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Middle-Earth

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Middle-Earth

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Middle-EarthA journey inside Elica

Fondazione Ermanno Casoli

Fotografie di Photographs by

A cura di Curated by

Alessandro Dandini de Sylva

Marcello Smarrelli

Fabio BarileFrancesco Neri

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Aria nuova nella terra di mezzo

New air in the middle-earth

Francesco Casoli

Fabio Barile

Francesco Neri

Avvistare la terra di mezzo

Middle-earth ahead

Marcello Smarrelli

Una conversazione

A conversation

Alessandro Dandini de Sylva,

Fabio Barile, Francesco Neri

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8

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Indice Contents

presentano / present

Middle-Earth. A journey inside Elica

Fotografie di / Photographs by

Fabio Barile, Francesco Neri

A cura di / Curated by

Alessandro Dandini de Sylva e

Marcello Smarrelli

Elica Showroom, Milano

8—26 aprile / April 8th—26th 2014

Allestimento / Set up

Studio stARTT

Assistente curatore e coordinamento

editoriale / Assistant curator and editorial

coordination

Saverio Verini

Ufficio stampa e comunicazione /

Press office and communication

Silvia Rizzi

Ludovica Solari

Progettazione catalogo / Catalogue design

Filippo Nostri

Traduzioni / Translations

Karen Tomatis

Stampato da / Printed by

Tipografia Fabbri, Modigliana (FC)

Rilegato da / Bound by

Legatoria Universo, Ravenna

Fondazione Ermanno Casoli

Presidente / President

Gianna Pieralisi

Direttore / Director

Deborah Carè

Direttore Artistico / Artistic Director

Marcello Smarrelli

Elica

Presidente / President

Francesco Casoli

Amministratore delegato / CEO

Giuseppe Perucchetti

Direttore Marketing / Marketing Director

Francesco Boromei

Ringraziamenti / Special thanks to

Agostino Agostinelli, Enrico Boccioletti,

Marco Bonfigli, Carolina Canziani,

Massimiliano Carponi, Marta Colombo,

Fabrizio Crisà, Antonella De Luca con

Riccardo e Sofia, Fabrizio Delabella,

Roberto Di Fiore, Digid'a – Fine Art Print,

Zhu Hongyu, Gilberto Luchetti, Edmondo

Maresi, Luca Pianelli, Jacopo Pirisinu, Luca

Sabatini, Valter Santoni, Sergio Tombolesi,

Valeria Valeri, Xu Yuanjun, Alberto Zeni

Un particolare ringraziamento a tutti i

dipendenti di Elica che hanno collaborato

al progetto prestando il proprio volto /

Special thanks to all the persons in Elica

who collaborated by posing for the photos

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Francesco Casoli

Presidente Elica

President of Elica

Aria nuova nella terra di mezzo New air in the middle-earth

Do you know how many time zones there are between Shengzhou,

China and Querétaro, Mexico? Fifteen. These places are poles apart, far

from one another. However Elica inhabits them both. Elica has plants

in six countries, across three continents: “an empire on which the sun

never sets” as they might have said in the times of Charles V. But that

was long ago, and I am no emperor. But I like to think big. The company

figures talk for themselves: what started off a few decades ago as a

small plant in Fabriano, Italy, has now become a multinational enter-

prise, with plants and stores all over the world, and with over three

thousand employees that every day, at the pace of the different time

zones, go to work in our offices and plants. Elica is made by the people

who work in it, by its spaces, by its machineries and products that we

create also thanks to our skilled workforce. A small but yet expanding

island, that has successfully carved out a space for itself in the open

waters of the global markets. The changes and the transformations oc-

curring in this ‘middle-earth’ —as suggested by the fine exhibition title

(cleverly matching The Ring, another title echoing the Tolkien saga that

stARTT studio chose for the Elica pavilion at the Milan Salone del Mo-

bile) — had to be narrated by someone else for it would be too easy to

sing our own praises. This was the reason why we decided once again

to meet the Fondazione Ermanno Casoli’s challenge and concede free

access to Elica to two young Italian photographers, Fabio Barile and

Francesco Neri. We welcomed them in China, in Italy, in Mexico; we

posed for them but without faking a smile. The outcome is an honest

portrait, in which I can detect the company’s capacity of modifying its

structure; a portrait in progress that lets us think that maybe, over a

couple of years, there might be more change to come. To entrust the

description of our identity to an external viewer is a sign of openness

and freedom: we took a small risk, but only from risk can authentic in-

novation grow. A business enterprise is always an epic endeavour, an

ongoing challenge. We are not interested in conventional routes and

we are not afraid of taking new paths, prompted by a gust of new air

that we ourselves contribute to generate.

