcela da soli.

Anche il personale dell'Educational Testing Service, la società del New Jersey che fornisce molti degli attuali test standardizzati, oggi bada bene a evidenziare quanto in realtà siano incompleti i loro risultati. Le autorità accademiche

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sono avvertite di non interpretarli troppo rigidamente. E’ infatti necessario tener conto di un'ampia gamma di altri fattori: e l'entusiasmo personale è in cima all'elenco.

Anche Denis Potvin, già capitano della squadra dei New York Islanders, da lui guidata alla vittoria di quattro coppe Stanley, conosce bene l'importanza dell'entusiasmo.

"Quando dovevo andare in ritiro per gli allenamenti," ricorda, "avevo bisogno di sentirmi emotivamente entusiasmato dall'hockey. Quindi non adottavo l'approccio scelto da certi giocatori, quello di pensare che avrei dovuto pattinare per l'intera estate. Pensavo invece il contrario: non dovevo pattinare molto.

"Perciò quando andavo ad allenarmi non ero mai in ottima forma come molti degli altri giocatori. Sapevo che avrei dovuto lavorare ancora più duramente di loro per raggiungere una forma smagliante. Ma il mio vantaggio su di loro era che mi sentivo sinceramente entusiasta del fatto di tornare a giocare a hockey. Ecco, era il quindicesimo settembre della mia carriera di professionista e mi sentivo come se fossi tornato ragazzino."

No, non è possibile simulare l'entusiasmo. Ma sì, decisamente sì, è possibile crearlo, è possibile alimentarlo,

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ed è possibile farlo agire a nostro vantaggio. Dale Carnegie così spiegò questo processo: “Il modo per acquisire l'entusiasmo è di credere in quello che state facendo e in voi stessi, e voler giungere allo svolgimento di un compito preciso. L'entusiasmo seguirà come la notte segue il giorno."

Come potete avviare questo processo? "Dicendo a voi stessi che cos'è che vi piace in quello che state facendo e passando rapidamente dalla parte che non vi piace a quella che vi piace. Poi fate l'entusiasta. Parlatene con qualcuno. Fategli sapere perché quello che state facendo v’interessa. Se agite 'come se' foste interessati al vostro lavoro, questo atteggiamento tenderà a rendere il vostro interesse reale. Porterà anche ad attenuare la vostra fatica, le vostre tensioni e le vostre preoccupazioni.”

L'entusiasmo è più facile da conseguire quando nella vostra vita avete obiettivi reali, verso cui tendete con genuino fervore. Accingetevi all'impresa, e l'entusiasmo crescerà dentro di voi.

Svegliatevi la mattina e prendetevi un minuto per pensare a qualcosa di piacevole che accadrà quel giorno. Non è necessario che sia qualcosa di trascendentale. Potrà trattarsi di una parte del vostro lavoro che vi dà sempre un

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particolare diletto. Oppure di un incontro con un amico per colazione. O di una scampagnata coi vostri cari, una birra,con gli amici o un'ora di tennis o di danza aerobica. Quale che sia questo evento piacevole, quello che conta nella vita è questo: la vita non deve essere scialba o poco interessante. Tutti noi abbiamo bisogno di mete e di obiettivi da poterci prefigurare con un senso d'impaziente anticipazione. Sono queste le cose che imprimono una spinta in avanti alla vita. Chi ci riflette sopra anche per un momento può sviluppare un modo totalmente nuovo di vedere la vita. Può così liberarsi dalle abitudini inveterate in cui si era fossilizzato. Vivrà, in altre parole, in modo entusiastico. Quando fate questo, i risultati possono essere realmente straordinari.

“Le moderne organizzazioni hanno più bisogno che mai di una leadership entusiastica," è convinto Andrés Navarro. "E quasi una definizione della leadership: la capacità di trasmettere entusiasmo agli altri per un obiettivo comune. Se volete che un gruppo, oggi o domani, provi entusiasmo e si senta felice di lavorare a un progetto, è inutile scrivere un ordine del giorno: 'A partire da domani ciascuno dovrà

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dimostrare grande entusiasmo.'” E’ necessario che voi stessi abbiate l'entusiasmo.