Sapete quanti fusi orari separano Shengzhou, in Cina, da Queréta-

ro, in Messico? Quindici. Sono terre lontane tra loro, mondi diver-

si. Eppure noi ci siamo. Elica si estende con i propri stabilimenti

su sei paesi, coprendo tre continenti: «un impero sul quale non

tramonta mai il sole», avrebbero detto ai tempi di Carlo V. Ma i

tempi sono cambiati e io non sono un imperatore. Voglio lo stesso

pensare in grande. Lo dicono i numeri dell’azienda, che, parten-

do dal piccolo stabilimento di Fabriano, si è trasformata in pochi

decenni in una multinazionale. Lo dicono i plant e le sedi com-

merciali disseminati in tutto il mondo; lo dicono gli oltre tremila

dipendenti che tutti i giorni, secondo i ritmi scanditi dai fusi orari

che li dividono, si recano nei nostri uffici e stabilimenti. Elica è

fatta delle persone che ci lavorano, degli ambienti che le ospita-

no, delle macchine utilizzate e dei prodotti che — grazie anche alle

nostre maestranze — riusciamo a realizzare. Un’isola, piccola ma

in espansione, che si è ritagliata uno spazio significativo nel mare

magnum dei mercati globali. I cambiamenti e le trasformazioni di

questa “terra di mezzo” — come suggerisce il bel titolo della mo-

stra, che trova una sorprendente corrispondenza con il nome che

lo studio d’architettura stARTT ha scelto per il padiglione di Elica

all’interno del Salone del Mobile, The Ring, anch’esso riecheggian-

te l’epica tolkieniana — andavano raccontati attraverso uno sguar-

do che non fosse il nostro: troppo facile cantarsela e suonarsela

da soli. Per questo abbiamo ancora una volta raccolto la sfida del-

la Fondazione Ermanno Casoli, che ci ha proposto di far entrare

due giovani fotografi italiani, Fabio Barile e Francesco Neri, all’in-

terno di Elica. Li abbiamo accolti in Cina, in Italia, in Messico: ci

siamo messi in posa, ma senza fingere sorrisi di circostanza. Ne è

uscito fuori un ritratto autentico, nel quale riconosco la capacità

dell’azienda di modificare il proprio assetto; un ritratto in pro-

gress che ci lascia intuire come — magari nel giro di qualche anno —

potremo ancora cambiare pelle. Affidare la descrizione della

propria identità a uno sguardo esterno è un segno di apertura e

libertà: ci siamo presi un piccolo rischio, ma è solo dal rischio che

nasce vera innovazione. Fare impresa è sempre un’azione epica,

un’incessante sfida. Le strade già battute non ci interessano e noi

non abbiamo paura di affrontare nuovi percorsi, spinti dal soffio

dell’aria nuova che contribuiamo a generare.

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9 3D Printed Remote Control, Fabriano, 2014

Fabio Barile

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11 Prototype Laboratory, Fabriano, 2014

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1312 Tracking Test on Plate, Elica TechLab, Serra San Quirico, 2014Elica TechLab, Serra San Quirico, 2014

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1514 Painting Oven, Mergo, 2014Painting Oven, Mergo, 2014

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17 Motor Group, Prototype Laboratory, Fabriano, 2014

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1918 Thermocamera Temperature Test, Elica TechLab, Serra San Quirico, 2014Aspiration Test, Elica TechLab, Serra San Quirico, 2014

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2120 Temperature Test, Elica TechLab, Serra San Quirico, 2014Elica Plant, Mergo, 2014

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23 Life Test, Elica TechLab, Serra San Quirico, 2014

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24 Assembly Room, Fabriano, 2014

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27 Gate Entrance, Querétaro, 2014

Francesco Neri

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2928 Security Guard, Shengzhou, 2014Security Guard, Querétaro, 2014

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31 Reception, Shengzhou, 2014

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3332 Garden, Fabriano, 2014Office, Fabriano, 2014

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3534 Vegetable Garden, Shengzou, 2014Truck Scale, Shengzhou, 2014

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37 Querétaro, 2014

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3938 Gate Entrance, Querétaro, 2014The Plant, Shengzhou, 2014

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40 Industrial Park, Querétaro, 2014

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4342 Middle-earth ahead Avvistare la terra di mezzo

Middle-earth is a region of Arda, the imaginary universe created by

J.R.R. Tolkien, who once explained that Midgard and Middle-earth really

were only “two disused and fascinating names for our planet, imagined

to be completely surrounded by water”. This inspired us to consider

Elica —with its several premises around the world — as a territory to

be searched, explored and mapped, using photography, the artistic

media that best suits this sort of challenge. This medium in fact has

affirmed itself as the most popular and common language in contem-

porary visual culture. With the multiplication of photographic devices

for every target — from amateur to professional —, photography is by

far the most common media. Everybody feels entitled to make a visual

statement and so nowadays, taking photographs (but also studying,

analyzing and understanding photography) requires more effort to

discern and reveal what this media can really capture. In these times

of high image proliferation, in which we are incessantly reached by

information, photography has tried to offer an alternative reaction to

such visual saturation. And it does so by stubbornly opposing a ‘slow

pace’ to the syncopated beat of the ‘society of the spectacle’, carrying

out an in-depth investigation of contexts and scenarios in the direction

of an ‘image downscaling’. In the wake of 1970s photographers such as

Luigi Ghirri and Guido Guidi, a new generation of Italian photographers

is expressing a strong attitude towards this slow-paced vision, that is in

fact a way to see better and notice often neglected details. This sort of

research which implies a return to traditional techniques and to a form

of archaism, is opposed to what we might call the predominating ‘tech-

nological trend’, and is also currently embraced by other forms of ar-

tistic expression: video art for instance, that is increasingly preferring

super 8 film to digital images, experimental filmmaking, and recently

rediscovered traditional painting techniques. At this stage of Elica’s

radical transformation and reorganization, Fondazione Ermanno Casoli

invited the company to entrust two affirmed protagonists of the young

Italian photography scene with the task of portraying the company’s

identity. This is how Middle-Earth. A journey inside Elica came about, a

project Fabio Barile and Francesco Neri worked on for months, focusing

their cameras on the people, spaces and activities of the Fabriano born

corporation.

In line with its vocation for innovation and improvement, Elica ac-

cepted this challenge taking a risk: how can a company that is based on

speed and technology, design and innovation, be portrayed by two pho-

tographers whose stylistic cipher is a slow-paced vision? This apparent

contradiction gave place to an unprecedented and possibly even more

La Terra di Mezzo è una regione di Arda, l’universo immaginario

creato dallo scrittore J.R.R. Tolkien, ma egli stesso chiarì che Mid-

gard e Middle-earth non erano altro che «un vecchio affascinante

termine usato per indicare il pianeta in cui viviamo, immaginato

circondato dall’oceano». Da qui l’idea di pensare Elica, con le sue

sedi sparse in tutto il mondo, come un solo territorio da scoprire e

indagare, attraverso una mappatura realizzata con il mezzo arti-

stico più idoneo a farlo: la fotografia. Questa, negli ultimi decenni,

si è affermata come il medium più popolare e diffuso della cultura

visiva contemporanea; con il moltiplicarsi delle apparecchiature a

disposizione per ogni tipo di utente —dal fotoamatore al profes-

sionista—, la fotografia ha trovato una diffusione difficilmente

paragonabile ad altri mezzi. Ogni sguardo, oggi, si sente autoriz-

zato a dire —anzi, a vedere— la sua. Praticare la fotografia (ma

anche studiarla, analizzarla, comprenderla) richiede dunque uno

sforzo maggiore; uno sforzo di distinzione e di riflessione su ciò

che tale mezzo può veramente permettere di cogliere. In un’epoca

così densamente popolata di immagini, in cui le informazioni che

riceviamo si susseguono freneticamente, la fotografia ha cercato

di elaborare risposte alternative a tale sovraffollamento visivo. Lo

ha fatto opponendo ai ritmi serrati della “società dello spetta-

colo” una lentezza ostinata, caparbia, capace di scandagliare a

fondo scenari e contesti: una “decrescita dell’immagine”. Sul solco

tracciato a partire dagli anni Settanta da autori come Luigi Ghirri

e Guido Guidi, una nuova generazione di fotografi italiani sta ma-

nifestando un’attitudine spiccata per questo rallentamento dello

sguardo, che non è altro che un modo per vedere meglio e indagare

dettagli che spesso ci sfuggono. Questa ricerca che implica un ri-

torno alle tecniche tradizionali, a una forma di arcaismo, si oppo-

ne al “tecnologismo” imperante ed è condivisa con altri linguaggi

artistici: basti pensare al video, che sta abbandonando sempre

più l’immagine digitale per tornare all’uso della pellicola super 8

e al cinema sperimentale, ma anche il rinato amore per la pittura

nelle sue forme più classiche. In questo momento di profonde tra-

sformazioni e di ripensamento dell’assetto di Elica, La Fondazione

Ermanno Casoli ha proposto all’azienda di affidare a due espo-

nenti di primo piano della giovane fotografia italiana il compito di

realizzarne un ritratto. Nasce da questa premessa Middle-Earth. A

journey inside Elica, progetto che ha visto per alcuni mesi Fabio

Barile e Francesco Neri posare il proprio obiettivo sulle persone,

sugli spazi e sulle attività della multinazionale nata a Fabriano.