"Se non avete entusiasmo, è impossibile che lo possiate trasmettere a qualcuno," prosegue Navarro. "Quindi se volete cambiare l'ambiente, prima di tutto dovete cambiare voi stessi. Se prima non cambiate, non potete neppure cambiare i vostri figli. Se volete che vostro figlio giochi a caldo con entusiasmo, l'entusiasmo deve partire da voi.

“L'entusiasmo è qualcosa che trasmettete attraverso gli occhi, col vostro modo di muovervi, col vostro modo di agire nell'arco della giornata, più che col vostro modo di metterlo per iscritto in un memorandum. Credo che tutti noi possiamo provare entusiasmo per qualcosa. Se non avvertiste nessun tipo di entusiasmo, tanto varrebbe che foste morti. Allorché scoprite che provate dell'entusiasmo quando fate qualcosa, diverrà facile per voi sviluppare la capacità di accingervi entusiasticamente quasi a qualsiasi impresa.”

Avere entusiasmo quasi sempre assicura il successo. Può essere difficile da credere, ma la semplice evidenza suggerisce che questo è vero.

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E’ facile capire che David Webb, presidente della Lever Brothers Company, trabocca di entusiasmo, semplicemente vedendolo uscire dal suo ufficio. Non è uno che si sgoli con foga oratoria o un maestro delle strette di mano e dei sorrisetti accattivanti. Ma il suo incedere, a testa alta, con una luce di ottimismo negli occhi, è indice di uno spirito positivo e gioioso. Potrà sembrare banale, ma questo portamento sprigiona più forza di quanto la maggior parte di noi immagini. E non avviene per caso.

"Gli altri cercano sempre di leggerti dentro in ascensore,” ammonisce Webb. "Tu esprimi i tuoi valori, quali che siano, ventiquattr'ore al giorno. Gli altri hanno una buona memoria.

"L'ho imparato da un uomo che diventò il presidente della Unilever, Sir David Orr. Gli sono succeduto in India. Era direttore del marketing. Conosceva tutti quanti. Andò ovunque. Noi abbiamo una formidabile rete di distributori. Ogni volta che vai da un distributore, t'infilano una ghirlanda di fiori intorno al collo. Ho girato per l'intera India, e ho cercato disperatamente di trovare un distributore da cui David Orr non si fosse recato di persona, un distributore che non avesse qualche sua fotografia sulla

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parete. Conosceva ogni venditore del paese." Era l'entusiasmo di Sir David che tutti ricordavano.

Webb imparò questa lezione e non la dimenticò durante la sua ascesa fino al vertice della Lever Brothers. "Mi sono incontrato con ciascun venditore di questa azienda - ne avremo circa settecentocinquanta - nei primi tre mesi di attività. Tutti questi venditori mi conoscono. Sanno come relazionarsi con me. Certe volte scherzo con loro, mi diverto con loro. Mi piace la loro compagnia. Mi piacciono i venditori e gli operai delle fabbriche. Non c'è nessuno che non mi piaccia.”

Thomas Doherty era un funzionario della Norstar Bank quando questa banca regionale fu acquisita dal gruppo finanziario Fleet. Doberty rimase, dirigendo tutti gli affari del gruppo Fleet per la regione di New York.

Comprensibilmente, molti dei suoi colleghi erano estremamente nervosi per il cambio di proprietà. “E’ naturale, osserva Doherty. "Clienti, familiari e amici ti chiedono: 'Come l'hai presa la faccenda della fusione?' Se ne sei entusiasta, anche loro ne saranno entusiasti. Io penso che il tuo atteggiamento e l'entusiasmo siano ciò che gli altri cercano d’interpretare. Se ti metti la mattina alla tua

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scrivania e hai la faccia lunga, gli altri si accorgono immediatamente. Ma se sali sull'ascensore e dici buongiorno a tutti come hai sempre fatto in passato, gli altri lo notano. Pensano: perbacco, è entusiasta. Perché non provare a scommettere nella fusione?"