authentic image of Elica, devoid of any patina or filter: a company with

thousands of employees that works on a global scale; a company that

does not accomplish itself only in the ‘finished product’ — the cooker

hood — but that understands itself as a research and development cen-

tre; a company that manifests itself in the details that document the

working processes. But above all, Elica is a company made up of indi-

viduals, each one with a unique and valued personality that these pho-

tos closely represent revealing the deepest and invisible creases, offer-

ing an all-round portrait. Both photographers relied on view cameras:

a device from a different era requiring long exposures. View cameras

are analogical and allow no trial and error: they require knowledge of

the context, a resolute selection of the subjects, expertise in envision-

ing the final image. This is why Barile and Neri’s work represents a re-

search of great rigour and quality —also reflected in the highly refined

prints— capable of offering an ‘alternative’ view of Elica, resulting from

a descriptive immersion in the company’s landscape. The portraits Neri

took in Querétaro (Mexico), Shengzhou (China) and Fabriano (Italy), vi-

sualize Elica’s current global dimension – an authentic ‘middle-earth’;

in the eyes and the poses of the workers one can sense the human fac-

tor behind the desks and machineries.

Barile’s still lifes instead manifest his interest for the technological

component of industrial research and production. State of the art ma-

chineries, workshops and traditional tools become the visual expres-

sion of a reflection on the technological imagery and on the crucial role

this sector plays for Elica. Ultimately, Middle-Earth represents the nth

successful contamination between contemporary art and corporate

world: two poles that Fondazione Ermanno Casoli tries to draw closer

to each other towards a coexistence, just as Luigi Ghirri who tried to

align the different elements of a landscape “as if they were the needle

of an imaginary compass indicating a possible direction”.

In linea con la propria vocazione all’apertura e all’innovazio-

ne, Elica ha accettato questa sfida, assumendosi un rischio: come

può un’azienda che vive di velocità e tecnologia, di design e inno-

vazione, farsi ritrarre da due autori che fanno della lentezza dello

sguardo la propria cifra stilistica? In realtà, proprio questa appa-

rente contraddizione ha restituito un’immagine inedita e forse più

autentica di Elica, al di là di ogni retorica: un’azienda con migliaia

di dipendenti che opera ormai su scala globale; un’azienda che non

trova la sua espressione solo nel prodotto “finito” —la cappa—, ma

che si caratterizza anche come centro di ricerca e sviluppo; un’a-

zienda che si manifesta nei dettagli che documentano i processi

lavorativi. Ma soprattutto un’azienda fatta di persone, tutte con

una loro identità particolare e preziosa che, attraverso questo

fotografie, viene indagata nelle pieghe più profonde e invisibi-

li, restituendocene un ritratto a tutto tondo. Entrambi i fotografi

si sono affidati al banco ottico per l’esecuzione degli scatti: uno

strumento d’altri tempi, che cattura l’immagine gradualmente. Il

banco ottico, proprio per la sua natura “analogica”, non permette

tentativi a vuoto: richiede conoscenza del contesto, decisione nella

scelta dei soggetti, perizia nel prevedere l’immagine che ne scatu-

rirà. Per questo il lavoro di Barile e Neri rappresenta un’indagine

di grande rigore e qualità —anche nella stampa delle fotografie—,

capace di offrire uno sguardo “altro” su Elica, frutto di un’immer-

sione descrittiva nel paesaggio aziendale. I ritratti di Neri – esegui-

ti nelle sedi di Querétaro (Messico), Shengzhou (Cina) e Fabriano

(Italia) —danno conto della dimensione globale nella quale Elica si

trova immersa— vera e propria “terra di mezzo”, come suggerisce

il titolo; negli sguardi e nelle pose dei dipendenti si può percepire

l’umanità che sta dietro alle scrivanie e alle macchine.

Gli still life di Barile, invece, manifestano l’interesse del foto-

grafo per la componente tecnologica su cui si basa la ricerca e la

produzione industriale; macchinari avanzati, laboratori e stru-

menti di lavoro più tradizionali diventano così il banco di prova

per riflettere sull’immaginario tecnologico e sull’importanza capi-

tale di tale settore per Elica. In definitiva, Middle-Earth rappre-

senta l’ennesima felice contaminazione tra arte contemporanea

e mondo dell’impresa: due polarità che la Fondazione Ermanno

Casoli cerca di attrarre e far coesistere, alla stessa maniera di

Luigi Ghirri quando tentava di “allineare” i diversi elementi di un

paesaggio, «come fossero i punti di un’immaginaria bussola che

indica una direzione possibile».