Questo consiglio, naturalmente, presuppone che nel vostro lavoro ci sia qualcosa che vi piace. Stabilirlo realisticamente può richiedere un certo scavo interiore. Anche se nella maggior parte delle attività lavorative ci sono aspetti che possono piacere, non nascondiamoci la dura realtà: ci sono certi lavori che sono semplicemente sgradevoli, oppure semplicemente inadeguati al nostro temperamento, alle nostre capacità o ai nostri obiettivi. Se vi trovate in questa condizione, fate qualcosa per cambiarla. Non raggiungerete mai il vero successo se non potete provare entusiasmo per la vostra vita o per il vostro lavoro. Molti sono rimbalzati da un lavoro all'altro prima di trovare quello che gli andava a pennello. In questo non c'è niente di cui vergognarsi. Quello che è vergognoso è che un dato lavoro ci renda infelici e che non si cerchi di migliorarlo o di trovarne un altro.

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Se vi sentite annoiati dalla vita, anche tutti quelli che vi circondano cascheranno dal sonno. Se siete sarcastici e antagonisti, anche loro lo saranno. Se siete tiepidi, loro non saranno mai calorosi.

Dunque, siate entusiasti. Osservate l'impatto che questo esercita sulle persone che vi circondano. Esse diventeranno più produttive e desiderose di seguirvi. Le passioni, ricordate, sono più potenti delle fredde idee. E l'entusiasmo sincero è contagioso.

NON SOTTOVALUTATE MAI IL POTERE

DELL'ENTUSIASMO.

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CONCLUSIONE DIVENTARE UN LEADER

Trattare con la gente è probabilmente il più grosso

problema che avete davanti a voi, specie se siete in affari. Sì, e que sto è vero anche se siete una casalinga, un architetto o un ingegnere. Una ricerca condotta sotto gli auspici della Fondazione Carnegie per il Progresso dell'Insegnamento ha scoperto un fatto estremamente importante e significativo: un fatto successivamente confermato da ulteriori studi compiuti presso il Carnegie Institute of Technology. Queste indagini hanno rivelato che anche in settori tecnologici come l'ingegneria, circa il quindici per cento del successo finanziario di un operatore è dovuto alle sue conoscenze tecniche e circa l'ottantacinque per cento alle sue doti relative all'ingegneria umana: ovvero alla personalità e alla capacità di guidare le persone.

DALE CARNEGIE

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Guardate fuori dalla finestra. Osservate quale cambiamento è avvenuto là fuori negli ultimi anni.

E’ esploso il boom postbellico. La competizione è diventata globale. I consumatori si sono fatti più sofisticati. La qualità è diventata un'esigenza primaria. Sono nate industrie totalmente nuove e altre si sono adeguate ai tempi. Alcune sono sempre più decadute fino a scomparire.

L'idea di due superpotenze militari oggi sembra quasi storia antica.

Il blocco dei paesi dell'Est si è sgretolato. L'Europa diventa di giorno in giorno sempre più unita. I paesi del Terzo Mondo stanno cercando di farsi largo a gomitate sulla scena economica. Il capitalismo moderno ha perso la maggior parte del suo carattere protettivo e rassicurante, e con esso la benedetta stabilità che per generazioni di uomini d'affari aveva finito per essere data per scontata.

Dale Carnegie aveva previsto ciascuno di questi cambiamenti? Naturalmente no. Nessuno avrebbe potuto farlo in un mondo in così rapido mutamento.

Ma Carnegie ha fatto qualcosa di ancora più importante. Ci ha lasciato un sistema eterno di principi di relazioni umane che sono validi oggi come lo sono sempre

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stati in passato. E, come si sta vedendo, essi sono adeguati in modo incomparabile al mondo moderno: un mondo altamente ansiogeno, in corsa vertiginosa e insicuro.