Marcello Smarrelli

Direttore Artistico

Artistic Director

Fondazione Ermanno Casoli

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4544 Alessandro Dandini de Sylva, Fabio Barile, Fancesco Neri: una conversazione Alessandro Dandini de Sylva, Fabio Barile, Fancesco Neri: a conversation

Middle-Earth. A journey inside Elica avvia l’esplorazio-

ne di territori collocati lungo un asse geografico che da

Fabriano —luogo di nascita dell’azienda marchigiana—

si estende fino al Messico e alla Cina. Da questo viaggio

e dai progetti sviluppati da Fabio Barile e Francesco

Neri emergono diversi paesaggi che costituiscono il pe-

riodo inaugurale di una ricerca sulla geografia globale

di Elica: la vallata di Fabriano circondata dai monti

dell’Appennino umbro-marchigiano, il territorio sto-

rico di Querétaro, in Messico, e il moderno paesaggio

industriale di Shengzhou, in Cina.

— — —

ADS

Luogo e identità non sono elementi tra loro indipen-

denti; al contrario, per comprenderli, è fondamenta-

le unirli saldamente e farli coincidere. In che modo il

vostro lavoro ha contribuito alla non facile definizione

dell’identità di Elica in relazione alla complessità del

suo paesaggio?

FN

La domanda è complessa, e ogni volta che si parla

di relazioni astratte, come tra luogo e identità, si

rischia di finire per sottintendere malcelate gerar-

chie. Al contrario, io lavoro con la fotografia pro-

prio perché, da un certo punto di vista, pone qualsi-

asi soggetto sullo stesso livello.

L’identità —così come l’idea di casa— più che un

concetto stabile è uno sfondo mobile —un fondale

poroso— che parla di rapporti. Di conseguenza, no-

nostante mi sia trovato a fotografare cosi lontano

da Faenza, dove sono nato e dove vivo, ho cerca-

to ancora più del solito di fotografare come se mi

trovassi vicino a casa, per predisporre la giusta

“temperatura”, in modo da consentire al gioco delle

identità di operare nel contesto, di stabilizzarsi in-

dipendentemente dalle mie proiezioni.

Ho proceduto, quindi, senza la pretesa di esau-

stività e completezza che, a mio avviso, è un peri-

coloso retaggio di una fotografia programmatica,

Middle-Earth. A journey inside Elica is an exploration of

territories from Fabriano – in the Marche, Italy, where the

company was born – all the way to Mexico and China. From

this journey and from Fabio Barile and Francesco Neri’s

projects a variety of landscapes emerge, outlining a re-

search on Elica’s global expansion from the Fabriano valley,

enclosed by the Umbria-Marche Apennines, to the histori-

cal Querétaro territory in Mexico and the modern industrial

landscape of Shengzhou in China.

— — —

ADS

Place and identity are two interconnected elements

which must be firmly drawn together and aligned

in order to be understood. In what terms did your

work contribute to the difficult task of defining

Elica’s identity in relation to the complexity of its

landscape?

FN

This is a difficult question. Every time we talk about

abstract relations, such as that between place and

identity, we can easily fall into implying ill-concealed

hierarchies. I work with photography precisely because,

in a way, it prevents this occurrence by placing every

subject on the same level.

Identity — the idea of home for example — is more

a shifting background rather than a fixed concept, a

porous backdrop containing information about rela-

tions. Consequently, finding myself taking photos so far

from my home in Faenza, where I was born, I tried even

harder to photograph as if I were still there in order

to create the right ‘temperature’ and allow the play of

identities to operate in that context, finding a stable

balance regardless of my projections.

So I worked without the presumption of being ex-

haustive or complete, which is, I believe, a dangerous

legacy of programmatic photography that would like

to show the world as it really is. An objective that if not

impossible is epistemologically aggressive, for thor-

oughness is the last aspiration of photography, I think.

parte costitutiva delle cappe, insieme alle verifiche

di aspirazione dei vapori e dei gas prodotti dalla

cottura, sono una parte fondamentale del processo

di creazione dell’oggetto finale, il cui design avvol-

ge specifiche sapienze. I laboratori appaiono così

come le fucine di un’alchimista, che alla fine di un

lungo processo vedrà il suo intuito trasformato in

realtà.

ADS

Cosa implica l’uso della camera di grande formato che

contraddistingue il vostro lavoro?

FB

La scelta della camera di grande formato nasce

dalla necessità di avere meno limiti possibili e una

qualità dell’immagine eccelsa. Non la considererei

una vera e propria filosofia di vita, ma di certo de-

termina un approccio molto definito, ovvero lento e

ragionato, alla creazione dell’immagine. Ciò detto,

non disdegno altri mezzi, come la fotocamera a in-

frarossi che ho preso in prestito dal laboratorio di

ricerca di Serra San Quirico per fotografare le scie

di aspirazione dei fumi.