Guardate le cose dal punto di vista dell'altra persona. Offrite con sincerità apprezzamento e lode. Imbrigliate il formidabile potere dell'entusiasmo. Rispettate la dignità degli altri. Non assumete un atteggiamento apertamente critico. Accordate alle persone un'alta stima in modo che se ne mantengano all'altezza. Mantenete un senso di soddisfazione e di equilibrio nella vostra vita. Tre generazioni di allievi e di uomini e donne d'affari

hanno tratto beneficio da questa saggezza basilare. Altri ne stanno traendo beneficio ogni giorno.

Non dovrebbe sorprendere che i principi di Carnegie siano senza tempo. Essi non sono mai stati radicati nella realtà di un momento particolare, realtà sicuramente destinate a incessanti mutamenti. Camegie collaudò i suoi principi per troppo tempo e con troppo impegno per

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incorrere in questo errore. Le mode vengono e vanno nel corso degli anni. Le quotazioni di borsa salgono e scendono. La tecnologia avanza sempre più in fretta. I partiti politici vincono e perdono. E il pendolo dell'economia oscilla come l'orologio di un ipnotizzatore: tempi buoni, tempi difficili, tempi buoni, tempi difficili...

Ma le intuizioni di Carnegie erano solide. Dovevano soltanto essere applicate. Si basavano su fatti fondamentali della natura umana, e così la loro essenziale verità non è mai venuta meno. Erano valide all'alba dei tempi. In questa nuova era di continui cambiamenti sono altrettanto valide. Solo che oggi si avverte un bisogno senza precedenti dei principi di Carnegie: come di tutto ciò che è valido.

Dunque, applicate queste lezioni e tecniche basilari. Ricorretevi nella vostra vita di tutti i giorni. Usatele con i vostri amici, familiari e colleghi. Valutatene i risultati.

I principi di Carnegie non richiedono una laurea in psicologia umana avanzata. Non necessitano di anni di riflessione e di meditazione. Tutto quello che richiedono è pratica, energia e un reale desiderio di cavarsela meglio nel mondo.

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"Le regole che abbiamo qua formulato non sono mere teorie o congetture," ha detto Dale Carnegie dei principi da lui insegnati per tutta la vita a milioni di persone. "Funzionano come per magia. Per quanto possa sembrare incredibile, ho visto l'applicazione di questi principi letteralmente rivoluzionare le vite di molti."

Quindi prendete a cuore queste parole, e scoprite il leader che è in voi.

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RINGRAZIAMENTI Un libro come questo non può essere creato da uno o

due autori che lavorano insieme. Il presente volume si è valso della generosa e preziosissima assistenza di molte persone di talento, fra cui J. Oliver Crom, Arnold J. Gitomer, Marc K. Johnston, Kevin M. McGuire, Regina M. Carpenter, Mary Burton, Jeanne M. Narucki, Diane P. McCarthy, Helena Stàh1, Willi Zander, Jean-Louis Van Dorne, Frederic W. Hills, Marcella Berger, Laureen Connelly ed Ellis Henican. Esprimiamo a tutti loro la nostra gratitudine.

Il nostro profondo apprezzamento va anche al costante

sostegno che ci è stato fornito dall'intera organizzazione Dale Carnegie: sponsor, manager, istruttori, allievi dei corsi e il team del Ministero dell'Interno.

Per finire, questo libro si basa in misura rilevante sulle esperienze di vita vissuta di alcuni dei leader di maggior successo di tutto il mondo. Questi uomini e donne appartengono a molte discipline, fra cui il mondo degli

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affari, l'ambiente accademico, quello dello spettacolo e quello della politica. Tutti ci sono stati prodighi del loro tempo, dei loro ricordi edelle loro intuizioni. A loro va gran parte del merito per la realizzazione di quest'opera.

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C'è un segreto per avere successo nella vita? E possibile imparare a vincere paura e insicurezza, migliorare il nostro atteggiamento nei confronti degli altri e conquistare la simpatia di chi ci circonda? Gli autori di Scopri il leader che è in te dimostrano che tutti possiamo imparare l'arte di comunicare e di stabilire con gli altri rapporti felici e durevoli. La ricetta è semplice e infallibile: credere fermamente in se stessi e nelle proprie capacità. In ognuno di noi, infatti, si nascondono quelle qualità che, opportunamente coltivate, possono rivoluzionare la nostra vita e permetterci di realizzare le più riposte ambizioni, facendo di noi delle persone di successo e degli autentici leader.

Proseguendo nell'opera di Dale Carnegie - unanimemente riconosciuto come un grande maestro delle relazioni umane -, Stuart R. Levine e Michael A. Crom, eredi del suo pensiero e alti dirigenti della Dale Carnegie & Associates Inc., ci indicano concretamente, grazie alla loro esperienza e alla loro conoscenza degli uomini, quali sono i passi da compiere per raggiungere il successo e la felicità. Impareremo sotto la loro guida a ottenere il rispetto degli altri, ad abbandonare gli atteggiamenti intransigenti e

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antagonistici e ad affrontare con tranquillità e fermezza ogni problema e difficoltà, acquisendo un completo controllo di noi stessi. Queste, infatti, sono le qualità peculiari di un vero leader, che deve saper sempre trovare nuovi stimoli e motivazioni per sé e per chi gli sta vicino ed essere pronto a comunicare il proprio entusiasmo con decisione e immediatezza. Applicando i principi espressi in Scopri il leader che è in te non avremo bisogno di una preparazione specifica per raggiungere le mete che ci siamo prestabiliti, ma soltanto di un autentico desiderio d'imparare: spesso il successo si ottiene con l'applicazione costante dei propri convincimenti e con una grande determinazione.

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La Dale Carnegie & Associates Inc. è l'associazione che si occupa di diffondere in ogni paese le teorie di Dale Carnegie, autore di grandi best-seller internazionali, tutti pubblicati presso Bompiani, Come vincere lo stress e cominciare a vivere, Come godersi la vita e lavorare meglio, Come trattare gli altri e farseli amici e Come parlare in pubblico e convincere gli altri. Ogni settimana, più di tremila persone nel mondo si iscrivono ai corsi dell'associazione, a cui si aggiungono i tre milioni e mezzo di allievi che si sono diplomati nei celebri programmi di "automiglioramento". Questi corsi vengono seguiti anche dai dirigenti delle prime quattrocento aziende della classifica stilata da Fortune.

Stuart R. Levine è il direttore generale della Dale

Carnegie & Associates Inc., dove lavora dal 1978, ed è membro del Comitato Esecutivo e del Consiglio di Direzione della società. All'età di venticinque anni fu il più giovane membro eletto nell'Assemblea dello stato di New York. E stato presidente del Consiglio del Dowling College e fa parte del Comitato Esecutivo dell'Excelsior Award Task

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Force per conto del governatore dello stato di New York. Vive a Brookville, a Long Island, con la moglie e i figli.

Michael A. Crom è il vicepresidente dei centri Dale

Carnegie. E’ responsabile per tutte le sedi della società ed è membro del Comitato Esecutivo e del Consiglio di Direzione. Vive con la moglie e il figlio a Escondido, in California.

Progetto grafico di Alberto Savoia

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LE OTTO COSE CHE QUESTO LIBRO VI AIUTERA A OTTENERE

1

Affermare la vostra leadership. 2

Costruire relazioni basate sulla fiducia. 3

Ottenere il rispetto che vi meritate. 4

Eliminare gli atteggiamenti negativi. 5

Risolvere i problemi in modo creativo. 6

Trovare nuove motivazioni per voi stessi e per gli altri.

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7 Migliorare le relazioni negli affari

e nella vita personale. 8

Pensare e comunicare con maggior chiarezza.