FN

Provengo da una scuola di fotografia nella quale

molti autori prediligono l’utilizzo di apparecchi di

grande formato. Mi ha sempre affascinato la qua-

lità nelle stampe da negativi cosi grandi (8x10 pol-

lici) e da quando ho cominciato a utilizzare questa

camera, molto semplicemente, non sono mai riusci-

to a tornare indietro. La dimensione del negativo

è parte dell’investigazione non meno di quanto la

retina sia parte della percezione e —ancora in linea

con l’idea del “fallimento costruttivo” di cui par-

lavo— la potenza del grande formato incarna pie-

namente sia lo sforzo antico di impossessarsi del

reale sia l’impossibilità di riuscita nel farlo.

Ancora oggi, nel trovarmi di fronte a stampe

originali di grandi autori del passato come Watkins,

Atget, Sander o Evans, resto colpito dalla loro ce-

lata voluttuosità, dalla bellezza e dalla resa ottica

obtain the highest quality image. I would not consider

it a philosophy of life, but surely it determines a very

specific approach entailing a slow paced and carefully

studied image composition. This said, I also appreciate

other techniques, such as infrared photography with a

camera I borrowed from the Serra San Quirico research

department where it is used to photograph the smoke

extraction trails.

FN

I come from a school of photography in which many

photographers prefer large format. I have always been

attracted by the quality of prints from large negatives

(8x10 inches) and since the day I started using this

camera I have simply stopped using anything else. The

size of the negative is part of the research, just like

the retina is part of perception, and — returning to the

concept of a ‘constructive failure’ — the power of large

format fully embodies the ancient drive for the capture

of reality and the impossibility of this endeavour.

Still today, when I look at original vintage prints by

important photographers of the past, such as Watkins,

Atget, Sander or Evans I am enthralled by their veiled

voluptuousness, by their beauty and optical perfor-

mance that reveal the drive to capture and create

reality, giving place to a well accomplished failure. My

work would like to humbly be part of this line of pho-

tography, explicitly paying homage to it but also having

something new to say (I hope).

This kind of equipment, so large and heavy, forces

you to adopt a very unhurried working method, but the

positive aspect of this slow paced work is that it also

induces you to a higher level of concentration. Besides,

I am training myself to learn an easier and faster use

of this kind of equipment that by its own nature tends

to deliver a more static and formal result. One thing is

for sure: when I take portraits, people tend to trust this

kind of camera more. Me and the camera capture only

what the sitter is willing to give us.

che cerca di mostrare il mondo come realmente è.

E questo, se non impossibile, è perlomeno episte-

mologicamente aggressivo, perché la più lontana

aspirazione della fotografia è, credo, proprio quel-

la dell’esaustività. Ma, ovviamente, il suo essere

muta richiede uno sforzo considerevole da parte di

chi le sta davanti, in silenzio, limitandosi a guar-

darla. Da fotografo ci si limita sempre a tentare, a

fallire meglio, secondo la logica caotica e allo stes-

so tempo precisa di un fallimento beckettiano.

ADS

Un lavoro di mappatura dei luoghi e di creazione di un

atlante che ha però un suo centro in Fabriano. Il cuore

che traina l’intera produzione aziendale attraverso l’in-

novazione, la forza della più alta tradizione del design

italiano, la tecnologia avanzata dei sistemi di produzio-

ne e l’attitudine alla ricerca tipica di un laboratorio.

FB

L’idea che racchiude il lavoro che ho svolto a Fa-

briano, Mergo e Serra San Quirico si può sintetiz-

zare nella parola “fare”, declinata nei molteplici

aspetti che si intersecano e connettono all’interno

di una grande fabbrica. Ciò che ha colto il mio in-

teresse è come questa “scienza del fare”, a partire

dall’intuizione nata nella mente di un designer,

possa arrivare nelle mani di un progettista, per poi

passare a quelle di un prototipista – che realizza un

prototipo da inviare al centro ricerche, dove viene

testato e modificato, per poi ritornare nelle mani

del progettista – finché non si raggiunge un mo-

dello definitivo che verrà successivamente piegato,

stampato, saldato, montato e imballato nelle varie

catene di montaggio.

Fra tutte queste declinazioni del “fare”, quella

che più mi ha affascinato è legata all’attività del

centro prototipi e del centro ricerche, dove le idee

vengono testate e verificate nel dettaglio, per non

lasciare nulla al caso. I piani di lavoro sono costel-

lati di strumenti e tracce dell’impegno svolto. I

test di misurazione del calore, di durabilità di ogni

But obviously the silence of a photo requires a consid-

erable effort on the side of the viewer quietly looking at

it. A photographer always tries his best, tries to fail in

the best way possible, according to the chaotic but also

precise ratio of Becket’s invitation to ‘fail better’.

ADS

A mapping of places and the creation of an atlas

that has its centre in Fabriano. The heart of the

entire company production striving for innova-

tion, the strength of the highest tradition of Italian

design, the advanced technology and its workshop-

style research oriented activity.

FB

The idea behind the work I carried out in Fabriano,

Mergo and Serra San Quirico can be summarized with

the verb ‘to make’, understood in the multiple aspects

that this action takes on within a multilayered dimen-

sion of a large company. What captured my interest is

how this ‘science of making’ comes into practice: from

the initial spark in the designer’s mind, to the hands of

a technical designer, to those of a prototype designer,

who creates a prototype that is then passed on to the

research centre; here it will be tested and modified and

then returned to the technical designer until a final ver-

sion is defined, and eventually folded, printed, welded,

mounted and packed along the different assembly lines.

Among these many steps of ‘the making’, the one

that captured me the most was the prototype and re-

search phase, during which the ideas are tested and

carefully assessed on working tables scattered with tools

and with traces of the effort being made. The workshops

are like the laboratory of an alchemist that at the end of

a long process will see his intuition come to life.

ADS

You both use large format cameras. What does this

choice entail?

FB

The choice of using a large format camera derives from

the need to reduce limitations to the minimum and

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che tradisce una voglia di guadagnare il reale e, nel

riuscito fallimento, crearlo. Il mio lavoro si inseri-

sce umilmente in questa linea, sempre anche (ma

spero non solo) come esplicito omaggio.

L’utilizzo di questo tipo di attrezzatura, cosi

grande e pesante, ti costringe a un metodo di la-

voro molto lento per motivi tecnici, ma l’aspetto

positivo di questa lentezza è che, di conseguenza,

ti costringe a un maggior grado di concentrazione.

Allo stesso tempo, sto educando me stesso a un uti-

lizzo più snello e veloce di questo tipo di apparec-

chio che, per sua natura, tenderebbe a un risultato

ovviamente più rigido e formale. Una cosa certa è

che facendo spesso dei ritratti, sembra che i sog-

getti si fidino maggiormente di questo mezzo. Io e

la macchina fotografica non prendiamo nulla che la

persona non ci voglia dare.

ADS

Un tipo di fotografia che sa ancora rispondere a un de-

siderio di oggettività e favorire una nuova concezione

della testimonianza visiva. Una pratica fotografica in

grado di porre il fotografo di fronte alla realtà, avvici-

nandolo alle idee di neutralità e antiespressività della

fotografia, che sono alla base del documentario.

FN

Ti rispondo con una storia che mi è venuta in men-

te e che credo possa calzare. Non troppo tempo

fa ero a casa di Guido Guidi e, chiacchierando, mi

disse che se avessi fotografato ogni giorno per dieci

anni una sportina attaccata a un albero (che stava

proprio di fronte a noi), dallo stesso punto di vista,

alla stessa ora del giorno e con lo stesso apparec-

chio fotografico, avrei avuto migliaia di fotografie

diverse l’una dall’altra. Probabilmente fotografie

così diverse (anche solo a causa della luce) da ispi-

rare sensazioni opposte nel guardarne una piutto-

sto che un’altra. Continuando a fotografarla, con

insistenza, tutti i giorni, allo stesso modo, avrem-

mo imparato qualcosa in più, ogni giorno. Continuo

ancora a interrogarmi su questa “oggettività” che

ADS

A kind of photography that can still answer a need

for objectivity and foster a new conception of vi-

sual testimony. A photographic method capable of

putting the photographer in front of reality, draw-

ing him closer to the neutral and non-expressive

side of photography that is the basis of documen-

tary.

FN

I will answer you with a story that comes to mind. Not

too long ago I was at Guido Guidi’s house. He told me

that if I took a photo of a shopping bag hanging from

a tree (there was one right in front of us then), every

day, for ten years from then, standing in the same

position, at the same time, with the same camera, I

would never have two photos the same. They would

probably be so different from one another (even only

in terms of light) that they could inspire contrasting

feelings. The repetition of the same photo of the same

subject over and over would teach us something, every

day. I keep wondering about this alleged ‘objectivity’

attributed to photographs or — even worse — to ‘a’ pho-

tograph in particular. At the same time I also ask my-

self: are those thousands of photographs of that same

shopping bag anti-expressive and neutral or shame-

lessly romantic?

ADS

What interests me in your photos is the relation

between subject and space, the relation the objects

establish with space. In particular, especially in the

photos of the industrial landscape, besides the re-

lation between the object and the context, we can

clearly sense the relation between what is inside

and outside the shot.

FB

I would say it is a choice determined by instinct. What I

do is try to find a balance between the elements inside

and outside the shot. There isn’t a specific formula or

calculation behind it. It is a kind of choice that has de-

veloped in time.

FN

Anche se a volte vorrei, non riesco ad aspettare la

luce più giusta, e molto spesso finisco la pellicola

a metà giornata. La cosa affascinante è il tradire i

propri buoni propositi per poi scoprire, una volta

sviluppate e stampate le lastre, di aver fatto bene

a non aver aspettato nessun altro momento ide-

almente “migliore”. Se non, appunto, quello più

“qualsiasi” di tutti. A volte proprio l’aspetto com-

pulsivo del fotografo (tale e quale a quello del col-

lezionista di francobolli) prevale su sciocche regole

stilistiche. E la fotografia rivela il suo straordinario

aspetto di “inatteso”.

— — —

Le fotografie realizzate dai due autori forniscono una

descrizione accurata e non retorica dei volti e dei luo-

ghi che compongono l’identità di Elica e, a distanza di

poco tempo, esse assumono già un inestimabile valore

storico, a fronte delle rapidissime trasformazioni che

investono il paesaggio industriale. Allo stesso tempo,

il progetto ha l’obiettivo di riallacciare un nesso tra la

fotografia di documentazione e quella di ricerca, of-

frendo così un’importante occasione per continuare a

sondare dimensioni figurative e concettuali della foto-

grafia italiana contemporanea.

has the objective of re-establishing a connection between

documentary photography and experimental photography,

offering an important occasion to keep on exploring the

figurative and conceptual dimension of Italian contempo-

rary photography.

si addita sempre alla fotografia, o ancor peggio,

a “una” fotografia. Allo stesso tempo ancora mi

chiedo: tutte quelle migliaia di fotografie di quella

stessa sportina, sono da ritenersi antiespressive e

neutrali o sfacciatamente romantiche?

ADS

Quello che mi interessa delle vostre fotografie sono i

rapporti tra il soggetto e lo spazio, le relazioni che gli

oggetti intrattengono tra loro e lo spazio. In particolare,

e con maggiore forza nelle immagini che ritraggono il

paesaggio industriale, oltre alla relazione tra l’oggetto

e il contesto, si percepisce chiaramente il rapporto tra

ciò che è dentro e ciò che è fuori dall’inquadratura.

FB

Tendenzialmente direi che è una scelta del tutto

istintiva. Ciò che faccio è trovare un equilibrio tra i

vari elementi all’interno dell’inquadratura, non c’è

una formula o un ragionamento preciso dietro. È un

tipo di scelta che si è strutturata con il tempo.

ADS

Un altro elemento fondamentale nel vostro lavoro è la

luce. Quanto e come hanno influito le diverse condizio-

ni di ripresa, la luminosità contrastata degli esterni e

il chiarore omogeneo dei neon interni, il sole tagliente

del Messico e la luce diffusa del “grigiore” cinese?

FB

La luce dei neon non è una luce facile da gestire.

Per un fotografo di esterni come me, può essere

considerata una “brutta luce”. Ma tendo ad asse-

condare le condizioni che incontro e affido alla luce

e al suo colore un ruolo determinante nella realiz-

zazione di un progetto. Nell’esperienza in fabbrica

ho quindi lasciato che il bagliore grigio-cianotico

dei neon e l’illuminazione alta dei soffitti, che cre-

avano una luce piatta e omogenea, facessero il loro

lavoro. In realtà anche negli esterni la luce di Fa-

briano, eccetto in alcuni momenti, è dominata dal

grigio. Una luce per me “esotica”, a cui non sono

abituato, che mi ha molto affascinato per la resa.

ADS

Another key element of your work is light. How

much and in what terms did the different working

conditions (such as the contrasted light outdoors

and the homogeneous brightness of the neon lights

indoors, the low sun light in Mexico and the dif-

fused light of the grey Chinese landscape) influence

your work?

FB

Neon light is not an easy light to work with. An outdoor

photographer like me might consider it a ‘bad light’.

But I usually work in whatever conditions I find and I

entrust the light and its colour with a crucial role in

the outcome of a project. In the shots I took inside the

plants I worked with the bluish-grey glow of the neon

coming from the high ceilings which created a flat and

homogeneous light. Even the outdoor light in Fabriano

in fact was dominated by grey, except for some mo-

ments. This kind of light looks ‘exotic’ to me for I am

not used to it, but I think it delivered some interesting

results.

FN

Even if sometimes I would like to, I can never wait for

the right light to appear. I often finish my film in the

middle of the day. What I think is interesting is to be

unfaithful to your own resolutions and end up discov-

ering, once the plates are developed and printed, that

you did well not to wait for any moment that might

have been ‘ideally’ better. Any moment is the best

moment. Sometimes it is the compulsive side of the

photographer’s work (like the stamp collector) that pre-

vails over silly stylistic rules. That is when photography

shows its extraordinary ‘unexpected’ aspect.

— — —

The photographs by the two artists offer an accurate and

non-rhetorical portrait of the faces and the places that

form Elica’s identity, and they already hold a priceless

historical value due to the extraordinarily fast changes af-

fecting industrial landscape. At the same time, the project

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